Thule. Storia di un mito nordico (prima parte)

Prima parte dell’articolo di Giandomenico Bardanzellu pubblicato su “l’Uomo libero” n°49.

La Tule di Pitèa, di Virgilio e di Goethe – Gli “ordini germanici” e l’ariosofia – La “Thule Gesellschaft” fondata dal barone Sebottendorf – La nascita della svastica destrorsa, emblema della NSDAP – Autonomia politica della Thule e sua presenza nella Germania di oggi – Il Pitèa del XX secolo: Knud Sasmussen.

La Tule di Pitèa, di Virgilio e di Goethe

Pitèa, geografo, commerciante ed eminente cittadino della colonia greco-focese di Massalia (Marsiglia) fu incaricato dalla sua città di compiere un viaggio di esplorazione al di là delle colonne d’Ercole al fine di aprire nuovi sbocchi commerciali a questa fiorente colonia greca del Mediterraneo Occidentale. La data dell’incarico è situata nella seconda metà del IV secolo A.C., fra il 340 ed il 325 A.C..

Pitèa scrisse un libro “Intorno all’Oceano” che andò perduto, probabilmente durante il primo rogo della biblioteca di Alessandria nel III secolo A.C. Il libro era però conosciuto dai suoi contemporanei (Eratostene, Dicearco da Messina ed altri). È pertanto grazie ad essi che si ebbero le prime notizie sul viaggio, che furono quindi trasmesse a scienziati come Plinio il Vecchio (I secolo D.C.) ed a geografi come Tolomeo di Alessandria (II secolo D.C.) che ne lasciarono dettagliate descrizioni giunte fino a noi.

Pitèa riuscì a eludere l’ostile sorveglianza dei Cartaginesi, che si opponevano con ogni mezzo all’espansione delle colonie greche nel Mediterraneo. Egli passò le colonne d’Ercole, entrò nell’Atlantico, risalì le coste della Spagna, della Francia ed entrò nella Manica. Rimase sbalordito dalla presenza di un’immensa isola alla sua sinistra. Uno storico americano del secolo scorso, Frank B. Goodrich, nel libro Man upon the Sea (Filadelfia, 1858) non esita ad attribuire la scoperta dell’Inghilterra a Pitèa: “…the discovery of Great Britain may be safely attributed to him” (…la scoperta della Gran Bretagna può con sicurezza essere attribuita a lui). Pitèa costeggia l’Inghilterra Orientale spingendosi sempre più a Nord e raggiungendo le Orcadi. Quivi ha contatti con gli abitanti, i quali gli dicono che “a sei giorni di navigazione verso Nord esistono ancora delle terre emerse, che nessuno conosce”. Lo avvertono che il mare diviene solido, che le nebbie fittissime ed i ghiacci insidiosi lo porterebbero alla perdizione, ma Pitèa lascia le Orcadi e punta a Nord, sempre più a Nord. Infine è obbligato ad invertire la rotta. Scriverà di avere raggiunto i confini settentrionali del Mondo, costituiti da un’isola che egli chiama Tule. (1)

Al suo ritorno a Marsiglia nessuno gli crede. Uno scrittore satirico, Antifane di Berge, narra di un paese così freddo che d’inverno le parole… gelavano, cosicché si potevano intendere solo dopo il disgelo. Si trattava di una parodia del libro di Pitèa. Strabone, famoso geografo, lo definì ancora tre secoli più tardi “…un mentitore di prima grandezza”. Ma Strabone commise un errore clamoroso: allo scopo di confutare le scoperte di Pitèa ne fece un’accurata descrizione, che giunse a Plinio, a Tolomeo ed anche a noi. L’analisi moderna ha potuto così riscontrare l’assoluta autenticità delle scoperte di Pitèa. La fama imperitura di cui Pitèa gode, ancora a 2300 anni di distanza dal suo viaggio, non era negli obbiettivi di Strabone.

Plinio il Vecchio, nato a Como nel 23 D.C. e morto nell’eruzione del Vesuvio nel 79 D.C., nel 2° Libro di Cosmologia della sua monumentale Naturalis Historia dice che, secondo Pitèa, “… nell’isola di Tule si avrebbero giorni di 6 mesi”. Nel 3° Libro di Geografia descrive delle isole a Nord dell’Inghilterra “Ultima omnium quae memorantur Tyle...” (l’ultima delle quali si ha ricordo è Tyle) “dove non esiste notte al solstizio estivo… e dove c’è il mare solidificato, che alcuni chiamano Cronio”. Infine nel 6° Libro della Geografia descrive la latitudine del parallelo più settentrionale allora ipotizzate, detto “scitico”, che andava dai monti Rifei (Urali) fino a Tule. Lungo esso “… nell’arco di un anno si alternano una lunga notte ad un unico giorno”.

Il grande Tolomeo (100-178 D.C.) compose due opere monumentali: l’Almagesto e la Geografia. La principale traduzione latina della Geografia fu fatta nel XV secolo da Jacopo Angelo, di cui chi scrive possiede una rara copia, corredata da carte geografiche policrome. Jacopo Angelo dedicò la sua opera al papa Alessandro V eletto dal Concilio di Pisa del 1409, ai tempi del Grande Scisma d’Occidente, probabilmente prima di sapere che Alessandro V sarebbe stato bollato dalla Storia come anti-papa.

Nella Tavola Europe Tabula Prima è rappresentata l’Irlanda (Hibernia), l’Inghilterra (Insula Britannica), le Orcadi (Orchades) e, molto spostata a Nord-Est rispetto alle Orcadi, compare una strana isola di colore verde (a differenza dal colore avorio e oro delle terre emerse, nonché dal profondo azzurro dei mari) sulla quale è scritto Thule Insula.

Ma dove infine è stata localizzata Tule dalla critica moderna? L’ipotesi più accreditata è che Tule sia il nome dato da Pitèa alle Isole Shetland, che sono a Nord-Est delle Orcadi. Esse sono però ben più vicine dei “sei giorni di navigazione” riportati da Plinio, anche per le navi di allora. In sei giorni Pitèa avrebbe potuto raggiungere le coste della Norvegia meridionale.

Se però fosse andato a Est direttamente (egli proseguì infatti il viaggio fino all’attuale Russia prima di ritornare in patria), Tule potrebbe essere lo Jutland, ossia la Danimarca. Ma in nessuno di questi luoghi vi sono “giorni di sei mesi”.

Ecco che durante il pre-romanticismo tedesco si ritenne che Pitèa avesse addirittura raggiunto l’Islanda.

La realtà è che non si sa affatto dove si trovasse la Tule di Pitèa. Tule è così entrata nella Poesia e nella Storia come il mitico, irraggiungibile Confine Nordico del Mondo.

Già trecento anni dopo così la vide Virgilio nelle Georgiche (scritte fra il 37 ed il 30 A.C.) quando nel Libro I, dopo la dedica a Mecenate invoca Cesare (Ottaviano Augusto) acciocché gli conceda “una facile rotta” ed “all’audace impresa acconsenta” augurandogli “destini divini” ed “obbedienza universale”: “Caesar…tibi serviat Ultima Tyle” (il Mondo…ti obbedisca, o Cesare, fino all’ultima Tule).

Questo luogo mitico non lasciò indifferente neppure Goethe, che nel 1774 scrive nelle Balladen la poesia Der König in Thule (con il famoso verso “…War treu bis an das Grab” “Fedel sino a l’avello” come tradusse Carducci, dove riappare la costante venerazione germanica per la Fedeltà). Nell’Opera Omnia di Goethe pubblicata da Ludwig Geiger a Berlino nel 1883 è riportato il seguente commento qui tradotto: “L’ultima Tule era presso gli Antichi una fantastica isola, che si sarebbe trovata nel Mare di Nord-Est, agli estremi confini delle terre conosciute”. La Tule piteana era ormai scomparsa dalle carte geografiche ed era diventata una categoria dello spirito, mantenendo solo nel nome il ricordo del suo primo scopritore. (2)

Gli ordini germanici e 1’ariosofia

Nella seconda metà del secolo XVIII alcuni scrittori e poeti tedeschi diedero luogo al movimento letterario passato alla Storia come Sturm und Drang (traducibile, con una certa improprietà, come “Tempesta ed Impeto”), movimento pre-romantico che derivò il nome da un’opera del 1776 del drammaturgo Friedrich Maximilian von Klinger “Der Wirrwarr, oder der Sturm und Drang” (Il Vortice, ovvero la Tempesta e l’Impeto). Ad esso appartennero nomi eccelsi come Goethe, Schillér, Herder e molti altri protagonisti della rivolta letteraria germanica contro il razionalismo.

Tema centrale, con diverse varianti poetiche e letterarie, era la comune identità dei Tedeschi nell’antica Storia dei Germani, riflessa negli usi e costumi, nella lingua, nella letteratura, nelle canzoni e leggende popolari. Si riscopriva l’identità spirituale tedesca, lontana dalla realtà politica dell’epoca.

Questa struggente e ricorrente insistenza su di un glorioso e leggendario passato, sulle antiche tradizioni Runiche e Germaniche diede a quei movimenti letterari un carattere mitologico, che raggiunse nel XIX secolo altissime vette poetiche nonché musicali come nella Tetralogia di Richard Wagner.

I Tedeschi vivevano in un mosaico di piccoli Regni, Principati, Ducati, Marchesati, Contee, i cui reggitori si curavano principalmente dei propri interessi locali, con innumerevoli problemi di confini, regolamenti e trattati. Questi Stati costituivano, assieme alla Prussia ed all’Austria ed, in origine, anche alla Francia, il Sacro Romano Impero, fino alla dissoluzione di esso ad opera di Napoleone che si proclamò Imperatore di Francia nel 1804, ed indusse l’Imperatore d’Austria Francesco I a rinunciare per sempre al titolo di Imperatore del Sacro Romano Impero nel 1806.

Le speranze dei nazionalisti tedeschi furono amaramente deluse dal Congresso di Vienna del 1815 che ristabilì gli antichi Stati e mantenne la separazione di Austria e Prussia. Anche le rivoluzioni del 1848 non condussero all’agognata Unità Politica dei popoli germanici. Si accentuò così l’aspirazione culturale ed intellettuale dei tedeschi verso questa Unità. Ciò era particolarmente sentito in Austria, dove i Tedeschi dovevano convivere con forti minoranze slave ed ebraiche. Le dispute sulla suddivisione dei territori appartenuti alla Danimarca, sconfitta da Prussia ed Austria nel 1864, non erano condivise dai nazionalisti di entrambe le Nazioni, ma condussero alla guerra austro-prussiana ed alla rovinosa sconfitta dell’Austria nel 1866. Poco dopo la sconfitta della Francia nel 1870, la costituzione del 2° Reich da parte di Bismarck nel 1871 nuovamente deluse le ambizioni dei nazionalisti tedeschi perché l’Austria era esclusa da tale 2° Reich. È noto che l’Austria dovrà attendere fino al 1938 prima di potersi ricongiungere alla Germania nell’ambito del 3° Reich.

La divisione dei Tedeschi continuava così a sussistere. Razzismo ed Elitarismo si fecero strada.

Antropologi e Linguisti si dedicavano allo studio delle razze, ad ognuna della quali venivano attribuite particolari qualità fisiche e morali. Il Darwinismo emergente divenne il “Socialdarwinismo”, che venne adottato al fine di dimostrare la legittima superiorità di alcune razze sulle altre, in particolare della razza Ariana (da ARYA, vocabolo sanscrito che significa Signore, Dominatore) su tutte le altre razze. Nacquero e si moltiplicarono i cosiddetti “Germanen Orden” (Ordini Germanici) specie di Società Segrete e di Ordini pseudoreligiosi. Nelle riunioni gli adepti, tutti romantici nazionalisti, vagheggiavano un’Età dell’Oro preistorica, una Teocrazia nella quale saggi ed eruditi sacerdoti, adoratori degli antichi Dei germanici (Wotanismo) insegnavano teorie razziste e nazionaliste. Le antiche iscrizioni runiche fornivano i simboli per queste occulte liturgie che includevano anche rudimentali segni che ricordavano la svastica. I sacerdoti governavano società razzialmente pure costituite da Ariani.

Per opera di Guido von List, studioso di lingua runica, cultore di araldica, semiologia ed occultismo, nacque l’Ariosofia, la scienza occulta degli Arii, che influenzò profondamente gli Ordini Germanici ed i circoli letterari e filosofici dell’Austria e della Germania guglielmina. Nato nel 1848 e vissuto in Austria fino alla fine della prima Guerra Mondiale, Guido von List godette di grande stima da parte dei circoli accademici e letterari. Gli Ariosofi ritenevano che una congiura pilotata dalle forze e dagli interessi anti-tedeschi si fosse posta come obbiettivo la distruzione del mondo germanico originario al fine di porre i tedeschi (Ariani) allo stesso livello dei non-tedeschi (non-Ariani) in nome di un criminale egualitarismo. Le forze anti-tedesche venivano storicamente identificate nell’Impero Romano, negli Ebrei e nella Chiesa Cattolica. La mescolanza di razze che derivò dal parziale successo di questa congiura sarebbe stata all’origine delle guerre e delle miserie dei nostri giorni. L’Ariosofo aveva lo scopo di combattere questi mali e di rigenerare l’antica sapienza assieme alla rinascita delle virtù dei primi Germani, con l’obbiettivo finale di ricostituire il Reich Millenario pangermanico, razzialmente puro, di cui profetizzavano gli antichi sacerdoti. Guido von List, Lanz von Liebenfeld, Georg Ritter von Schönerer, furono gli esponenti più influenti dell’Ariosofa, assieme ad altri scrittori, poeti e storici dell’epoca.

La forzata coesistenza di diverse razze (ariana, ebraica e slava) nella Vienna di fine secolo, allora detta anche la Nuova Gerusalemme, portava fatalmente ai conflitti, e non solo sul piano ideologico.

Tuttavia gli Ariosofi, persi nei loro sogni occulti e simbolici, questi romantici reazionari, vagheggiatori degli antichi Germani e del Reich Millenario, erano a poco a poco usciti dalla realtà politica, ed infine militare del loro mondo, che crollò con la fine della I° Guerra Mondiale. Ancora nel 1916 Guido von List, divenuto oramai il profeta indiscusso del Reich Millenario, aveva annunciato a mezzo di missive alle truppe combattenti sui vari fronti l’immancabile vittoria delle Potenze Germaniche. Nel tardo 1918 il settantenne Guido von List dovette lasciare l’Austria a causa della mancanza di cibo e di medicamenti, che la sua malferma salute non poteva sopportare. Agli inizi del 1919 Guido von List e la moglie accettarono l’invito di uno dei molti ammiratori, il Conte Eberhard von Brockhusen, nel suo castello di Brandeburgo. Giunto dopo un faticoso viaggio in treno fino a Berlino, si sentì male per una presunta polmonite, fu trasportato in una modesta pensione e quivi mori il 17 maggio 1919.

Il mondo di Guido von List e dei suoi Ariosofi era oramai scomparso. Questo mondo gettò però dei semi rigogliosi per le ideologie ed i simboli politici che nacquero dopo il I° Dopoguerra.

Il vessillo di Guido von List fu raccolto dal Barone Rudolf von Sebottendorf fondatore della “Thule Gesellschaft”.

La Thule Gesellschaft fondata dal barone Sebottendorf

Rudolf Baron von Sebottendorf nasce nel 1875 a Hoyerswerda (Dresda). Esiste tutta una letteratura sulla genealogia e sul vero nome di questo personaggio, fondatore della “Thule Gesellschaft”. Egli è comunque entrato nella Storia con il nome sopra indicato, che anche qui viene usato. Studia ingegneria, viaggia per mare (Australia, Egitto, Turchia). Rimane in Turchia, si occupa di occultismo, di religioni esotiche, viene in contatto con i Dervisci, si occupa della numerologia delle Piramidi, del Sufismo, della Kabbala ebraica, diviene membro di una loggia massonica in Francia, legata al “Rito di Menfi”.

Combatte al fianco dei Turchi nella Seconda Guerra Balcanica del 1912. Tornato in Germania prosegue gli studi di astrologia e di mistica islamica. Nel 1914 legge un annuncio sul giornale di un “Ordine Germanico” con sede a Monaco che invita tutti i tedeschi di pura origine ariana ad entrare nell’Ordine. Egli subito risponde, vien accettato ed entra in contatto con numerosi esponenti nazionalisti.

Le riunioni di questi personaggi nell’Hotel Vier Jahreszeiten di Monaco erano guardate con sospetto dalla polizia bavarese, e fu pertanto deciso di dare all’”Ordine” un nome neutrale e misterioso: “Thule. Gesellschaft zur Erforderung deutscher Geschichte und Forderung deutscher Art“ (Thule. Associazione per lo studio della Storia Tedesca e per la promozione della Stirpe Germanica). Fu adottato un simbolo apparentemente mitico ed innocuo: una lunga spada sormontata da una raggiante croce uncinata a forma di ruota solare. Fu pertanto scelto l’antichissimo simbolo indo-europeo, e pertanto ariano, che in lingua sanscrita si chiamava Svastikà (Apportatore di Salute).

La sera del 9 Novembre 1918 si teneva un concerto nella sede della Thule Gesellschaft. Nelle ultime 48 ore aveva avuto luogo un radicale cambiamento politico: la rivoluzione socialista di Baviera. I Wittelsbach, la famiglia regnante, avevano lasciato Monaco ed un governo socialista, sotto la guida del giornalista berlinese ebreo Kurt Eisner, aveva preso il potere. I membri della Thule, così come tutti i partiti di destra e borghesi, furono sconvolti da questi avvenimenti (magistralmente descritti anche nel testo, che è considerato fondamentale su questi eventi, scritto da Nicholas Goodrick-Clarke dal titolo: “Die okkulten Wurzeln des Nationalsozialismus” (Le radici occulte del Nazionalsocialismo).

La Germania era sconfitta, il Kaiser ed i Principi avevano abdicato, ebrei socialisti adesso costituivano a Monaco e a Berlino repubbliche di stampo sovietico, sul sacro suolo tedesco! La patria, per la quale avevano duramente ed a lungo combattuto scompariva nel volgere di una notte. Quella sera Sebottendorf tenne un appassionato discorso, divenuto famoso nella Storia di quegli anni: “…al posto dei nostri Principi governa oggi il nostro nemico mortale: Giuda!”.

Se tutto si fosse limitato a quel discorso di Sebottendorf la Thule sarebbe forse caduta nell’oblio. Ma Sebottendorf si rivelò, oltre che occultista, un eccellente organizzatore della reazione nazionalista contro il regime di Eisner (che cadrà vittima di un attentato da parte del Conte von Arco auf Valley il 21 Aprile 1919) ma soprattutto un oppositore militare e politico del governo dei Soviet installato in Baviera dal trio di ebrei comunisti mandati da Lenin: Towia Axelrod, Max Levien, Eugen Leviné. Sebottendorf, che già aveva costituito la “Kampfbund Thule” (Lega di combattimento Thule), aveva appena fondato il 19 Aprile 1919 l’agguerrito corpo Franco “Oberland” al comando del maggiore von Beckh.

Nunzio Apostolico in Baviera era nel 1919 il giovane Vescovo Eugenio Pacelli, futuro Papa Pio XII. In un libello pubblicato ultimamente in Inghilterra, scritto da John Cornwell, che si autodefinisce “cattolico inglese” e dall’ineffabile titolo “Hitler’s Pope” (il Papa di Hitler) è citata una lettera diretta a Roma dall’allora Vescovo Pacelli. Egli, riferendosi ad uno dei tre figuri inviati da Lenin a governare la Baviera, e precisamente al già citato Eugene Leviné, così lo descrive: “Si tratta di un giovane di 30 o 35 anni, anch’egli russo ed ebreo. Pallido, sporco, volgare, repellente, dal volto ad un tempo intelligente e timido”. Riferendosi inoltre alle donne frequentate da questo individuo così continua “Sono ebree, come tutti gli altri di questo gruppo”.

La recensione del libro di Cornwell è stata fatta dal giornalista ebreo Richard Cohen sulla International Herald Tribune del 22 Settembre 1999. Per l’autore del libro, nonché per l’autore della encomiastica recensione, è sufficiente che Eugenio Pacelli abbia detto la nuda verità storica, ossia che a quell’epoca la Baviera era governata da ebrei comunisti, che a loro volta frequentavano donne ebree comuniste, per tacciare Eugenio Pacelli di anti-semitismo.

La repubblica sovietica di Baviera si dimostrò feroce e, per fortuna, inefficiente: criminali decreti si susseguivano, avversari, o ritenuti tali, venivano massacrati, soldati dell’Armata Rossa saccheggiavano le città. Banche, giornali, scuole vennero chiusi. Ma si avvicinava l’ora della resa dei conti. Truppe Bianche strinsero il cerchio intorno a Monaco. I Rossi, presi dal panico, decisero di devastare il 26 Aprile 1919 la sede della Thule, divenuta una specie di club, e presero in ostaggio i vecchi signori che vi si trovavano: il Principe Gustav von Thurn und Taxis, il conte Friedrich Willhelm von Seydlitz, il Barone von Teuchert, la Contessa Heila von Westarp (che fungeva da segretaria, ed era al primo giorno di lavoro), ed inoltre Walter Neuhaus, Anton Daumenlang ed altri per un totale di 9 persone. Il capo dei Rossi, Rudolf Egelhofen, annunciò trionfante che “una banda di malfattori appartenenti alla cosiddetta buona società, reazionari estremisti, agenti e fiancheggiatori dei Bianchi ecc.” era stata catturata.

Forse ispirandosi al massacro della famiglia imperiale russa a Ekaterinburg nel 1918, i disgraziati furono trascinati nei sotterranei del Luipold-Gymnasium, ed ivi, assieme ad altri tre ostaggi, furono massacrati il 30 Aprile 1919. Monaco ed il mondo intiero innorridirono di fronte a questo freddo e criminale massacro di ostaggi, naturalmente disarmati e del tutto innocenti. Nessun processo ebbe luogo, nessun crimine poteva essere ad essi ascritto, tranne quello di avere (per alcuni di loro) un “von” davanti al proprio nome, e quello, gravissimo, di essersi fisicamente trovati quel giorno dentro la sede della Thule. Ciononostante lo “storico” della DDR Hans Beyer non esitò a definire, in tempi recenti, questo infame massacro di ostaggi un caso di “Difesa Personale” (Selbsthilfe) da parte dei militi dell’Armata Rossa. Quando finalmente i Bianchi entrarono in Monaco trovarono la città già in rivolta contro le bande dei Rossi. Fu reinsediato un governo socialdemocratico sotto la guida di Hoffmann, che aveva combattuto coi Bianchi. Fu fatto il processo agli assassini degli ostaggi e a tre di questi ultimi furono intitolate strade di Monaco che ancora oggi portano il loro nome. Il 30 Aprile 1919 fu dichiarato giorno del solenne ricordo, ed ogni anno, a tale data, furono organizzate dalla Thule cerimonie in memoria.

In nessun altro Stato della Germania la contro-rivoluzione ebbe tanto successo come in Baviera. Questo entusiasmo ideologico, temprato dagli orrori dei Rossi e dalla vittoria su di essi, costituì una formidabile piattaforma politica per i futuri movimenti patriottici che in Monaco ebbero origine e che avrebbero cambiato il corso della Storia.

Come detto, l’assassinio degli ostaggi scatenò un’ondata d’indignazione, ma anche, secondo i Rossi di ieri e di oggi, scatenò un’ondata di “anti-semitismo”.

I Rossi ammettevano, sì, che i capi della rivoluzione comunista in Baviera fossero tutti ebrei (Kurt Eisner, Gustav Landauer, Erich Muhsam, Ernst Toller) così come i sovietici mandati in Baviera da Lenin, i già citati Axelrod, Levien, Leviné. Ammettevano anche che gli “spartachisti” di Berlino, Rosa Luxenburg e Karl Liebknecht, fossero ebrei. Ammettevano che le radici dell’ideologia comunista si trovassero nell’ebreo Karl Marx e che l’anima della rivoluzione bolscevica fosse costituita dall’ebreo Leone Trotzki.

Tale posizione ideologica è ancora oggi confermata: il libro della New York University Press del 1985, scritto dall’ebreo Shlomo Avineri, esalta questa simbiosi ebraico-comunista attraverso la biografia di un ebreo del XIX secolo, entusiasta di Marx, che si chiamava Moses Hess. Il promettente titolo del libro è “Moses Hess, prophet of Communism and Zionism” (Moses Hess, profeta del Comunismo e del Sionismo).

Il libro cita vari ebrei comunisti tedeschi del secolo scorso sostenendo che il comunismo, ed in particolare il comunismo tedesco, è essenzialmente un merito politico ed intellettuale degli ebrei. È fiero di documentare come gli ebrei Heinrich Heine, Karl Marx, Ludwig Borne (nato Baruch), Moses Hess fossero tutti “violently hostile to German Nationalism” (violentemente ostili al Nazionalismo Tedesco). È pertanto ancora una volta comprovato che la simbiosi ebraico-comunista, descritta dai Nazionalsocialisti come Giudeo-Bolscevismo, non fu un’invenzione propagandistica del Terzo Reich, ma nacque quasi un secolo prima dell’avvento di Hitler al potere. E gli autorevoli studi di Shlomo Avineri, pubblicati dalla prestigiosa casa editrice di New York, non sono certo sospettabili di anti-semitismo. (3)

Per i Rossi della Baviera degli Anni 20, però, questa simbiosi ebraico-comunista era un’invenzione dei Bianchi. I Bianchi avrebbero sostenuto questa tesi: “gli Ebrei vogliono costituire uno Stato fondato sul denaro (Geldstaat). Essi sono in realtà i sostenitori ed i beneficiari del Capitalismo. Per gli Ebrei il Socialismo ed il Comunismo non sono altro che una tappa intermedia (Zwischenstation) sulla via del dominio ebraico del mondo”.

Non ci è noto se questa tesi, così chiaramente esposta nell’accusa dei Rossi, fosse veramente sostenuta dai Nazionalisti dell’epoca. Se però così fosse stato, considerando che la «tappa intermedia» durata 70 anni è oramai conclusa e guardando all’Europa, ma soprattutto all’America di oggi, ci sarebbe da concludere che quegli esaltati nazionalisti degli Anni ’20 erano in realtà dei chiaroveggenti.

(fine prima parte)

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