Un laboratorio di idee per la nuova Germania (seconda parte)
Tratto dalla Rivista della Thule Italia la seconda e ultima parte di un importante contributo di Maurizio Rossi.
Nel complesso le opzioni presenti nel Deutsche Bewegung erano molteplici, si spaziava da una esigua minoranza di quanti credevano di vedere nell’esperienza della rivoluzione d’ottobre russa una prospettiva adattabile alla situazione tedesca nella formula di un bolscevismo letto in chiave nazionale e con alcune connotazioni di tipo volkisch, l’ipotesi in sintesi di un collettivismo che all’insegna di una ruralizzazione forzata aprisse i varchi per una nuova concezione comunitaria radicalmente anti-mercantilistica, e su questi argomenti saranno proprio gli ambienti dell’area nazional-rivoluzionaria e genericamente nazional-bolscevica ad aprire un vasto dibattito che vide protagonisti Ernst Junger e il suo estimatore e amico Ernst Niekisch, come anche l’irrequieto Karl Otto Paetel e la redazione della sua rivista Die Sozialistische Nation. Per passare poi alla grande maggioranza degli animatori del Deutsche Bewegung, che pur con tutte le loro particolari specificità, in linea di massima invece si proponevano per una radicale affermazione di un nuovo “destino tedesco” all’interno della Germania che agisse come forza motrice di un più ampio “destino europeo”, fondendo una diversa concezione della tecnica, intesa come elemento modernizzante nell’era della mobilitazione di massa, con il substrato identitario e razziale del germanesimo; mantenendo intatte, e anzi riproponendo in maniera rivoluzionaria, tutte quelle qualità tradizionali legate alle origini del popolo, all’identità ancestrale, alla stirpe, alla patria carnale come terra dei padri, insomma a tutti i grandi temi della comunità del Volk. Non a caso la crisi profonda di identità che investì e poi travolse la debole Repubblica di Weimar fu interpretata da tutti loro come la conferma di una più eclatante crisi che andava a investire l’intera costruzione liberal-democratica dell’Occidente. Una crisi che se non fosse stata sanata in maniera decisa e radicale avrebbe comportato la dissoluzione della millenaria Civiltà Europea. La Germania, per quasi tutti gli intellettuali del Deutsche Bewegung, aveva la storica missione di operare chirurgicamente sul corpo malato dell’Europa, prima, però, doveva guarire sé stessa abbattendo le decrepite istituzioni di Weimar con una salutare rivoluzione nazionale.
Pertanto riguardo al fenomeno del Deutsche Bewegung ogni eventuale e necessaria considerazione deve sempre tenere conto della eterogenea pluralità di idee e di elaborazione delle stesse che lo contraddistingueva come un vasto arcipelago frammentato, trasversale e dai contorni non sempre netti che vedeva come protagonisti uomini di pensiero e uomini d’azione che talvolta si connotavano per le differenti provenienze politiche e culturali (basti pensare all’eterodosso percorso di un Ernst Niekisch, per esempio…) e che si potevano ritrovare, in particolari momenti topici, ad accentuare una particolare “parentela”, sentimenti comuni e avviare anche un comune percorso (come avvenne per i fatti della rivolta contadina) specialmente quando si dovevano scagliare contro l’odiata e imbelle borghesia politica weimariana rincorrendo animose necessità rivoluzionarie, il che, però, non gli impediva al contempo di nutrire e alimentare continuamente tra di loro inimicizie e risentimenti. Questa vivace frammentarietà (e anche litigiosità…) che certamente favorì un’effervescenza intellettuale e una ricchezza di contenuti di tutto rispetto, rappresentò altresì l’estrema debolezza organizzativa e politica complessiva del Deutsche Bewegung, una debolezza che spesso sfociava nell’impoliticità e nell’incapacità di concretizzare momenti strategici reali, lasciando così aperti numerosi varchi alle incursioni politiche e alle penetrazioni ideologiche dei movimenti maggiormente strutturati e organizzati che si contendevano con la forza il dominio della piazza e l’acquisizione del consenso, ovvero il comunismo e il nazionalsocialismo.
Alla luce di queste considerazioni diviene logico riconoscere come non si debba più parlare sbrigativamente di una sola lettura univoca e valida per tutti i settori che idealmente andarono a comporre l’ambiente del Deutsche Bewegung, neppure quando parevano convergere anche solo con un giudizio puramente negativo sulla realtà circostante, si dovrà semmai procedere nei confronti di un tale arcipelago di idee, di mentalità, di simbolismi, di figure carismatiche con una rigorosità di analisi che passi in rassegna ambito per ambito, corrente di pensiero per corrente di pensiero senza scadere in generalizzazioni, andando poi per forza di cose a verificare come e in che maniera si trovarono a confrontarsi e a relazionarsi con quel polo di attrazione e di consenso politico che, soprattutto dal 1925 in poi, rappresentò il baricentro del conflitto e del dibattito nel corso della tormentata stagione di Weimar, il nazionalsocialismo. Evitando di cadere nel sommario errore di giudizio, molto diffuso nella storiografia contemporanea, che ha voluto collocare semplicisticamente il Deutsche Bewegung come precedente e propedeutico all’avvento del nazionalsocialismo e non come un evento storicamente significativo e parallelo allo sviluppo del movimento nazionalsocialista che era già presente sulla scena politica dalla sua fondazione avvenuta nel gennaio 1919 come Deutsche Arbeiter Partei (guidato da Anton Drexler), e divenuto poi, definitivamente, nel febbraio 1920, Nationalsozialistische Deutsche Arbeiter Partei all’atto della pubblicazione dei 25 punti del programma di lotta, e che in ogni caso aveva già attuato una prima insurrezione rivoluzionaria nel 1923 il cui fallimento comportò l’arresto e la detenzione di Adolf Hitler.
La Konservative Revolution, o Deutsche Bewegung nel suo insieme, rappresentò certamente una delle più interessanti manifestazioni culturali per la ricchezza dei contenuti riportati sulle sue produzioni editoriali varie e autorevoli che spesso si prestavano ad essere accese tribune di dibattito dove partecipavano polemicamente e in maniera eterodossa esponenti di altre correnti di pensiero non solo nazionalista o volkisch, vi si potevano trovare pure interventi di provenienza marxista; dal 1928 in poi, anche, molti dirigenti di medio e alto livello della Hitlerjugend portarono il loro contributo e a loro volta allargarono nuovi spazi di polemica. Naturalmente le tematiche affrontate e oggetto del contraddittorio risentivano profondamente dell’universo ideale e nihilistico nel quale si alimentavano i rivoluzionario-conservatori, che per inciso si ritenevano gli unici in grado di dare una radicale svolta ai destini della Germania: l’esperienza della grande guerra che veniva riletta in chiave mitica e leggendaria, ancor più l’evento rivoluzionario scaturito dalle formazioni dei Freikorps e dalla loro irriducibile opposizione alle leggi della Repubblica, la concezione anti-liberale della “mobilitazione totale” che voleva imporre la trasposizione delle stesse condizioni del dominio militare alla vita civile, l’assunzione consapevole dello stato di caos e del progresso tecnico-industriale come elementi di scardinamento dell’individualismo borghese, la disponibilità verso forme estreme di pianificazione economica che avrebbero favorito l’estinzione della società borghese e democratica e consentito l’irruzione nel panorama storico tedesco di un “uomo nuovo”, paragonabile alla raffigurazione dell’Arbeiter di jungeriana memoria, che non conoscendo più alcuna distinzione tra vita civile e vita militare e sottoposto ad una rigida disciplina, che lo stesso Ernst Junger non aveva remore di definire come aspra e arida, sarebbe stato in grado di muoversi agevolmente nel nuovo e inflessibile Ordine totalitario, che altro non voleva essere che una rappresentazione moderna degli antichi Ordini monastici e militari. Una tale elaborazione ideologica, così genialmente radicale e allo stesso tempo così freddamente essenziale convinse alcuni esponenti intellettuali dell’area nazional-rivoluzionaria a volgere più di uno sguardo benevolo nei confronti della Russia staliniana e a teorizzare a loro volta un orientamento politico e strategico verso l’Est, sarà proprio da questi Ost-ideologen che si svilupperà la corrente del nazional-bolscevismo che verrà considerata come la deriva più estremista dell’ambiente nazional-rivoluzionario.
Nel complesso le parole d’ordine pronunciate apparivano quindi molto forti, alcuni richiami anche particolarmente coinvolgenti, la pubblicistica che li diffondeva era in generale di buona fattura, con tirature discretamente consistenti, eppure nonostante tutto questo i vari rivoluzionario-conservatori segnarono il passo, non riuscirono mai a sfondare propagandisticamente, riuscirono talvolta ad aggregare alcuni ambienti giovanili, ma di scarsa entità numerica e praticamente irrilevanti se messi in confronto con quanto riuscirono ad aggregare la Hitlerjugend e la Lega degli studenti nazionalsocialisti che già nel 1930 era la forza egemone nelle Università della Germania. Inoltre i rivoluzionario-conservatori non poterono vantare alcun radicamento nei ceti popolari e soprattutto nel mondo del lavoro, anche in quella circostanza i nazionalsocialisti grazie alle proletarie SA e alle cellule operaie della NSBO mietevano consensi arrivando frequentemente ad emarginare i sindacati marxisti. Il Deutsche Bewegung nel suo complesso tentò inutilmente di essere concorrenziale con il nazionalsocialismo provando a porsi sul suo stesso terreno, ma fallì nel tentativo per l’incapacità manifestata nel produrre una concreta politica di aggregazione e di consenso, quantomeno univoca. In special modo nel corso degli anni a cavallo tra il 1928 e il 1933 molte delle sue componenti vissero uno strano rapporto osmotico con il movimento nazionalsocialista nutrito di sentimenti spesso contrastanti fra loro e di distinguo.
Alla rigida freddezza teoretica manifestata, per esempio, dagli ambienti nazional-rivoluzionari, difficilmente disponibili, però, nel voler approfondire un rapporto politico dialogico con le masse a causa di una eccessiva e distorta accentuazione della loro connotazione autoreferenziata ed “elitaria” (un evidente controsenso che li induceva poi a fraintendere la cospirazione con la rivoluzione), i nazionalsocialisti seppero invece contrapporre, con successo, una vivace e dinamica “dialettica” politica e propagandistica specificatamente orientata verso le masse popolari che seppe coniugare efficacemente il linguaggio della “nazionalizzazione del popolo” fondato su un archetipo bio-politico e sulla consacrazione della stirpe con la pratica della “socializzazione del popolo” legata al presupposto politico della Volksgemeinschaft, un organismo comunitario dalla duplice sostanza socialista e razziale con Leadership carismatica, che si riconosceva nei rapporti di organica reciprocità che vincolavano tra loro i membri della comunità popolare e nella certezza di costruire un socialismo nazionale scaturente dall’anima profonda del popolo tedesco. Le parole d’ordine sulla comunità del popolo, sul socialismo nazionale e sulla razza consentirono ai nazionalsocialisti di pensare organicamente e simultaneamente ciò che fino a prima era stato pensato contraddittoriamente, e in questo pensiero sinergico e rivoluzionario si trovava la vera novità politica e propagandistica del secolo. Il popolo tedesco credette in tutto questo per il semplice motivo che lo ritenne comprensibile, veritiero e soprattutto praticabile.
All’indomani della presa della cancelleria da parte dei nazionalsocialisti cominciò ad essere chiaro per tutti che non vi sarebbero più stati margini di manovra per nessuno al di fuori dei confini fissati dal nazionalsocialismo. Lo compresero a loro spese anche gli uomini del Deutsche Bewegung, nessuno escluso. A quel punto la scelta da compiersi fu priva di equivoci, ovvero collaborare con il nuovo corso e adeguarsi di conseguenza e certamente molti di loro, per lo più provenienti dagli ambienti Volkisch e dalla gioventù Bundisch, lo fecero in piena buona fede riconoscendo nel nazionalsocialismo il catalizzatore delle loro aspettative, oppure andarsene via all’estero, il più lontano possibile. In ogni caso fu evidente il fatto che il definitivo trionfo hitleriano e la nascita della nuova Germania nazionalista e socialista, ponendo fine alla fase crepuscolare della repubblica di Weimar, avrebbero spalancato le porte al ritorno della grande politica. Coloro che non condivisero gli avvenimenti, pur non scegliendo la strada dell’esilio, si mimetizzeranno nel tempo sfruttando il curioso fenomeno della “emigrazione interna” (come il celebre Ernst Junger) godendo spesso della tacita protezione di alcuni esponenti di alto rango della Wehrmacht, a loro volta insofferenti della svolta popolare nazionalsocialista, altri cospireranno contro il regime come Harro Schulze-Boysen (che diventerà una spia staliniana della rete Rote Kapelle) o vennero messi in condizione di non nuocere come Ernst Niekisch, altri ancora torneranno purtroppo alla ribalta per l’organizzazione del fallito colpo di stato del 20 luglio 1944 e il tentativo di assassinio del Fuhrer, come il colonnello Claus Schenk von Stauffenberg. Miserabile e inglorioso epilogo per uomini che in gioventù avevano creduto di poter cambiare il mondo…
FINE