Thule. Storia di un mito nordico (seconda e ultima parte)
Seconda e ultima parte dell’articolo di Giandomenico Bardanzellu pubblicato su “l’Uomo libero” n°49.
La nascita della svastica destrorsa, emblema della NSDAP. Destino del barone Sebottendorf
Il quotidiano “Völkischer Beobachter”, successore del “Münchner Beobachter” (che era divenuto proprietà di Sebottendorf) dà una spiritosa definizione dei membri della Thule all’inizio del 1919: “La Thule è oramai divenuto l’unico punto di riferimento in Monaco di tutti coloro che non si limitano a guardare, con borghese viltà, fuori dalle tendine delle loro finestre per accertare se, per caso, il buon Dio non abbia già preso delle misure per migliorare la situazione”.
I membri della Thule erano in prevalenza avvocati, giudici, professori universitari, aristocratici della cerchia dei Wittelsbach, industriali, medici, scienziati, uomini di affari, così come il proprietario dell’elegante Hotel “Vier Jahreszeiten”. Si unirono alla Thule personaggi come Alfred Rosenberg, Dietrich Eckhart, Rudolf Hess, Hans Frank, destinati a svolgere ruoli importanti nella NSDAP e nel futuro governo della Germania.
Nel frattempo Sebottendorf, che aveva fino ad allora sviluppato rapporti intellettuali e pseudo-politici con l’Ariosofia di Guido von List e di Lanz von Liebenfels (creatore fra l’altro dell’astrusa teoria della Teozoologia), prese la decisione sorprendente, per un tale sognatore, di volere attrarre al suo movimento le forze operaie, ed affidò ai membri Harrer, Drexler e Lotter l’incarico di organizzare un “movimento politico operaio”. Questi tre personaggi fondarono il 5 Gennaio 1919 un nuovo mini-partito, la D.A.P. (Deutsche Arbeitspartei, Partito Tedesco del Lavoro). Questo mini-partito sarebbe rimasto tale, e certamente scomparso nel marasma politico di allora, se non fosse stato per uno di quegli imprevedibili atti della Storia destinati a cambiare il mondo. Il 12 Settembre 1919 si iscrive alla D.A.P. uno sconosciuto reduce della Guerra Mondiale, male in arnese e sofferente ancora agli occhi a causa dei gas assorbiti in combattimento. Il suo nome era Adolf Hitler. Questo nuovo iscritto si rivela ben presto un formidabile oratore ed organizzatore. Nel febbraio 1920 la D.A.P. si trasforma nella NSDAP, in breve nel Partito Nazionalsocialista.
Immediatamente il nuovo partito inizia a differenziarsi dalla Thule. Al partito non interessano gli “Ordini Germanici”, l’occultismo, l’astrologia, i misteri, le crittografie ecc. Il partito era improntato ad un radicale nazionalismo politico e sociale. Hitler, la cui influenza sui tre fondatori era in rapida crescita, non voleva saperne di sette, logge, circoli segreti, ma tendeva al partito di massa. I capi di questi movimenti settari furono poi da lui definiti nel “Mein Kampf” “predicatori (ciarlatani) erranti” (nel sarcastico significato tedesco di Wanderprediger) ed anche “teorici codini” (bezopfter Theoretiker).
Tuttavia, nel suo pragmatismo politico, Hitler riconosceva nella Thule affinità ideologiche nel campo del nazionalismo e del pangermanesimo, nonché nella scelta dell’ariano simbolo della svastica. Hitler non era ancora il capo dell’NSDAP e pertanto doveva sottoporre, e fare accettare agli altri membri, le sue proposte. Ciò avvenne in particolare per l’emblema del partito.
Sulla base dell’emblema già adottato dalla Thule, un membro del partito a nome Friedrich Krohn, considerato un esperto in materia di storia, simboli e costumi dei popoli (possedeva una biblioteca di 2500 volumi sull’argomento) aveva proposto la svastica nera, in cerchio bianco, il tutto in campo rosso. Solo che la svastica proposta da Krohn aveva gli “uncini” girati a sinistra. Hitler invece propose che gli uncini fossero girati a destra e la proposta fu accettata. Fu così che in occasione della riunione del “Gruppo Starnberger” della NSDAP a Monaco il 20 Maggio del 1920 la nuova bandiera con la Svastica destrorsa fece la sua prima pubblica apparizione. L’origine della svastica come simbolo politico risale quindi agli Ordini Germanici, mentre quale simbolo indo-europeo, ariano e solare (destrorso o sinistrorso) esso si perde nella notte dei tempi, ed è ancora oggi ben visibile negli antichi templi indiani e nei monasteri tibetani (quelli che si sono salvati dalla gloriosa Rivoluzione Culturale).
Non è casuale che gli unici popoli a non conoscere la svastica erano i popoli di stirpe semitica.
Il Barone von Sebottendorf era oramai scavalcato dalla travolgente nuova realtà politica. Si dedicò allora con ancor maggiore slancio alla sua passione per l’astrologia (ben sette libri pubblicati fra il 1921 ed 1923). Amava trascorrere molto tempo in eleganti stazioni termali, nell’Harz ed in Svizzera. Trascorse l’anno 1924 a Lugano dove completò i suoi testi sui Dervisci “Baktashi” e sui loro legami con gli alchimisti e gli ordini segreti. Si trasferì quindi definitivamente in Turchia, ma decise di rientrare in Germania nel 1933.
Questo soggiorno fu involontariamente breve. Egli aveva fatto pubblicare un libro (oggi introvabile in quanto pare ne esistano solo 12 copie) intitolato “Bevor Hitler kam” (Prima dell’avvento di Hitler) in cui sostiene che Hitler derivò dalla Thule la sua filosofia politica. La Thule sarebbe stata “la culla del Nazionalsocialismo”, avrebbe “…forgiato le armi che il futuro Führer avrebbe impugnato” e lo storico giornale del Partito il “Völkischer Beobachter” sarebbe derivato dall’organo di stampa della Thule, il “Münchner Beobachter” che, come detto, era divenuto proprietà di Sebottendorf.
Tutte queste improvvide attribuzioni di meriti non garbarono al 3° Reich. L’associazione del Nazionalsocialismo alla Thule Gesellschaft, che era in odore di setta occulta, non giovò al buon Sebottendorf. La Thule inoltre era considerata un ricettacolo di aristocratici filo-monarchici.
È inoltre molto probabile che a Hitler non sia andato a genio il vedersi scavalcare nella primogenitura nazionalsocialista da un vecchio signore dal valoroso passato, ma ora un po’ matto.
Poco dopo la pubblicazione del libro, nel Gennaio 1934 il Sebottendorf fu indotto a lasciare la Germania. Si trasferì quindi definitivamente nella sua amata Turchia dove godeva di molte amicizie, alcune delle quali nella stessa Ambasciata Tedesca nella persona del giornalista e scrittore Herbert Rittlinger. Questo amico riuscì a fare assegnare a Sebottendorf un incarico apparentemente di spionaggio, ma in realtà più prossimo alla raccolta di pettegolezzi. Rittlinger voleva bene a Sebottendorf. Lo considerava molto amabile, anche se un po’ spilorcio. Considerava altresì come del tutto priva di importanza la “documentazione” che Sebottendorf raccoglieva per lui.
Nel Settembre 1944 i diplomatici tedeschi si ritirarono da Istanbul. Sebottendorf volle restare. Rittlinger riuscì a fargli avere dei modesti mezzi finanziari per sopravvivere nella bufera che si stava oramai scatenando sull’Europa. Rittlinger non ebbe più notizie del vecchio barone fin dopo la fine della guerra. Il già citato libro “Die okkulten Wurzeln des Nazionalsozialismus” di Nicholas Goodrick Clark così riporta il commento finale di Rittlinger: “Il vecchio e solitario Barone era inesorabilmente alla fine, senza denaro, tagliato fuori da tutto, senza la minima speranza di potere migliorare la propria esistenza. Il giorno della firma della resa incondizionata, con l’implicazione della totale sconfitta della Germania, deve averlo ulteriormente depresso. Così terminava la vita di questo avventuroso personaggio, che aveva tentato di portare l’Ariosofca nel partito Nazionalsocialista”.
Rittlinger aveva appreso che il 9 Maggio 1945 il settantenne Barone von Sebottendorf aveva commesso suicidio, gettandosi nel Bosforo.
Autonomia politica nella Thule e sua presenza nella Germania di oggi
Il libro molto “politicamente corretto” di Hermann Gilbhard (Kissling, Monaco, 1994) intitolato “Die Thule Gesellschaft – vom okkulten Mummenschanz zum Hakenkreuz” (La Thule Gesellschaft, dalla mascherata occulta alla croce uncinata) ha il merito di un’ampia documentazione e di una ricca bibliografia, ma sostiene ingenuamente e pervicacemente una tesi, anzi una diffida, di sconcertante ovvietà. In poche parole la tesi sostenuta è questa: “non si creda che il Nazionalsocialismo nasca dai circoli occultistici, runicomagici, teosofici, ariosofici, astrologici ecc. della Thule Gesellschaft”.
L’ovvio commento è: ma chi può credere a cose del genere? È chiaro che il Nazionalsocialismo non nasce dalla Thule. Si citano altre frasi: “Sarebbe una conclusione ingannevole assumere che il Nazionalsocialismo sia derivato e si sia sviluppato provenendo dai foschi circoli dell’occultismo”. Ed ancora: “Questa demonizzazione della Thule è particolarmente pericolosa perché nasconde le vere cause e premesse dell’ascesa del Nazionalsocialismo. Il rifugiarsi nell’irrazionale potrebbe così offrire una scusante (sic) a tutti coloro che attraverso il loro colpevole comportamento politico hanno appoggiato il sorgere del Nazionalsocialismo”.
A prescindere dal concetto poco storico di volere “scusare” gli eventi della Storia, non occorre ricordare che il Nazionalsocialismo aveva, sì, adottato un emblema derivato dalla Thule, ed aveva avuto affinità ideologiche con il nazionalismo della Thule, ma aveva origini politiche ed ideali ben più antiche e profonde. Esse non nascevano dunque da un circolo di idealisti pur valorosi, ma privi di una visione del mondo (Weltanschauung) capace di caratterizzare la nascente Nazione Tedesca, ma affondavano le loro radici nello spirito e nella cultura del Volk Tedesco del XVIII Secolo. Si erano poi sviluppate nelle società Pangermaniche del XIX Secolo, e avevano tratto infine forza dall’opposizione al trattato di Versailles.
La negativa reazione di Hitler al libro di Sebottendorf “Prima dell’avvento di Hitler” testimonia inoltre in maniera inequivocabile che la derivazione del Nazionalsocialismo dalla Thule veniva categoricamente respinta.
L’attrazione esercitata dall’ideologia nazionalista e romantica soprattutto sulle giovani generazioni non è mai venuta meno, non è tramontata con il 3° Reich ed ha raggiunto negli ultimi anni una insospettata popolarità. Thule è oggi una parola-chiave nelle reti di comunicazione fra i giovani nazional-popolari.
Dal Marzo 1993 esiste un “Thule-Netz” (una “Rete-Thule”) che collega internamente ed esteriormente i fermo-posta “Widerstand” (Resistenza) a Erlangen, “Kraftwerk” (centrale elettrica) in Baviera, “Germania” a Bonn, “Propaganda” a Karlsruhe, “Elias” nella Regione Rhein – Neckar, “Rechtsweg” (La retta via – oppure la via di destra?) a Francoforte. La Rete-Thule si definisce come un nuovo segmento della lotta per la cultura storica che dovrà condurre ad un rinascimento storico-culturale a livello europeo. In questi segni ancora acerbi, ma di prorompente vitalità, dell’ideologia della Thule agli inizi del Terzo Millennio si riscontra ancora una volta l’indistruttibile potenza dell’idea nazionale tedesca che, sotto diverse forme poetiche, letterarie, musicali, politiche e militari ha caratterizzato la Germania fin dalle origini della sua Storia.
Il Pitèa del XX secolo: Knud Rasmussen
Il nome Tule dato da Pitèa al limite settentrionale del mondo non fu mai più dato ad alcuna località geograficamente identificata per i successivi 2300 anni. Fino al 1910. In quell’anno un valoroso esploratore di padre danese e madre groenlandese, Knud Rasmussen, nato in Groenlandia a Jacobshaven nel 1879 e morto in Danimarca a Genthoften nel 1933, volle dare il nome di Thule alla stazione scientifica permanente che egli costituì assieme ai suoi assistenti nell’estrema punta Nord-Occidentale della Groenlandia. Questa terra prese da lui il nome di “Terra di Knud Rasmussen”. Da quella stazione egli partì percorrendo a piedi, in slitta ed in kajak le coste del Mare Glaciale Artico, attraversando il Canada e la Siberia e di là partendo eseguì nel 1912 la traversata continentale della Groenlandia alle estreme latitudini dell’isola. Egli conosceva inoltre tutti i dialetti eschimesi e raccolse le loro saghe, canti e leggende. Oltre ai dati geografici e geologici che raccoglieva per gli Istituti Scientifici danesi egli si impegnava per dare agli eschimesi ogni possibile assistenza. Egli realizzò, nel 1930, l’unico film documentario sulla vita quotidiana degli eschimesi, narrando la caccia, la pesca, i matrimoni, le danze, le tempeste, l’amore e la morte di questi remoti popoli che egli conosceva ed amava.
Chi scrive ebbe modo di vedere questo documentario durante una navigazione costiera della Groenlandia. Il filmato è paragonabile, per elevatezza poetica e narrativa, al più noto “Uomo di Aran” sulla vita dei pescatori irlandesi, girato e diretto da Robert Flaherty nel 1934.
Il nome Thule venne in questo secolo dato dagli archeologi anche alla Cultura sviluppatasi con la 6ª (ed ultima) grande emigrazione di eschimesi provenienti dall’Asia e spintisi fino al Canada Nord-Orientale ed alla Groenlandia intorno all’anno 1000 D.C..
La cultura di Thule si distinse dalle precedenti perché praticò per prima la caccia alla balena, che richiedeva più avanzate tecniche rispetto alla caccia alla foca ed alla pesca di tonni, merluzzi e salmoni. Si dovevano prendere in considerazione periodi più lunghi sia in mare che in terre sconosciute, lontane dai villaggi. Ciò portò a periodiche migrazioni delle varie comunità. Gli eschimesi della Thule inventarono una barca più grande del monoposto kajak, capace di trasportare più persone, oltre a viveri ed attrezzature. Tale barca prese il nome di “barca delle donne” (Frauenboot), perché erano le donne a remare.
I Thule furono i primi a costruire delle abitazioni diverse dagli igloo, utilizzando le costole delle balene come impalcature delle tende che poi ricoprivano con pelli di foca o di orsi polari, rendendole così impermeabili e… calde. Queste tende, pur disponendo come gli igloo di un ingresso sotterraneo al fine di preservare là temperatura faticosamente raggiunta all’interno, potevano, se necessario, essere rapidamente rimosse e ricostruite altrove, cosa naturalmente impossibile da farsi con gli igloo. Si può dire che gli attuali eschimesi sono i lontani discendenti di quest’ultima Tule. È da notare che gli eschimesi non vogliono più essere chiamati Eskimo (o con parole affini nelle varie lingue) perché la parola Eskimo appartiene alla lingua degli indiani canadesi Algonquin e significa “mangiatore di carne cruda” (cosa peraltro vera). Oggi essi vogliono essere chiamati Inuit, che nella loro lingua significa qualcosa come “noi”.
Nel 1951 gli Americani decisero di costruire la più settentrionale delle stazioni radar del sistema BMEWS (Ballistic Missiles Early Warning System) proprio nella Thule di Rasmussen dove vivevano alcune centinaia di Inuit. Il rumore degli aerei in decollo e atterraggio, le innumerevoli esercitazioni militari con lanci di missili, il via-vai delle navi e dei camion misero ben presto in fuga gli animali della terra e del mare.
Ciò avrebbe significato l’estinzione della comunità Inuit di Thule. La popolazione dovette pertanto trasferirsi circa 150 km a Nord della Thule di Rasmussen ed ebbe dal Governo Danese il permesso di mantenere il nome Thule per il nuovo stanziamento, a cui associarono anche il nome nella loro lingua: Qaanaaq.
Oggi esiste pertanto la Thule Air Base dove sorgeva la Thule di Rasmussen, e la Thule-Qaanaaq, che è il nuovo stanziamento.
Il Comandante della nave tedesca sulla quale chi scrive si trovava, annunciò quasi scusandosi, che, a causa di permessi di ancoraggio erroneamente negati, egli doveva costeggiare la Groenlandia ulteriormente a Nord, doppiando il Capo York (da cui partì Peary nel 1909 per la conquista del Polo Nord) anziché puntare a Ovest ed attraversare il braccio oramai ristretto dell’Atlantico per raggiungere l’Artico Canadese come previsto. Egli era quindi costretto ad ancorare la nave di fronte alla spiaggia di Thule-Qaanaaq dove avremmo potuto andare a terra! Questa notizia fu entusiasmante perché Thule-Qaanaaq è fuori da tutte le rotte praticate e, se non fosse stato per quel piccolo inconveniente burocratico, non sarebbe stato possibile andarci.
In una stupenda mattinata dai tenui colori artici, con un cielo azzurro solcato da sottili fili di nuvole si stendeva di fronte a noi una serie di casette dai colori assai vivaci come spesso sono i villaggi della Groenlandia, in contrasto col grigio-marrone-bianco delle coste. A differenza di altri villaggi situati entro fiordi rocciosi, o a ridosso di pareti a precipizio che impediscono qualunque espansione verso l’interno, Thule-Qaanaaq si stende per diversi chilometri su di un’ampia spiaggia di minuto pietrisco avorio e rosa, intercalato da ciuffi di sottile erba chiara, da fragili fiori bianchi simili al cotone, e dai delicatissimi papaveri artici, di colore giallo e con petali trasparenti.
Da terra si vedono lunghe teorie di lontani iceberg disposti in file quasi regolari, stagliate all’orizzonte contro le violacee coste rocciose degli isolotti della baia. A ridosso del villaggio si stendono colline dolcemente risalenti fino all’immancabile parete montuosa ricoperta dai ghiacci eterni, che costituisce la terribile piattaforma continentale della Groenlandia.
Vedendo che mi aggiravo con malcelata soddisfazione, come se contemplassi l’Empireo, un passeggero americano mi chiese sorpreso e quasi stizzito: “What’s so interesting in Thule?” Ed io risposi “Pitèas! The Thule Society! Are you familiar with Pitèas? Are you familiar with the Thule Society?” Mi guardò come si guarda un matto e la nostra conversazione finì lì. Ma ciò non mi dispiacque. Avevo già cominciato a ripercorrere nella foresta della memoria i 23 secoli che ci separavano dal viaggio di Pitèa, e l’ultimo mezzo secolo che ci separava dalla morte del Barone Sebottendorf.
(fine)