Focus Patrius: metafisica e metapolitica del culto italico del Fuoco (ultima parte)

vestae

Viene quindi in tal modo suggellata la sacralità della traditio del sacro Fuoco di Vesta, da Troia alla futura Città. Ma vi è di più: Ettore invita Enea a pren­dere con sé i Penati, ma egli stesso, come si è visto, preleva il Fuoco Eterno dai sacri penetrali, « aeternum adytis effert pe- netralibus ignem » (II, 297). Infatti, poco dopo, Enea affida al padre Anchise il compito di prendere i patrii Penati, ma nulla dice del sacro Fuoco di Vesta, e parimenti, poco oltre, non ne fa parola quando, per ricercare la sposa smarrita nella conci­tazione del sottrarsi di nascosto al massacro, affida ai compagni i Penati, unitamente al padre ed al figlio. Poiché nel contesto complessivo del racconto il Fuoco di Vesta appare distinto dai Penati (Ettore, abbiamo visto, li menziona separatamente), se ne dovrebbe dedurre che il Fuoco Sacro venga portato via da Etto­re. Ma poiché quest’ultimo vive ormai soltanto in una sfera ul­traterrena, è l’essenza sottile, invisibile, principiale del sacro Fuo­co, che Ettore salva, fino al suo novello manifestarsi in forma concreta e visibile. Quanto sopra non solo conferma e ribadisce quanto si è già accertato circa l’essenza metafisica e sovrasen- sibile del Fuoco, ma getta inoltre un suggestivo sprazzo di luce sui modi di trasmissione del Sacro nell’Antichità classica. Sen­za necessità, infatti, di trasmissioni visibili, organizzate, istitu­zionali, un sogno oracolare (che è cosa ben diversa dai sogni co­muni, privi di valore profetico, di cui Plutarco parla nello scrit­to citato) ben può, nel mondo classico, costituire una modali­tà di trasmissione del Sacro. Tante che nell’ambiente ellenico descritto da Omero nell’Iliade compaiono più indovini che pre­ti (17).Abbiamo visto che il Fuoco di Vesta è strettamente associa­to al culto degli antenati, dei padri. In tal senso esso deve es­sere considerato come un vero e proprio focus patrius, Estia patroa, secondo una iscrizione greca, ma di contenuto latino (18).

17) Cfr. É. DES PLACES S. J., la réligion gréque, Paris 1969, p. 143.
18) Cfr. A. DE MARCHI, op. cit., p. 67. Cfr. anche: N. – D. FUSTEL DE COULANGES, La città antica, Firenze 1972, p. 32, n. 12.

È naturale, quindi, che ad esso fosse affidata la funzione di cu­stode di quei sacri simulacri (pignora) ai quali la Tradizione collegava il destino di Roma e del suo Impero. Particolare rilievo assume, sotto tale profilo, il Palladio, oggetto sacro a Minerva, che avrebbe garantito l’inespugnabilità di Troia, finché fosse ri­masto custodito all’interno delle sue mura. Rapito da Ulisse e da Diomede e caduta quindi Troia, il sacro simulacro giunse in pos­sesso di Enea, il quale lo trasportò in Italia insieme ai Penati, depositandolo nell’antica Laurento, donde il figlio Ascanio lo portò ad Alba Longa e di qui, infine, il re Numa lo trasse in Roma, ove rimase custodito nel tempio di Vesta. Il Palladio, oltre a garantire l’invincibilità della città che esso proteggeva, racchiudeva in sé stesso, misteriosamente, la stessa potestà del- Ylmperium, che con esso quindi si trasferiva, come ebbe ad an­nunciare un oracolo di Apollo Sminteo: « imperium secum tran­sfer et » (Ovid., Fasti, VI, 428). Esso era stato affidato alla cu­stodia di Vesta, che lo salvaguardava in virtù della sua assidua Fiamma onniveggente: «tuetur Vesta, quod adsiduo lumine cuneta videt » (VI, 435436).
In tal modo Vesta stessa assunse il ruolo di suprema garan­te delle fortune dell’Impero, onde i Patres dovettero certo te­mere per le sorti della Patria il giorno in cui il tempio di Ve­sta si incendiò e quasi rovinò per l’azione delle fiamme profa­ne, che ardevano commiste al Fuoco sacro: « Heu quantum timuere patres, quo tempore Vesta arsit et est tectis obruta paene suis! Flagrabant sancii scelerati ignibus ignes, mixtaque erat flammae fiamma profana piae » (VI, 437440).
Si comprende quindi come Augusto, nella sua veste di Pater Patriae si fosse assicurato che le Fiamme di Vesta splendesse­ro sempre felicemente, e come Vesta stessa, consapevole della invincibilità che derivava a Roma dalla sua vigile salvaguardia del sacro Fuoco, potesse annunciare ai Parti l’avvento del fu­turo vendicatore di Crasso, « quique necem Crassi vindicet, ultor erit » (VI, 455456; 467468).
La saga troiana non fa quindi che convalidare un’arcaica realtà, nella quale, « come il tempio di Vesta era la sintesi di tutti i focolari privati », ai quali erano associati i Penati fami­liari, così in esso vennero venerati i Penati pubblici, che tutela­vano « la vita dello stato » (19).
Pertanto i Fuochi dei Patres si collegano misticamente al Fuoco pubblico, quello riferibile al Princeps, al Pater Patriae, Fuoco che per suo volere arde felicemente e tutti li riassume e li rappresenta, nel vincolo sacro ed ardente di un comune de­stino (20).

PIERO FENILI

19) N. TURCHI, La religione di Roma antica, Bologna 1939, p. 14. Il Turchi osserva anche (p. 15) che il culto di Vesta, oltre che in Roma, si ritrova anche nel Lazio, a Lavinio, Alba e Preneste. Per tale motivo, come pure per il fatto che il culto di Vesta è presente nel ciclo troiano, ho preferito intitolare al culto itàlico del Fuoco, anziché unicamente a quello romano.
20) Non posso fare a meno di osservare che, fra i tanti fuochi profani dei fornelli e delle officine, che bruciano nell’Italia di oggi, il fuoco maggiormente sacro che vi arde è quello dell’Altare della Patria in Roma. Questa non è reto­rica, per chi è in grado di comprendere in profondità il significato di certe cose.

Quel che resta nella memoria moderna del sacro culto del fuoco, che non solamente in Italia ha avuto alte considerazioni, deve essere da sprone per una rinnovata attenzione a quel che di puro offre la Tradizione indoeuropea, nella sua concezione d’equilibrio tra ciò che distrugge e quel che crea. Esiste una differenza tra il settarismo degli “assoluti”  inconciliabili, tipici delle forme spirituali di religiosità mediorientale/monoteistica, e la serena comprensione che la natura, specchio dell’azione divina, rielabora tutto l’universo, non lo fissa in eterno, ma lo pone nel divenire di un cosmos che ciclicamente viene ripristinato.
Viviamo nell’epoca del caos, dove il fuoco serve solo qual strumento materiale; riportare in ordine anche il ruolo simbolico di questo elemento, vuol dire compiere un servigio attivo all’eredità degli antichi culti dei nostri avi.


Gabriele Gruppo

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Militante di Thule-Italia

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