1862. La pulizia etnica (terza parte)
Continua il capitolo dal libro di Antonio Pagano, Due Sicilie 1830/1880 dedicato alla “pulizia etnica”.
Luglio
Il 1° Francesco II protesta da Roma contro il riconoscimento da parte di vari Stati europei ai Savoia come re d’Italia.
Il comandante Giuseppe Tardio, uno studente di Piaggine Soprano, che aveva organizzato il suo gruppo di combattimento già nell’ottobre del 1861 nella zona di Agropoli, assale ed uccide le guardie nazionali che incontra nel suo cammino. Si dirige con i suoi uomini prima a Futani, dove disarma la guardia nazionale, e poi ad Abatemarco, Laurito, Foria, Licusati, Centola e Camerota. Nei Comuni dove entra affigge il seguente manifesto:
«Ai Popoli delle Due Sicilie – Cittadini, il fazioso dispotismo del subalpino regime nel conquistare il Regno vi sedusse con promesse fallaci. Amari frutti ne avete raccolti. Riducendo queste belle contrade a provincie, angariandovi di tributi, apportandovi miseria e desolazione. Inaugurando il diritto de Ila fucilazione a ragione di Stato (che re galantuomo!). I più arditi oramai è un anno da che brandirono le armi. E l’ora di fare l’ultimo sforzo è suonata. Non tardate punto ad armarvi e schierarvi sotto il vessillo del legittimo sovrano Francesco II, unico simbolo e baluardo dei diritti dell’uomo e del cittadino, non che della prosperità commerciale e ricchezza dei popoli. Esiterete voi ad affrontare impavidi gli armati piemontesi, onde costringerli a valicare il Liri? – Pubblicato in … e per copia conforme in questo Comune affisso. 2 luglio 1863. Il capitano comandante le armi borboniche Giuseppe Tardio».
Alla sua avanzata si aggregano centinaia di popolani, che devono disperdersi per i continui attacchi delle truppe fatte affluire immediatamente nella zona. Più di 300 sono catturati, mentre Tardio è costretto a ritornare nelle sue basi di Agropoli.
Il 6 Garibaldi, in occasione di una rivista alla guardia nazionale a Palermo, pronunzia davanti alle autorità un violento discorso contro Napoleone III, che ritiene responsabile del brigantaggio. Poi si reca anche a Catania.
A Napoli il deputato mazziniano Antonio Mordini capeggia un complotto, detto del partito rosso, e proclama un governo provvisorio e la caduta della monarchia. Lamarmora sottopone ad inchiesta penale Mordini e i suoi complici, i parlamentari Fabrizi e Salvatore Calvino, ma la commissione d’indagine, formata dal prefetto di Messina, barone Giacinto Tholosano di Valgrisanche, li assolve per mancanza di prove.
Il 16 un reparto del 17° bersaglieri, in un durissimo e prolungato combattimento, uccide il comandante Malacarne, il fratello del più noto Sacchettiello, ed altri sei.
La sera del 18 numerosi combattenti abruzzesi attaccano presso Fossacesia il magazzino degli imprenditori ferroviari Martinez, uccidendo alcuni tecnici, e invadono l’abitato che è saccheggiato.
A Volturara il 22 gli insorti assaltano un drappello di 4 carabinieri e 24 guardie nazionali che scortano l’usciere del tribunale che aveva disposto atti esecutivi ai danni di poveri contadini. Nello scontro restano uccisi due carabinieri e otto guardie nazionali, mentre il resto del drappello si dà alla fuga.
Ad Amalfi la superiorità degli insorti si manifesta in tutta la sua evidenza quando il 22 occupano la città, tenendola per due giorni. La legione ungherese uccide 12 insorti a Tortora e altri 22 a Ginestra.
Il 23, nei pressi di Racale, si ha un violento scontro a fuoco tra il gruppo comandato da Venneri e la colonna mobile di Ruffano.
Il 24, a Macedonia, gli uomini della resistenza uccidono alcuni bersaglieri, ma i piemontesi catturano alcuni sospetti della zona e li fucilano.
Il 25 gli insorti di D’Agnone uccidono nel bosco di Cocozza, nei pressi di Campobasso, il collaborazionista Michele Di Giacomo che guidava nella zona le pattuglie in perlustrazione.
Il 26, dopo un lungo silenzio, gli insorti del sergente Romano invadono Alberobello, dove, eliminate le guardie nazionali, s’impossessano delle armi e munizioni. Nei giorni precedenti le guardie nazionali di Alberobello avevano sequestrato un deposito d’armi e munizioni del gruppo di Romano nella masseria dei monaci di S. Domenico.
Circa mille abitanti di Laurito, armati di tridenti o di fucili, manifestano il 27 contro il governo. Alcuni collaborazionisti sono bastonati, ma il rapido intervento di un reparto di soldati riesce a disperdere i manifestanti dei quali numerosi sono imprigionati.
Ad Ugento un gruppo della resistenza assale e mette in fuga un reparto di guardie nazionali.
Sui monti del Matese, nelle zone di Piedimonte d’Alife e di Cerreto Sannita, i gruppi di Cosimo Giordano, Padre Santo e De Lellis contrastano vittoriosamente i rastrellamenti effettuati dai reparti del 39° e 40° fanteria. Nel Vastese i gruppi di Pizzolungo e Scenna, composto di circa 200 uomini, invadono in giorni successivi Villalfonsina, Carpineto, Guilmi, Roio, Monteferrante, Colle di Mezzo, Pennadomo e Roccascalegna.
In aperto contrasto con la libertà di stampa proclamata dallo Statuto Albertino, sono sequestrati ben 36 volte 20 importanti giornali.
Agosto
A Pantelleria la banda Ribera non riesce nel tentativo di eliminare il sindaco liberale, ma infligge numerose perdite ai reparti che li inseguono. Sono inviati nell’isola altri 500 soldati sotto il comando del colonnello ungherese Eberhard, già sperimentato in azioni di controguerriglia nel continente.
Il 3, mentre Garibaldi continua in Sicilia nella sua opera di reclutamento e di propaganda per conquistare Roma, Vittorio Emanuele, a seguito di pressioni di Napoleone III che minacciava un intervento armato, emana un proclama con cui, senza mai nominare il nizzardo, condanna la sua iniziativa. È la solita tattica dei Savoia che, pubblicamente dimostrano un orientamento, mentre segretamente ne hanno un altro.
Le guardie nazionali di Bisaccia catturano nelle campagne di Oscata il comandante Michele Saccardo di appena 20 anni, che è subito dopo fucilato.
Il raggruppamento di Romano si concentra nel bosco delle Pianelle, nei pressi di Martina Franca.
Fra il 3 ed il 5, gli ussari e la fanteria ungherese stanziati a Lavello, Melfi e Venosa si radunano e si dirigono a Nocera, ma, bloccati e disarmati, sono imbarcati a Salerno il 13 per ordine di La Marmora, che li fa trasportare in Piemonte. 150 ungheresi riescono a fuggire tentando di raggiungere Garibaldi.
Il 6 Garibaldi si scontra a S. Stefano di Bivona con le truppe che hanno il compito di bloccarlo e vi sono alcuni morti da ambo le parti. A Fantina, in Sicilia, sette volontari garibaldini della colonna Tasselli, dei quali cinque disertori piemontesi, sono catturati da un reparto del 47° fanteria, comandato dal maggiore Giovanni De Villata, che li fa fucilare sul posto. Trentadue ufficiali della brigata Piemonte, che hanno dato le dimissioni nei pressi di Catania, sono arrestati e privati del grado dal Consiglio di disciplina di Torino, per mancanza contro l’onore.
Il governo introduce l’imposta sulla ricchezza mobile, abolisce i porti franchi, aliena una parte dei beni demaniali e dei beni ecclesiastici, istituisce il corpo delle guardie doganali.
Vi è una sommossa il 6 a Roio del Sangro, dove sono ripristinate le bandiere duosiciliane e scacciate le guardie nazionali.
Il 7 un drappello del 42° fanteria, in marcia da Lanciano ad Atessa, in provincia di Chieti, è assalito da alcuni insorti, ma respinge l’assalto e cattura alcuni assalitori.
Sulla montagne tra Castro e Falvaterra, gli insorti, approfittando del marasma causato da Garibaldi, si lanciano in una cruenta offensiva e invadono i comuni di Campomaggiore, nel potentino, e Flumeri, nell’avellinese. Anche Sturno è occupato fino al 7. Intensi combattimenti vi sono per tutto il mese nell’Alta Irpinia: a Bisaccia, Guardia Lombardi, Monteleone, Pe-scopagano, Avigliano, S. Sossio, Ariano, Genzano, Frigenti.
L’8 la guardia nazionale di Accettura (Matera) sorprende il gruppo di Abriola e Cavalcante infliggendo loro numerose perdite.
A Salerno il 9 si ha una violenta manifestazione di garibaldini che riescono a far allontanare il prefetto Zoppi. Anche ad Avellino, Reggio Calabria e Foggia si hanno dimostrazioni a favore di Garibaldi.
A Torino è varata una legge che dispone una spesa straordinaria di lire 23.494.500 per l’acquisto e la fabbricazione di 676.000 fucili da destinarsi alle guardie nazionali. Il parlamento approva la “concessione Bastogi”, per effetto della quale il massone e banchiere livornese Bastogi ha la gestione delle linee ferroviarie meridionali unitamente a Lemmi ed Adami. Uno dei deputati che ha approvato la concessione confessa pubblicamente di aver ricevuto da Bastogi una regalia di un milione e centomila lire per votare a favore.
Si ha un violento scontro tra carabinieri ed un gruppo d’insorti a Calitri, sull’Ofanto.
Il 12 il governo emana un decreto che sottomette le autorità civili della Sicilia all’autorità del generale Efisio Cugia, nuovo prefetto di Palermo.
I resti del gruppo di Abriola e Cavalcante sono uccisi in un agguato da un reparto piemontese del 64° fanteria.
II 13 i guerriglieri occupano Zapponeta ed otto comuni del Vastese.
Il 15il governo emana un analogo decreto che sottomette tutte le autorità civili al generale La Marmora, prefetto di Napoli. I due decreti, pur essendo di una gravità eccezionale, non sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, allo scopo di non lasciarne traccia perché essi sospendono arbitrariamente le garanzie costituzionali. I provvedimenti in pratica creano una situazione di “stato d’assedio” in tutto il territorio delle Due Sicilie.
Verso la metà del mese vi è un’evasione in massa di detenuti dal carcere di Granatello di Portici. I detenuti, la maggior parte delinquenti comuni, vanno ad ingrossare le bande degli insorti.
Il deputato siciliano D’Ondes Reggio, il 15, invia una lettera al suo amico Marchese di Roccaforte affermando: «Garibaldi, finiamola una volta col linguaggio convenzionale, è un uomo arrisicato e coraggioso che nella spedizione di Sicilia doveva perire, eppure visse e trionfò, come uno il quale, buttandosi dal campanile di Nòtre Dame, invece di fracassarsi in cento pezzi, comincia a correre, e prendere un pallio; ma la cosa diventa meno straordinaria quando si scuopre che nel terreno vi era del fieno, e che delle corde, a cui afferarsi momentaneamente, scendevano già dal campanile. La Flotta che non lo mandò a fondo erano legni napoletani, ed i denari furono versati a larga mano a’ generali. Del resto Garibaldi è un idiota, incapace di comandare un reggimento. E un ambiziosissimo, ed è impazzito dall ‘adulazione di Mazzini e mazziniani… ».
In Sicilia lo stato d’assedio manifesta i suoi effetti il 17 in tutta l’isola, che diventa zona d’operazioni militari con la subordinazione di tutte le autorità civili a quelle militari. Neanche la magistratura può più interferire nell’opera dei militari.
Nel frattempo Garibaldi scorazza in lungo e in largo per la Sicilia, entrando a Catania il 18.
Il 19 un gruppo di insorti comandati da Fanti e Colombino assalta nei pressi di Villa S. Maria, a Lanciano, un drappello di carabinieri che fuggono. Gli insorti si recano poi nel comune di Montelapiano dove saccheggiano la casa del sindaco e del comandante della guardia nazionale.
Il Comune di S. Paolo è assalito il giorno 20 da un gruppo della resistenza locale, che dopo aver saccheggiato la caserma della guardia nazionale, si allontana indisturbato.
Il 22 Bastogi inizia i lavori per la costruzione di una ferrovia in Campania e costituisce la Società delle Strade Ferrate Meridionali. Del consiglio di amministrazione fanno parte ben 14 deputati piemontesi, che sono stati anche ricompensati con 675.000 lire per il loro interessamento. Vice presidente della società è nominato Bettino Ricasoli. Lo Stato accorda un sussidio a Bastogi di 20 milioni di lire e lo sfruttamento per 90 anni dei 1.365 chilometri di ferrovia previsti. Sono abbandonati i progetti duosiciliani che prevedevano il collegamento di Napoli con le principali città del Regno e sono pianificate solo linee ferroviarie nella direzione nord – sud. Tra i finanziatori vi sono la Cassa del Commercio di Torino, i fratelli Isaac ed Emile Pereire di Parigi, e la società di Credito mobiliare spagnolo (di cui Nino Bixio era consigliere di amministrazione). Tra i possessori delle azioni della società figurano il fratello di Cavour, il marchese Gustavo, il Nigra, il Tecchio, il Bomprini, il Denina, il Beltrami.
Nelle campagne di Scanno il 23 avviene un violentissimo scontro a fuoco tra una colonna del 6° reggimento fanteria con guardie nazionali e carabinieri e un gruppo formato da 25 insorti e da circa 50 spagnoli legittimisti. Lo scontro provoca numerosi feriti da ambo le parti, ma nessun insorto è catturato.
Dopo lo sbarco di Garibaldi avvenuto il 24 a Pietra Falcone, sulla spiaggia tra Melito e Capo d’Armi, lo stato d’assedio è esteso il 25 a tutto il Mezzogiorno. Il generale La Marmora è nominato con regio decreto Commissario straordinario con pieni poteri nelle 16 province napolitane. Per prima cosa dichiara ribelle Garibaldi, che si sta accingendo a risalire la penisola con il suo corpo di volontari. Raggruppamenti e riunioni devono essere sciolti; le armi d’ogni genere sono proibite; la stampa tipografica e la distribuzione di stampe, giornali, fogli d’ogni genere sono proibiti senza l’autorizzazione speciale dell’autorità politica, che ha la facoltà di sequestrare o sospendere o sopprimere qualsiasi pubblicazione. Sono rimossi alcuni prefetti che hanno tollerato manifestazioni a favore di Garibaldi: il prefetto di Foggia, Del Giudice, il prefetto di Bari, Cosenza e il prefetto di Lecce, Elia. Anche la posta è censurata. Le forze militari del Salernitano, della Basilicata e della Calabria abbandonano le piccole guarnigioni e si concentrano nei capoluoghi. Alla frontiera pontificia le truppe francesi si ritirano e si concentrano a Terracina, Frosinone e Velletri.
Vittorio Emanuele e Rattazzi, resisi conto, che certamente vi sarebbe stato un intervento militare francese nel caso di un’operazione contro Io Stato Pontificio, emanano una serie di provvedimenti che cambia bruscamente le loro non tanto nascoste intenzioni. Per eliminare ogni dubbio sui loro propositi decretano anche l’immediato scioglimento della Società emancipatrice e delle sue affiliate. Sono arrestati numerosissimi personaggi scomodi, alcuni a Napoli con l’accusa di essere camorristi sono deportati nelle isole Tremiti. I mulini isolati e le masserie sono chiusi e i lavoranti agricoli sono costretti a concentrarsi nei centri rurali, compreso il bestiame che è ristretto in località stabilite. Con tali disposizioni sono molto ridotte le attività agricole, la cui produzione è più che dimezzata. Approfittando dello stato d’assedio, le truppe saccheggiano numerosissime chiese.
Il re dà istruzioni all’ambasciatore in Grecia, Terenzio Mamiani, di alimentare dei disordini per favorire l’ascesa al trono di Atene del figlio Amedeo: l’attentissimo governo inglese, tuttavia, accortosi delle manovre, pone un nettissimo veto all’operazione.
I principali comandanti della resistenza di Terra d’Otranto si riuniscono nel bosco delle Pianelle, a nord di Taranto, per concordare l’unitarietà del comando e la condotta delle operazioni, ma anche per stabilire le zone di competenza. Il sergente Romano ha a disposizione oltre 300 uomini a cavallo, suddivisi agli ordini dei luogotenenti, per la maggior parte ufficiali dell’esercito duosiciliano: Cosimo Mazzeo (Pizzichicchio), Francesco Ferrante (Ciquagna),
Giuseppe Nicola La Veneziana, F.S. L’Abbate, Antonio Lo Caso (il capraro), Riccardo Colasuonno (Ciucciariello), Francesco Monaco e Giuseppe Valente (Nenna-Nenna, ex ufficiale garibaldino).
Tutta la Terra d’Otranto rimane sotto il controllo legittimista. Si prepara un’azione a Brindisi per liberare gli insorti incarcerati.
AS. Bartolomeo in Galdo, in provincia di Benevento, il 27, un distaccamento del 45° fanteria, dopo aver circondato un gruppo d’insorti accampati in una masseria, apre il fuoco contro gli accerchiati che riescono a sfuggire.
Il 28 il governo francese chiede al governo di Torino l’autorizzazione, in caso di gravi eventi, di occupare taluni punti del territorio napoletano. La proposta è respinta.
Sull’Aspromonte il 29 vi è uno scontro tra le truppe e i volontari di Garibaldi, che è intenzionalmente ferito e fatto prigioniero: 12 i morti e 40 feriti in totale. Sono fucilati a Fantina, senza processo, sette disertori piemontesi che erano con Garibaldi, che a seguito della cattura è rinchiuso per qualche tempo nel forte di Verignano. Pochissimi popolani l’avevano seguito nell’avventura. Il Tribunale Militare emette in seguito 109 condanne a morte, 19 ergastoli e 93 condanne ai lavori forzati. Circa 470 disertori piemontesi sono rinchiusi nel forte di Fenestrelle, dove si mescolano con i soldati duosiciliani.
Il 31 un reparto del 18° bersaglieri uccide tredici insorgenti ad Apice, in provincia di Benevento. I combattenti di Tristany hanno uno scontro a fuoco con gli zuavi pontifici nei pressi di Falvaterra e a Castronuovo.
Settembre
L’1 un gruppo di 84 insorti assale e disarma il drappello della guardia di finanza posto a guardia della ferrovia sul fiume Sinello nei pressi di Vasto. Subito dopo arriva un drappello misto di soldati del 42° fanteria e di carabinieri, che, sebbene accerchiato dagli insorti, riesce a salvarsi con una rapida fuga.
Nella notte tra il 4 e il 5 si verifica un terribile uragano nella zona di Cittaducale, dove il fiume Velino straripa e allaga tutto l’abitato di Antrodoco dove muoiono 42 persone.
Numerosi guerriglieri a cavallo attaccano reparti di stanza nell’Irpinia a Flumeri, a S. Sossio ed a Monteleone, alla masseria Franza (Ariano) e nei boschi di S. Angelo dei Lombardi.
Il gruppo di Varrone il 5 assale la guardia nazionale di Tramonti, vicino Salerno, e s’impossessa di armi e munizioni.
Il 6 anche gli insorgenti salernitani riescono a disarmare la guardia nazionale di Colliano, in provincia di Campagna. Il sindaco e il comandante della guardia nazionale di S. Paolo sono arrestati con l’accusa di aver protetto alcuni elementi della resistenza in Capitanata.
Notevole, il 7, lo scontro alla masseria Canestrelle, nel Nolano, avvenuto per iniziativa di bersaglieri e cavalleggeri che attaccano un gruppo di duecento insorti, che è costretto alla fuga, perdendo 15 uomini.
L’11, nei pressi della masseria Monterosso, tra Lacedonia e Carbonara, 160 insorti a cavallo, facenti parte dei gruppi di Crocco e Sacchetiello, accerchiano 25 bersaglieri del 20° battaglione comandati dal sottotenente Pizzi asserragliati in un edificio. Dopo aver incendiato l’edificio, gli insorti massacrano tutti i militari. I paesi di Aliano e Serravalle sono liberati dagli insorti che minacciano di invadere anche Matera.
Il 13 Giordano, con alcuni suoi uomini, in contrada Corvillo sulla strada per Cerreto Sannita, assale una carrozza su cui erano il comandante della guardia nazionale con quattro militi e il sindaco di Guardia Sanframondi. Nello scontro muore un insorto, Luigi de Simone.
Nei pressi di Accadia il gruppo a cavallo di Schiavone il 13 assale un reparto misto di bersaglieri e fanti del 22° che riescono a salvarsi con la fuga.
Il 14 i carabinieri, durante l’arresto di due sospetti nel paese di Pasellata, in provincia di Teramo, sono assaliti da una folla di oltre duecento persone che manifestano contro i piemontesi. Intervengono alcuni reparti del 41° fanteria che disperdono i dimostranti e imprigionano una ventina di persone.
Il 16, alcuni soldati del 6° fanteria, travestiti da contadini, scoprono i nascondigli di alcuni resistenti nei pressi di Sulmona che, il giorno dopo, sono assaliti e uccisi.
A Pantelleria le forze militari, che hanno instaurato in tutta l’isola la legge marziale, convincono quasi quattrocento isolani a collaborare. Formate tre colonne, il colonnello Eberhard, governatore militare dell’isola, fa avanzare il 18 le truppe a raggiera. Gli insorti sono nascosti in una profonda caverna posta quasi sulla sommità della Montagna Grande, a 848 metri d’altezza, in una posizione imprendibile. Traditi da un pecoraio, sono circondati e, dopo una sparatoria, sono costretti ad arrendersi a causa del fumo di zolfo acceso davanti alla caverna che ha reso l’aria irrespirabile. Ammanettati, sono fatti sfilare nelle strade di Pantelleria al suono di un tamburo e col tricolore spiegato. Tutte le spese dell’operazione, lire 637, sono a carico del comune. Sono incarcerati a Trapani, ma alcuni, tra cui due fratelli Ribera, riescono ad evadere dalle carceri della Colombaia. Dei rimanenti 14, processati il 14 giugno 1867, 10 sono condannati a morte per impiccagione e gli altri ai lavori forzati.
Il gruppo di Schiavone il 18 assale la guardia nazionale di Ariano e s’impadronisce di armi e munizioni.
Nel paese di Marina di Taranto, una folla inferocita assale un drappello di carabinieri che aveva arrestato un popolano. Uno dei carabinieri resta ucciso.
Il 21 a Celenza, in Capitanata, si ha uno scontro tra carabinieri ed il gruppo comandato da Varanelli.
Si apre nella Sala comunale del Mappamondo di Siena il decimo Congresso degli scienziati. I convenuti sono duecento, i quali, nell’adunanza del 22 settembre procedono alla votazione per la città che doveva essere sede del futuro Congresso ed è scelta, alla quasi unanimità, la città di Roma. Il professore Luigi del Punta, preposto del Collegio medico fiorentino, inneggia nel suo discorso a Vittorio Emanuele.
Nei pressi dell’abitato di Pietra, in Capitanata, si ha il giorno 22 un protratto scontro a fuoco tra insorti e guardie nazionali. Il giorno successivo si ha un altro scontro nei pressi di Casalnuovo.
A Roma, Francesco II si trasferisce con tutta la sua corte a Palazzo Farnese, di proprietà dei Borbone, dopo averlo fatto ristrutturare perché disabitato da secoli.
Il 24 un distaccamento del 49° fanteria cattura e fucila Michele Notarangelo, comandante della resistenza di Mattinata.
Sono catturati e fucilati dalle guardie nazionali di Roseto il 26 alcuni sospettati di appartenere alla resistenza. Un distaccamento del 26° fanteria cattura il comandante Antonio Piacentino e lascia il cadavere insepolto nella piazza di S. Giovanni Rotondo.
Il 29 un gruppo di insorti a cavallo assale nei pressi di Montesantangelo un distaccamento di truppe che hanno numerosi feriti e si salvano con la fuga.
Il 30 gli insorti comandati da Michele Caruso, dopo aver ucciso alcuni traditori nei presi di Manfredonia, sono inseguiti da un reparto misto di circa 200 soldati e guardie nazionali che li impegnano in combattimento al Passo del Corvo. Sopraggiunta la notte, Caruso insieme a tutto il suo gruppo riesce a sganciarsi dirigendosi verso Lucera.