Andreas Griphyus
Andreas Griphyus
Andreas Greif
Tutto è vano
Es ist alles eitel
Opere
Fewrige Freystadt, edito e commentato da Johannes Birgfeld. Laatzen: Wehrhahn 2006.
Sonette (Gedichtsammlung), Lissa 1637
Son- und Feyrtags-Sonette, Leida 1639
Leo Armenius, oder Fürstenmord (dramma), Regensburg 1660
Katharina von Georgien, oder bewehrete Beständigkeit (dramma), 1647-1657
Cardenio und Celinde, oder unglücklich Verliebte (dramma), Breslau 1661
Ermordete Majestät oder Carolus Stuardus König von Gross Brittannien (dramma), 1657; edizione completamente riveduta nel 1663.
Großmütiger Rechts-Gelehrter, oder Sterbender Aemilius Paulus Papinianus (dramma), Breslavia 1659.
Horribilicribrifax Teutsch (opera burlesca), edito da Gerhard Dünnhaupt. Stoccarda
Absurda Comica oder Herr Peter Squenz (farsa), edito da Gerhard Dünnhaupt e Karl-Heinz Habersetzer. Stoccarda
Verlibtes Gespenste / Die gelibte Dornrose (dramma doppio), Breslavia 1660
Die eigne Dekadenz (Poesia sul dubbio di sè), 1648
Abend [Kritisches Gedicht], 1650
Tränen in schwerer Krankheit (1663)
Es ist alles eitel (1637)
Principali traduzioni italiane
Notte, lucente notte. Sonetti di A. Gryphius, Marsilio,1993
40 sonetti in L. Lari,Commento a quaranta sonetti di A. Griphius, in Jacques e i suoi quaderni,n°22, Pisa 1994 (edizione 2010 in pdf)
Critica consigliata
Antologia della poesia tedesca, a cura di R. Fertonani- E. Giobbio Crea, Milano 1977
Hugo Bekker: Andreas Gryphius. Lang, Francoforte sul Meno 1973
Gerhard Dünnhaupt: Andreas Gryphius. in: Personalbibliographien zu den Drucken des Barock. volume 3. Hiersemann, Stoccarda 1991
Karl-Heinz Habersetzer: Andreas Gryphius. Glogau, Würzburg 1994
Nicola Kaminski: Andreas Gryphius. Reclam, Stoccarda 1998
Eberhard Mannack: Andreas Gryphius. Metzler, Stuttgart 1986
Friedrich-Wilhelm Wentzlaff-Eggebert: Andreas Gryphius. Darmstadt 1983
L. Lari,Commento a quaranta sonetti di A. Griphius, in Jacques e i suoi quaderni,n°22, Pisa 1994 (edizione 2010 in pdf)
P. Ariès, Storia della morte in Occidente. Dal Medioevo ai giorni nostri, tra. It. Di S. Vi-gezzi, Rizzoli, Milano 1978.
Links consigliati
lafrusta.homestead.com/fili_gryphius_poesie.html
www.poemhunter.com/andreas-gryphius/
jsq.humnet.unipi.it/Gryphius.pdf
***
Nota sulla Scuola Slesiana
Raggruppamento di poeti tedeschi del periodo barocco, che ebbe uno dei suoi centri d’irradiazione in Slesia. I suoi membri erano per lo più di origine borghese e legati alle corti. La prima scuola slesiana, in cui rientrano S. Dach, P. Fleming, A. Gryphius, F. von Logau, fece capo alla poetica tardo rinascimentale di M. Opitz; la seconda, più propriamente barocca, a C. von Hofmannswaldau e a D. von Lohenstein.(www.sapere.it)
Nota sulla Società o Accademia dei Carpofori o Societas fructifera, in tedesco: Fruchtbringende Gesellschaft
La Fruchtbringende Gesellschaft nasce presumibilmente il giorno del funerale della duchessa Dorotea Maria di Sassonia-Weimar , il 24 agosto 1617.
In quell’occasione, attorno alla Presidenza di Luigi I di Anhalt-Köthen, un gruppo di nobili decide di associarsi, con lo scopo di preservare il purismo della lingua tedesca e di trasmettere la letteratura e cultura tedesca – quale segno dell’ orgoglio nazionale- in tutte le sue forme : umanistica, artistica e scientifica.
Questa associazione modellata sulla già presente ed attiva Accademia della Crusca italiana, diviene la più grande ed articolata dell’epoca Barocca, con i suoi 890 membri.
Dal 1617 al 1650 il Presidente è il principe Luigi I di Anhalt-Köthen, che stabilisce ai membri di scegliere uno pseudonimo, azzerando le differenze sociali degli accoliti, non tutti nobili.
Per permettere alle donne di accedere ad un’organizzazione simile, viene fondata la Nobile Accademia dei Leali, dalla principessa Anna di Anhalt-Bernburg.
I successivi Presidenti della Società sono dal 1651 al 1662 Guglielmo di Sassonia-Weimar e dal
1667 al 1680 Augusto di Sassonia-Weissenfels.
Dopo aver raggiunto l’apice della sua diffusione, accogliendo anche importanti personalità straniere come Ottavio Piccolomini ,essa perse progressivamente la propria funzione aggregativa dell’aristocrazia e della nobiltà originaria , fino a scomparire con la fine della presidenza del terzo reggente.
Biografia e poetica
( a cura di Barbara Spadini)
Andreas Gryphius, latinizzazione del cognome Greif, nasce il 2 ottobre 1616 a Glogau, in Slesia.
Paul, il padre di Andreas è un pastore a Neusalz sull’Oder (Slesia); nel 1585 si trasferisce a Steitsdorf e nel 1602 a Glogau, come arcidiacono della chiesa luterana. Dopo la morte della prima moglie, Barbara Noak, e della seconda, Marie Emlich, dalle quali ha rispettivamente due e tre figli, sposa Anna Erhard, figlia di un ufficiale dell’esercito. Da questo matrimonio nascono : Christian, Caspar e Andreas.
Il 5 gennaio 1621 muore improvvisamente Paul Gryphius : Andreas ha solo quattro anni e la vedova si risposa l’anno successivo con Michael Eder, professore al ginnasio evangelico di Glogau, scuola che Andreas inizia a frequentare dalla primavera del 1622, prediligendo tra gli insegnanti Jacob Rolle, pedagogo e poeta.
A causa delle vicende di guerra il ginnasio viene chiuso e sostituito da una scuola retta dai Gesuiti, inaugurata nel 1626.
I cittadini a maggioranza protestante si ribellano, ma un reggimento di dragoni entrato a viva forza in Glogau il 28 ottobre 1628 costringe alla fuga coloro che decidono di non abiurare in favore del cattolicesimo.
Tra gli esiliati, costretti per legge a lasciare i figli minori fino a quindici anni se maschi e tredici se femmine, è anche Michael Edel, patrigno di Andreas.
Il dodicenne Andreas,quindi, che aveva perduto il 21 marzo di quell’ anno anche la madre, rimane a Glogau con la sorellastra Anna.
Solo nel novembre del 1629 può raggiungere il patrigno a Driebitz, paese al confine polacco tra Glogau e Fraustadt, ove continua gli studi privatamente e sotto la sua guida.
Eder, Magister di filosofia a Lipsia,era infatti un insegnante, ma anche un poeta ed esperto di latino e greco.
Nel 1629 Eder si risposa con la diciottenne Maria Rißmann, amante di musica e poesia.
Le poesie sulla sua morte prematura ( a venticinque anni), nel 1637 e la dedica della prima raccolta di sonetti di Gryphius, fanno comprendere il bellissimo rapporto affettivo e culturale instaurato con la giovane matrigna, una donna che resterà sempre nel cuore di Andreas , importantissima per la sua formazione.
Nel 1631 Andreas è a Görlitz, ove conta di terminare i suoi studi. La guerra lo costringe invece a ritornare a Glogau dove trova la città distrutta, le scuole chiuse ed un’epidemia di peste in corso.
Lasciata la città natale, Andreas raggiunge Rückersdorf, in Franconia, ospite del fratellastro Paul, pastore della città, recandosi successivamente a Frastadt, ove anche il patrigno Eder era nel frattempo divenuto pastore.
La città di confine e sotto il controllo polacco non era stata sconvolta dalle vicende della guerra e vi si respirava un clima sereno e culturalmente stimolante: Andreas inizia qui il ginnasio nel 1632, manifestando anche il proprio talento letterario.
E’ di questo periodo l’approccio alla composizione , con un poema epico Herodis furiae et Rachelis lachrymae, di ben 1071 esametri, un impegno non comune per un giovane sedicenne.
Nel maggio 1634 Andreas ed alcuni compagni viaggiano a Danzica, con l’intento di iscriversi al prestigioso ginnasio accademico locale.
Gryphius è ospitato provvisoriamente dal rettore Johann Botsack, svolgendo l’attività di precettore privato per potersi pagare la retta della scuola. In questa città viene introdotto nella buona società e nei circoli intellettuali, avendo anche la possibilità di frequentare le varie librerie.
Professore di eloquenza al ginnasio era Johann Mochinger, amico di Martin Opitz. Attraverso il proprio professore Gryphius conosce l’opera di Opitz , decidendo di dedicarsi alla poesia in tedesco,soprattutto dei sonetti. Compone comunque un’opera in latino, apparsa nel 1635 Die Vindicis Impetus et Herodis Interitus, che ha per tema la fine del tiranno.
Opitz era legato da amicizia anche ad un altro docente del ginnasio, il matematico e astronomo Peter Crüger. Proprio Crüger eserciterà una grande e duratura influenza su Andreas, che manterrà sempre un grande interesse per l’astronomia.
Nel luglio del 1636 Andreas torna a Fraustadt dal patrigno, trasferendosi nella casa di Georg von Schönborner, in veste di precettore dei suoi figli .
Georg Schönborner, giurista e funzionario amministrativo, era un uomo estremamente colto e dedito alla poesia.
Avendo riconosciuto il talento di Gryphius, gli apre la sua preziosa biblioteca, permettendogli di studiare e formarsi in varie discipline.
Il 30 novembre1637 Andreas riceve da Schönborner, in qualità di conte palatino imperiale, l’alloro di “Poeta laureatus.
Gli vengono conferiti anche la nomina di Magister di filosofia e un titolo nobiliare.
Le condizioni di salute precarie di Schönborner peggiorano e lo condurranno rapidamente alla morte, il 23 dicembre 1637.
Nell’estate del 1638 Gryphius accompagna i figli di Schönborner in Olanda, ove conosce lo slesiano poeta Christian Hofmann von Hofmannswaldau, studente di giurisprudenza a Leida , che da allora fu suo prezioso amico.
Nello stesso anno Andreas inizia a frequentare i corsi di filosofia all’Università di Leida,
Gryphius ha qui la possibilità di frequentare anche seminari di diritto e di medicina.
In campo medico – in questo periodo- stava affiorando l’interesse scientifico verso lo studio dell’anatomia . Andreas si appassiona a tali studi, sotto la guida del professore Otto Heurnius e partecipa a esercitazioni nelle sale anatomiche.
Questo interesse per Gryphius, umanista, filosofo e ispirato religiosamente dalla Riforma, non è un mero esercizio di medicina sperimentale, ma un modo per rendersi conto- con fede e Ragione- dell’autentica realtà del vivere, condizionata dalla vanità e caducità della vita umana, le cui miserie corporali, le cui finitezze, gli appaiono chiare innanzi ad un corpo senza vita, spoglio di nobiltà, denudato dal potere, dalle ambizioni, dai sentimenti, dalle speranze.
A Leida Gryphius incontra Claudius Salmasius, famoso filologo e giurista, avvicinandosi alla sua idea di stato assoluto e patriarcale, secondo un ordinamento imposto da Dio.
Tra il 1639 e il 1643 Gryphius tiene una serie di seminari in qualità di Magister, con interventi di metafisica, geografia, trigonometria, logica, fisiognomica, arte tragica, filosofia peripatetica e neoterica, astronomia, storia, poetica, chiromantica, filosofia naturale con parte teoretica e matematica, anatomia.
Questo elenco, trasmesso dalla testimonianza di contemporanei, fa largamente comprendere a che punto fosse arrivata la preparazione culturale ad amplissimo raggio d’interesse di Andreas, allora ventitreenne una preparazione che viene ulteriormente ampliata con lo studio delle lingue straniere, che lo porta a conoscerne almeno undici.
Nelle sue opere è possibile infatti ravvisare la sua conoscenza del latino, greco ed ebraico, la capacità di tradurre dall’olandese, dal francese e dall’italiano. Comprende l’inglese, lo svedese e il polacco e studia anche alcune lingue orientali. Grazie a ciò, può iniziare la sua preparazione nella geografia ed etnologia, scienze che lo avvicinano alla realtà di tanti paesi stranieri, di cui Gryphius ama anche l’arte.
E’ certa la sua grande passione per le arti figurative, in particolare per la pittura emblematica di gusto e stile olandese, che coniuga la sapienza estetica del segno, della forma e del colore con quella della metafora e dell’insegnamento etico.
In questo periodo della sua vita Gryphius si interessa anche della drammaturgia olandese, un influsso che lo condurrà a cimentarsi nella composizione di opere per il teatro.
Dal 1639 si inaugura per Gryphius una felice stagione compositiva legata ai sonetti, che vertono alla parafrasi ed al commento di temi biblici- religiosi: Andreae Gryphii Philos et Poet Sonundt Feyertags Sonnete, in cento sonetti e nel 1643 Sonnete, Das erste Buch ,opera in 50 sonetti, 29 dei quali sono rielaborazioni . Segue Oden, Das erste Buch e i primi libri di epigrammi in latino e in tedesco: Epigrammatum liber I e Epigrammata, Das erste Buch.
Il primo comprende 67 epigrammi preceduti da poesie di carattere religioso; il secondo invece è di cento poesie (in alessandrini) che mettono in luce vizi e difetti degli uomini contemporanei, sulla scorta di una tradizione che va da Marziale ad Angelus Silesius (Johannes Scheffler).
Nel 1644, Andreas si reca in Francia, con l’amico Wilhelm Schlegel, figlio di un ricco commerciante di Stettino ed altri quattro giovani nobili. A Parigi il gruppo visita la biblioteca del cardinale Richelieu, aperta al pubblico.
Tra le poche notizie rimaste relative a questo viaggio, certo è l’incontro di Gryphius con Ugo Grozio, ambasciatore svedese a Parigi.
Dopo una visita ad Angers, proseguono per l’Italia.
La compagnia rimane alcuni mesi a Firenze ove Gryphius si interessa di teatro e operistica, traducendo la commedia La balia di Girolamo Razzi.
Nel 1646 Andreas visita Roma, Frascati ( villa Aldobrandini) e rimane colpito soprattutto dalla visita alle catacombe.
A Roma conosce Giuseppe Francesco Borri, noto alchimista e guaritore,che verrà in seguito chiamato dal poeta per porre rimedio alla malattia della figlia.
sulla via del ritorno, Andreas visita Bologna e l’ Università nella quale ambienterà il dramma Cardenio und Celinde.
Visita Ferrara e Venezia, dove il 9 maggio 1646 consegna al Senato della Repubblica, il suo poema epico in latino Olivetum, Libri tres, stampato a Firenze e la cui dedica al Senato veneziano è datata Roma 13 febbraio 1646.
Gryphius trascorre poi a Strasburgo un periodo sereno e produttivo : consegna al tipografo Caspar Dietzel due libri di odi e quattro di sonetti, la sua prima tragedia, Leo Armenius, rielaborando anche i Sonn und Feiertagssonette
Nel 1647 si trasferisce a Spira e Magonza, poi a Francoforte e Colonia rientrando successivamente in Olanda.
Soggiorna a Stettino e a Fraustadt ove incontra il patrigno Michael Eder, risposatosi con Juliana Vechner e da due anni gravemente malato.
E’ di questo periodo il profondo legame d’amicizia con Daniel Czepko con il quale condivide non solo l’impegno poetico ma anche sociale della difesa dei protestanti perseguitati in Slesia.
Nel maggio del 1648 Gryphius rifiuta una cattedra di matematica all’università di Francoforte e altre due,all’università di Heidelberg e di Upsala.
Il 27 novembre 1648 Gryphius si fidanza con Rosina Deutschländer, figlia di un ricco commerciante di Fraustadt, sposandola in pochi mesi.
Dal matrimonio nascono sette figli, quattro dei quali , Konstantin, Theodor, Maria ed Elisabeth, muoiono nell’infanzia; Daniel muore a Napoli a ventiquattro anni, nel 1687, Anna Rosina si ammala fin da bambina e muore a quarantaquattro anni a Breslavia mentre il figlio maggiore, Christian (1649-1706) diviene poeta ed erudito,rettore del Magdalenengymnasium di Breslavia e in seguito primo curatore delle opere edite e inedite del padre di cui pubblica l’edizione completa nel 1698.
Dopo il ritorno dai propri viaggi, Gryphius compone le tragedie Cardenio und Celinde e Carolus Stuardus e si cimenta nel genere della commedia con il Peter Squentz e lo Horribili-cribrifax, dovute certamente all’ispirazione positiva della commedia dell’arte italiana, che rinvigorisce e rigenera la sua vena creativa.
Inizia per Gryphius una stagione di fecondo impegno politico: il 3 maggio 1650 assume la carica di Syndicus degli Stati di Glogau: compito preminente del Sindacus, quello di difendere gli interessi politici, sociali, finanziari, culturali e tradizionali della comunità.
Questo impegno politico, religioso ed etico, che Gryphius assolve nell’ottica di protestante convinto,gli conferisce consensi e stima.
Nel 1656 Gryphius si allontana da Glogau con la famiglia per scampare all’epidemia di peste e trova riparo presso Johann Christian von Schönborn. Qui mette a punto una nuova edizione delle proprie opere.
Nel 1657 il primo libro Andreae Gryphii Deutscher Gedichte Erster Teil, viene pubblicato a Breslavia, che è composto da 200 sonetti quattro libri di odi e i Kirchhofsgedanken; dalle opere teatrali Leo Armenius, Catharina von Geor-gien, Carolus Stuardus, Cardenio und Celinde; dal testo per l’opera musicale Majuma e dalla traduzione Felicitas.
Un episodio interessante della vita di Andreas è del 7 febbraio 1658, quando partecipa alla dissezione di due mummie egizie, in possesso della Krausische Apotheke di Breslavia .
Nel 1662 in uno scritto in latino, sulla scia del profondo interesse di Gryphius per l’anatomia, ricordo dell’università di Leida, Mumiae Wratislavienses, egli descrive con minuzia la mummia femminile esaminata e confronta le proprie impressioni ed esperienze con analoghe trattazioni di altri , in particolare con l’Oedipus Aegyptiacus (1652-54) di Athanasius Kircher.
Gryphius poi compone la sua ultima tragedia: Papinian.
Viene accolto nel 1662, con il nome di “der Unsterbliche“ ( l’immortale) nella Societas Fructifera ( Società dei Carpofori, o Fruchtbringende Gesellschaft), su proposta di Johann Wilhelm von Stubenberg .Nel registro di Köthen della società si trova l’iscrizione di Grypius sotto il numero 788, il motto attribuitogli, wegen verborgener Kraft (in italiano, grazie alla forza nascosta) e il simbolo Orant (fedele orante).
Nel 1663 a Breslavia viene pubblicata l’edizione che raccoglieva : Freuden- und Trauerspiele auch Oden und Sonette e vengono sono riuniti in tre libri, anche gli epigrammi latini e tedeschi: Epigrammata, Oder Bey-Schrifften.
Nel corso di una seduta del Consiglio degli Stati di Glogau, il 16 luglio 1664, Gryphius muore all’improvviso per un colpo apoplettico.
Nel 1698, Christian Gryphius cura l’edizione completa delle opere del padre: Andreae Gryphii um ein merckliches vermehrte Teutsche Gedichte, accludendovi anche una serie di scritti postumi e riferendo varie informazioni su opere incompiute o andate perdute.
Di certa valenza simbolica, la nota sotto riportata che mostra quanto il misticismo e l’interesse biblico religioso avesse plasmato la formazione di Andreas Gryphius:
“ L’argomento centrale dell’interpretazione di Szyrocki riguardo ai so-netti di Lissa (Der junge Gryphius, pp. 84 ss.) concerne il principio di com-posizione numerico-simbolico. Lo stesso titolo della raccolta appare e-semplarmente costruito sulla valenza mistico-religiosa dei numeri:
ANDREAE
GRYPHII
SONNETE
I tre vocaboli equivalenti constano di 7 lettere o 3 sillabe ciascuno. La somma dei loro prodotti, 7×3 + 3×3 = 30, corrisponde esattamente al numero dei sonetti della raccolta (escluso il sonetto conclusivo estraneo per la sua peculiare funzione alla struttura basilare). Il numero 30, nel suo significato religioso, è composto dai moltiplicatori 3, simbolo trinario, e 10, indicatore di perfezione e allusivo al decalogo mosaico. Si possono inoltre ricavare, sempre in riferimento alla composizione del titolo, ulte-riori operazioni aritmetiche:
lettere 7×7×7 = 343 (3+4+3 = 10)
sillabe 3×3×3 = 27 (2+7 = 9) [3×3]
¯¯¯¯¯
370 (3+7 = 10)
Anche il ricorrente numero 7 possiede un valore simbolico: la manifesta-zione della verità. La composizione di 7 e 3 nel titolo introduce quindi il contenuto della raccolta nel segno della rivelazione [7] divina [3]. L’interpretazione trova conferma nell’argomento del sonetto conclusivo che concerne il problema della verità4.
La suddivisione tematica proposta da Szyrocki delinea una conforma-zione simmetrica. I 30 sonetti della raccolta sono ripartibili in 7 gruppi:
(i numeri romani indicano i gruppi, le cifre arabe il numero di sonetti in essi compresi)
I 5 – II 4 – III 3 – IV 6 – V 3 – VI 4 – VII 5.
Specularmente si corrispondono, irradiandosi dal centro (IV 6) i gruppi I – VII (5) / II – IV (4) / III – V (3). La complessa architettura è sinte-tizzata da Szyrocki in uno schema, il cui valore – avverte l’interprete – è solo ordinativo:
Versi dedicatori Versi conclusivi
(5) Redenzione I VII Mondo in rovina (5)
(4) Caducità II VI Amore (4)
(3) Regno dei cieli III V Sapienza (3)
(Famiglia Gryphius) (Famiglia Schönborner)
IV Lode
(Mecenate)
6
Tradotto nella mistica dei numeri e presentato con particolare efficacia visiva ecco il quadro riassuntivo:
I | II | III | IV | V | VI | VII
1,2,3,4,5|6,7,8,9|10,11,12|13,14,15,16,17,18|19,20,21|22,23,24,25|26,27,28,29,30
V AN I T|AS VA| N I T | A T U M E T | O M N | I A V A | N I T A S
5 4 3 6 3 4 5
2 × 6 + 6 + 6 × 2
I due raggruppamenti speculari (5,4,3/3,4,5) contano 12 sonetti ciascuno, cioè raddoppiano quei 6 sonetti che costituiscono il corpo centrale della raccolta. Palese è l’allusione biblica: 666 è il numero della Bestia nell’Apo-calisse giovannea (Ap. 13, 18).
Nella raccolta di Lissa Szyrocki individua proprio nel 6 la cifra simbo-lica basilare, a immagine del pensiero di caducità. Una prima, evidente legittimazione la fornisce il titolo del 6° sonetto: VANITAS VANITATUM ET OMNIA VANITAS; il motto dell’intera raccolta, citazione dal celebre prologo dell’Ecclesiaste (1, 2), è l’unico a comparire con caratteri maiuscoli ed è – per Szyrocki non casualmente – composto esattamente da 30 lettere, una per ogni sonetto del libro. Il consapevole intento architettonico di Gryphius vuole dunque comunicare una rivelazione [7] divina [3] = la caducità [6] di tutto ciò che è terreno”. ( L. Lari,Commento a quaranta sonetti di A. Griphius, in Jacques e i suoi quaderni,n°22, Pisa 1994 (edizione 2010 in pdf)
Da questo articolo, è visibile la verità ultima della poetica di Gryphius che sta in un sempiterno “ -1”(meno uno).
La Mistica, religiosa cristiana, cabalistica,esoterica conferisce la valenza perfetta ed eterna al numero sette, 4+3, 3+3+1.
Questo è il numero dell’Eterno, del Divino, del Principio, di Dio.
E’ evidente che 3+3, ovvero 7-1, diviene il numero simbolo della condizione del caduco, del terreno, dell’imperfetto per eccellenza. L’umanità è “-1” rispetto a Dio; Vanitas è “-1” rispetto all’ Eterno.
Nella concezione di Gryphius il caduco eccellente è l’Uomo.
Tutta la produzione del poeta ci riporta a questa considerazione, ovvero all’antitesi fra umano e divino come stato permanente delle cose, uno stato che non è superabile né perfettibile, ma va accettato, come va accettato il Destino , un Fato già scritto che priva tutta l’umanità della possibilità di scelta.
In questa chiave religiosa di profonda matrice protestante, ove non esiste salvezza al di fuori della Grazia di Dio, ove le opere buone degli uomini non elevano al riscatto, è opportuno leggere tutta l’opera di Gryphius, uomo coltissimo, studioso rispettato , poeta onorato, personalità politica stimata che in vita ebbe fama e riconoscimenti come pochi altri.
Eppure l’antitesi tempo- Eternità- entro la quale Andreas Gryphius riconosce come provvisoria la vita dell’uomo e quindi anche e soprattutto la propria, leggendovi le pagine dolorosissime del suo viaggio terreno-domina le sue liriche, le sue tragedie, in un alterno ritmo di Fortuna e di Vanitas che coinvolge ogni essere ed anche tutta la società a lui contemporanea, scossa dalla tragedia della Guerra dei Trent’anni.
La morte prematura dei suoi genitori prima, della matrigna poi, di quasi tutti i suoi figli; la visione del dilagare della guerra, con le piaghe di distruzioni e malattie (la peste)che essa comportava; la comparazione col passato – di cui restano catacombe e mummie- a testimonianza della fragilità del vivere, portano Gryphius ad una visione pessimistica totalizzante, che risuona in ogni sonetto lasciando percepire anche al lettore di oggi la sofferta spiritualità ed il senso di angoscia incombente nel Seicento tedesco ed europeo, spezzati solo dalla ricerca e rifugio nella Fede quale speranza di riscatto oltre la vita.
La pittura emblematica del tempo, in particolare le raffigurazioni della Vanitas, che andrebbe utilizzata quale sfondo perfetto alla lettura dei sonetti di Gryphius , sarebbe pagina da non trascurare, approfondendo queste brevi note critiche attraverso la lettura degli articoli del sito : www.baroque.it/arte…/arte-barocca-pittura.php , che chi scrive si permette di consigliare.
Nota
Giuseppe Francesco Borri, alchimista
Da Wikipedia
Giuseppe Francesco Borri (Milano, 4 maggio 1627 – Roma, 20 agosto 1695) è stato un alchimista, medico e avventuriero italiano.
Nato in una famiglia nobile (suo padre, Branda Borri, era medico) fece i primi studi nel seminario dei gesuiti di Roma, dove insegnava l’erudito Athanasius Kircher, ma ne fu espulso nel 1649 per aver capeggiato una rivolta di studenti.
Entrato a servizio come paggio in Vaticano, compì studi di medicina e alchimia. Nel 1656 si spostò a Milano a causa del colera, e, probabilmente affetto da lue, si curò con un farmaco a base di mercurio, che lo mandò in delirio mistico.
Capeggiò a Milano nel 1658 la rivolta antispagnola di un gruppo di giovani dell’oratorio di san Pelagio. I rivoltosi furono arrestati e subirono il processo dell’Inquisizione. Borri fuggì in Svizzera e fu condannato per eresia in contumacia; la sua effigie fu bruciata nel 1661 a Roma in Campo de’ Fiori.
In Svizzera il Borri continuò a curarsi col mercurio e con la grande pratica del farmaco e i suoi studi di medicina iniziò ad intrapendere la professione di medico che curava la sifilide. Si spostò a Innsbruck, poi a Strasburgo e infine ad Amsterdam, dove ebbe un grande successo come medico, e curò la sifilide a molti importanti personaggi della sua epoca[1].
L’abilità presa a trattare il mercurio in tutti i suoi composti ne fece il più brillante alchimista dell’epoca, e già ad Amsterdam nel 1664 pubblicò il suo primo testo alchemico: Specimina Quinque Chymiae Hyppocraticae.
Ma, a causa dei molti debiti, fu costretto ben presto a fuggire anche da Amsterdam. In una sua lettera racconta che nel 1666 incontrò ad Amburgo l’ex regina Cristina di Svezia, incassando un’ingente somma di denaro per un’imprecisata operazione. Poi si spostò a Copenaghen alla corte di Federico III di Danimarca, e per sfuggire ai molti persecutori adottò un falso nome danese e con lo pseudonimo latinizzato di Olaus Borrichius pubblicò tutti i successivi suoi testi di alchimia e filosofia ermetica, testi di capitale importanza, che furono studiati anche da Isaac Newton.
Nel 1670 morì il re Federico III, suo protettore, e le persecuzioni lo costrinsero a fuggire dalla Danimarca. Oramai perseguitato dalle autorità sia cattoliche che protestanti e non potendo più restare in Europa, si travestì da turco per andare ad Istanbul, ma in Moravia fu catturato come spia; l’imperatore d’Austria lo consegnò all’Inquisizione a causa della sua precedente condanna.
Di nuovo a Roma, recluso nelle carceri del sant’Uffizio con l’accusa di eresia et venificium, fu costretto ad abiurare in pubblico nel 1672. Nel 1678 gli fu concessa la semilibertà sotto raccomandazione dell’ambasciatore di Francia, che aveva guarito miracolosamente, e iniziò per lui un periodo felice in cui gli fu permesso di esercitare la sua professione medica. Venne accolto anche nelle corti patrizie romane, ufficialmente come alchimista sotto il falso nome di Giustiniano Bono. Nel 1680 aiutò il marchese Palombara ad edificare la famosa Porta Alchemica i cui resti oggi si trovano in piazza Vittorio, sull’Esquilino.
Morì il 20 agosto 1695 per febbri malariche in Castel Sant’Angelo.
Scelta di poesie
Le traduzioni dei sonetti sono di Enrico De Angelis (in Andreas Gryphius, Notte lucente notte, 1993)
Vber die Geburt Jesu
Nacht / mehr denn lichte Nacht! Nacht / lichter als der Tag /
Nacht / heller als die Sonn’ / in der das Licht geboren /
Das Gott / der Licht / in Licht wohnhafftig / ihm erkohren:
O Nacht / die alle Nächt’ und Tage trotzen mag!
O freudenreiche Nacht / in welcher Ach und Klag /
Vnd Finsternüß / und was sich auff die Welt verschworen
Vnd Furcht und Höllen-Angst und Schrecken war verlohren.
Der Himmel bricht! doch fällt numehr kein Donnerschlag.
Der Zeit und Nächte schuff / ist dise Nacht ankommen!
Vnd hat das Recht der Zeit / und Fleisch an sich genommen!
Vnd unser Fleisch und Zeit der Ewikeit vermacht.
Der Jammer trübe Nacht / die schwartze Nacht der Sünden
Des Grabes Dunckelheit / muß durch die Nacht verschwinden.
Nacht lichter als der Tag! Nacht mehr denn lichte Nacht!
I, 3 Nascita di Gesù
Notte, lucente notte! Notte, più chiara tu del giorno!
Notte, più splendida del sole, che luce dai alla luce,
che Dio – luce di luce – elesse alla sua luce,
notte trionfante di ogni notte e giorno!
Gioiosa notte, che metti in fuga tenebre
e singhiozzi, l’odio portato al mondo,
le paure, i terrori e orrori atroci.
Si squarcia il cielo ma non ne cadon fulmini.
Eccolo in questa, chi fece notti e tempi,
eccolo carne ed obbediente al tempo:
la nostra carne e tempo han pegno eterno!
Il fosco dei dolori, il nero dei peccati,
il buio della tomba disperde questa notte.
Notte, più chiara tu del giorno! Notte, lucente notte!
An den gecreutzigten JEsum
Sarbievii: Hinc ut recedam
Hlr wil ich gantz nicht weg! laß alle Schwerdter klingen!
Greiff Spiß und Sebel an! brauch aller Waffen Macht
Vnd Flamm’ / und was die Welt für unerträglich acht.
Mich sol von disem Creutz kein Tod / kein Teufel dringen.
Hit wil ich / wenn mich Ach und Angst und Leid umbringen /
Wenn Erd’ und Meer auffreisst / ja wenn der Donner Macht /
Mit dunckel-rotem Blitz auff meinem Kopffe kracht /
Ja wenn der Himmel fällt / hir wil ich frölich singen.
Weil mir die Brust noch klopfft / auch weder dort noch hir /
Vnd nun und ewig sol mich reissen nichts von dir.
Hir wil ich / wenn ich soll / den matten Geist auffgeben.
Du aber / der du hoch am Holtz stehst auffgericht;
HErr ]Esu / neig herab dein bluttig Angesicht /
Vnd heiß durch deinen Tod im Tod mich ewig leben!
I, 6 A Gesù crocifisso
Sarbievii: Hinc ut recedam.
Da qui non voglio muovermi! Agita pur le spade
impugna asta e lancia, fatti forte d’ogni arma
e di fiamme e di quanto c’è di più atroce.
Da questa croce né morte né demonio mi trarrà.
Qui, pur se mi uccidono paure e pena,
se terra e mare s’aprono e se il vigor dei fulmini
guizzanti rosso-scuri mi esplodono sul capo,
se pur cade il cielo, voglio cantar felice.
Finché mi batte il cuore, né qui né altrove
e né mai né ora ci sarà chi mi smuova.
Qui, quando dovrò, darò lo stanco spirito.
Ma tu, drizzato lassù in croce,
Gesù Signore china il ferito volto
e fammi, con la tua morte, eterno nella morte.
Es ist alles Eitel
Dv sihst / wohin du sihst nur Eitelkeit auff Erden.
Was diser heute baut / reist jener morgen ein:
Wo itzund Städte stehn / wird eine Wisen seyn /
Auff der ein Schäfers-Kind wird spilen mit den Herden:
Was itzund prächtig blüht / sol bald zertretten werden.
Was itzt so pocht und trotzt ist Morgen Asch und Bein /
Nichts ist / das ewig sey / kein Ertz / kein Marmorstein.
Itzt lacht das Glück uns an / bald donnern die Beschwerden.
Der hohen Thaten Ruhm muß wie ein Traum vergehn.
Soll denn das Spil der Zeit / der leichte Mensch bestehn?
Ach! was ist alles diß / was wir vor köstlich achten /
Als schlechte Nichtikeit / als Schatten / Staub und Wind;
Als eine Wisen-Blum / die man nicht wider find’t.
Noch wil was Ewig ist kein einig Mensch betrachten!
I, 8 Tutto è vanità
Dovunque guardi, vedi nel mondo solo vanità.
Ciò che questi oggi fa, costui doman lo disfa:
dove oggi son città, ci sarà solo un prato
sul quale un pastorello giocherà con il gregge:
quant’ora splendido fiorisce sarà presto calpestato,
quant’ora è tronfio e altero domani è ossa e cenere,
niente c’è che sia eterno, marmo o ferro che sia.
Ora ci arride la fortuna, ma ecco rintronano i lamenti.
Gloria di grandi imprese svanisce – non c’è scampo – come un sogno.
E il trastullo del tempo, l’uomo vano, dovrebbe invece reggere?
Ahimè, che cosa è mai quel che per noi è prezioso
se non un vuoto nulla, un’ombra, vento e polvere?
se non un fior di campo, che più non si ritrova?
Né su quello che è eterno vuole alcun meditare.
VANITAS VANITATUM ET OMNIA VANITAS.
Es ist alles gãtz eytel. Eccl. I. V. 2.
Ich seh’ wohin ich seh / nur Eitelkeit auff Erden /
Was dieser heute bawt / reist jener morgen ein /
Wo jtzt die Städte stehn so herrlich / hoch und fein /
Da wird in kurtzem gehn ein Hirt mit seinen Herden:
Was jtzt so prächtig blüht / wird bald zutretten werden:
Der jtzt so pocht und trotzt / läst ubrig Asch und Bein /
Nichts ist / daß auff der Welt könt unvergänglich seyn /
Jtzt scheint des Glückes Sonn / bald donnerts mit beschwerden.
Der Thaten Herrligkeit muß wie ein Traum vergehn:
Solt denn die Wasserblaß / der leichte Mensch bestehn
Ach! was ist alles diß / was wir vor köstlich achten!
Als schlechte Nichtigkeit? als hew / staub / asch und wind?
Als eine Wiesenblum / die man nicht widerfind.
Noch will / was ewig ist / kein einig Mensch betrachten!
VANITAS VANITATUM ET OMNIA VANITAS.
Tutto è vanità. Eccl. 1, 5, 2.
Dovunque io guardi, vedo nel mondo solo vanità;
ciò che questi oggi fa, costui doman lo disfa;
dove oggi son città, splendide alte e fiere,
vi andrà un pastor tra breve a pascolar le greggi:
quant’ora splendido fiorisce sarà presto calpestato,
quant’ora è tronfio e altero si lascia dietro cenere,
niente è che al mondo possa non mai perire,
ora irraggia la fortuna, ma ecco rintronano i lamenti.
Svanisce splendore delle imprese – non c’è scampo – come un sogno,
e questa bolla d’acqua, l’uomo vano, dovrebbe invece reggere?
Ahimè, che cosa è mai quel che per noi è prezioso?
se non un vuoto nulla, paglia, vento, cenere e polvere?
se non un fior di campo, che più non si ritrova?
Né su quello che è eterno vuole alcun meditare.
Thränen in schwerer Kranckheit
Ich bin nicht der ich war / die Kräffte sind verschwunden /
Die Glider sind verdörr’t / als ein durchbrandter Grauß:
Mir schaut der schwartze Tod zu beyden Augen aus /
Ich werde von mir selbst nicht mehr in mir gefunden.
Der Athem wil nicht fort / die Zunge steht gebunden /
Wer siht nicht / wenn er siht die Adern sondern Mauß /
Die Armen sonder Fleisch / daß diß mein schwaches Hauß
Der Leib entbrechen wird / noch inner wenig Stunden.
Gleich wie die Wisen Blum lebt wenn das Licht der Welt
Hervor bricht / und noch ehr der Mittag weggeht / fällt;
So bin ich auch benetzt mit Thränen-tau ankommen:
So sterb ich vor der Zeit. O Erden gute Nacht!
Mein Stündlein laufft zum End / itzt hab ich außgewacht
Vnd werde von dem Schlaff des Todes eingenommen.
I, 9 Lacrime in grave malattia
Non so chi fui, svanite son le forze,
rinsecchite le membra come mostro bruciato:
coi due occhi mi guarda la morte nera
né io stesso trovo più me in me stesso.
Il fiato non vuole uscire, la lingua sta legata.
Chi non vede – se vede le vene senza sangue,
le braccia senza carne – che questa mia dimora,
il corpo, crollerà entro qualch’ora ancora?
Come il fiore dei campi vive quando la luce
del mondo irrompe e a mezzogiorno cade,
anch’io sono giunto bagnato di lacrime-rugiada
e muoio innanzi tempo. O terra, buona notte!
La mia ora va al fine, finita è la mia veglia
e vengo accolto dal sonno della morte.
Der Welt Wollust
Wo Lust ist / da ist Angst; wo Freud’ ist / da sind Klagen.
Wer schöne Rosen siht / siht Dornen nur dabey;
Kein Stand /kein Ort / kein Mensch ist seines Creutzes frey.
Wer lacht; fühlt wenn er lacht im Hertzen tausend Plagen.
Wer hoch in Ehren sitzt / muß hohe Sorgen tragen.
Wer ist / der Reichthumb acht’/ und loß von Kummer sey
Wo Armut ist; ist Noth. Wer kennt wie mancherley
Traur-würmer uns die Seel und matte Sinnen nagen?
Ich red’ es offenbahr / so lang als Titans Licht
Vom Himmel ab bestralt / mein bleiches Angesicht /
Ist mir noch nie ein Tag / der gantz ohn Angst / bescheret
O Welt du Thränen Thal! recht selig wird geschätzt;
Der eh er einen Fuß / hin auff die Erden setzt /
Bald aus der Mutter Schoß ins Himmels Lusthauß fähret.
I, 10 Il piacere del mondo
Dove è piacere, è paura; dove è gioia, lamenti.
Chi vede belle rose, non vi vede che spine:
né ceto né luogo né persona son liberi da croce.
Chi ride sente in cuore nel riso mille piaghe.
Chi è in alto onore porta anche alti crucci
e chi è mai tanto ricco che non abbia anche pene?
Dov’è miseria è ambascia. Chi non sa come tanti
tarli di lutto ci divorano l’anima e i sensi spenti?
Lo dico apertamente: da quando la luce di Titano
dal cielo illumina il mio volto pallido
mai ho goduto un giorno senza ansia alcuna.
O mondo, o valle delle lacrime! Si giudica beato
chi prima di posare un piede sulla terra
dal grembo della madre vola ai piaceri del cielo.
Menschliches Elende
Was sind wir Menschen doch?
ein Wohnhauß grimmer Schmerzen
Ein Ball des falschen Glücks /
ein Irrlicht diser Zeit. Ein Schauplatz herber Angst / besetzt mit scharffem Leid /
Ein bald verschmeltzter Schnee und abgebrante Kertzen.
Diß Leben fleucht davon wie ein Geschwätz und Schertzen.
Die vor uns abgelegt des schwachen Leibes Kleid
Vnd in das Todten-Buch der grossen Sterblikeit
Längst eingeschriben sind / sind uns aus Sinn und Hertzen.
Gleich wie ein eitel Traum leicht aus der Acht hinfällt /
Vnd wie ein Strom verscheust / den keine Macht auffhält:
So muß auch unser Nahm / Lob / Ehr und Ruhm verschwinden /
Was itzund Athem holt / muß mit der Lufft entflihn /
Was nach uns kommen wird / wird uns ins Grab nachzihn.
Was sag ich? Wir vergehn wie Rauch von starcken Winden.
I, 11 Miseria umana
Che siamo mai noi uomini! Sede di tetre pene,
trottola della sorte, fuoco fatuo del tempo.
Teatro di paura amara, invaso di aspro duolo,
neve presto svanita, candele consumate.
La vita se ne fugge come chiacchera e scherzo.
Chi anzi noi ha svestito il corpo fragile
e nel funereo libro della gran morìa
da tempo è inscritto, via è da mente e cuore.
Come un sogno vano cade dalla memoria,
come si sperde un fiume non contenuto e stretto,
così nome, gloria, lodi e onori di noi scompariranno.
Quanto ora respira, svanirà pur con l’aria,
quanto dopo verrà, ci seguirà alla tomba.
Che dico? Come fumo svaniamo davanti a forti venti.
An Eugenien
Schön ist ein schöner Leib / den aller Lippen preisen!
Der von nicht schlechtem Stamm und edlen Blutt herrührt.
Doch schöner / wenn den Leib ein’ edle Seele zihrt
Die einig sich nur läst die Tugend unterweisen.
Vilmehr / wenn Weißheit noch / nach der wir offtmals reisen
Sie in der Wigen lehrt / mehr wenn sie Zucht anführt
Vnd heilig seyn ergetzt / die nur nach Demutt spür’t /
Mehr / wenn ihr keuscher Geist nicht zagt für Flamm und Eisen.
Diß schätz ich rühmens wehrt / diß ist was dise Welt
Die aller Schönheit Sitz für höchste Schönheit hält /
Vnd daß man billich mag der Schönheit Wunder nennen.
Wer dises schauen wil / wird finden was er sucht
Vnd kaum zu finden ist / wenn er / O Blum der Zucht /
O schönste / wenn er euch / wird was genauer kennen!
I, 21 A Eugenia
Bello è un bel corpo che ogni labbro loda
e da buon ceppo e schietto sangue scorre.
Più bello è poi se un’alta anima abbellisce il corpo,
la sola cui si ascrive la virtù.
Anche più se la saggezza, che inseguiamo fuori,
le è maestra dalla culla, più se costumatezza l’educa
e le dà gioia di bontà, cercando solo l’umile,
e più se casto spirito non teme fiamma o ferro.
Questo, dico, è da celebrare, questo è quanto tal mondo,
sede d’ogni bellezza, ha per beltà suprema
e che senz’altro è portento di bellezza.
Chi questo vuol vedere, troverà quel che cerca,
e che mai non si trova, se – fiore di costumanza,
bellissima! – conosce voi da vicino.
An Eugenien
Was wundert ihr euch noch / Ihr Rose der Jungfrauen /
Daß dises Spil der Zeit / die Ros’ / in eurer Hand
Die alle Rosen trotzt / so unversehns verschwand?
Eugenie so gehts / so schwindet was wir schauen.
So bald des Todes Senß wird disen Leib abhauen:
Schau’t man den Hals / die Stirn / die Augen / dises Pfand
Der Libe / dise Brust / in nicht zu rein’sten Sand
Vnd dem / der euch mit Lib itzt ehrt / wird für euch grauen!
Der Seufftzer ist umbsonst! nichts ist / das auff der Welt /
Wie schön es immer sey / Bestand und Farbe hält /
Wir sind von Mutterleib zum Vntergang erkohren.
Mag auch an Schönheit was der Rosen gleiche seyn?
Doch ehe sie recht blüht verwelckt und fält sie ein!
Nicht anders gehn wir fort / so bald wir sind geboren.
I, 22 A Eugenia
Che mai vi meraviglia, o gioia delle vergini,
che il trastullo del tempo, la rosa in mano vostra,
più altera d’ogni rosa, sfiorì non si sa come?
Così è, Eugenia, così tutto scompare al nostro sguardo.
Non appena la falce della morte mieterà questo corpo,
si vedrà il collo, la fronte, gli occhi, questo pegno
d’amore, questo seno, mutato in sporca polvere
e chi ora vi corteggia d’amore, avrà orror di voi!
Inutili i lamenti. Niente è che al mondo,
per quanto bello sia, tenga forza e colore.
Fin dal grembo materno siam votati alla tomba.
Che cosa mai equivale in bellezza alla rosa?
Ma quasi non fiorisce che avvizzisce e sbiadisce.
Non altrimenti noi, dalla nascita in poi!
Auff Herrn Joachimi Spechts
Medici, Hochzeit
In dem der Sternen Fürst von uns beginnt zu weichen /
In dem der Sommer stirbt / in dem das grüne Kleid
Der Wisen durch den Frost des Herbstes wird gebant /
Fängt auch der Vögel Schaar an fern von uns zu schleichen.
Drumb schauet unser Specht / weil alle Bäum erbleichen /
Auff die der Scorpion sein schädlich Gifft ausspeyt /
An welchem Ort er doch der Winter Grimmigkeit
Entgeh’ / und ob für ihn ein Nest sey zu erreichen /
In dem er also sucht / zeigt ihm Cubido an
Den Ort / in dem er sich gar sicher bergen kann:
Drauff ist er / Jungfrau Braut / in eure Schoß gepflogen.
In der er voll von Lust ihm seinen Sitz erkist /
Vnd weil er eurer Gunst gar hol versichert ist
Wird mancher junger Specht hier werden aufferzogen.
I, 23 Per le nozze del medico Sig. Joachim Specht
Il principe delle stelle comincia a declinare,
l’estate muore, il verde mantello dei prati
è prigioniero del gelo dell’autunno,
la schiera degli uccelli pian piano s’allontana.
Il nostro Picchio guarda, mentre sbiadiscon gli alberi
su cui vomita veleno lo scorpione,
dove sfuggire il furore dell’inverno,
e se mai ci sia un nido anche per lui.
E mentre cerca, Cupido ecco gli mostra
dove otterrà riparo: allora,
vergine sposa, è volato in grembo a voi.
Con gran piacere vi ha eletto la sua sede
e, della grazia vostra tanto è certo,
tanto picchietti ne usciranno fuori.
1) Specht significa Picchio
Thränen des Vaterlandes
Anno 1636.
WIr sind doch nunmehr gantz / ja mehr denn gantz verheeret!
Der frechen Völcker Schaar / die rasende Posaun
Das vom Blutt fette Schwerdt / die donnernde Carthaun /
Hat aller Schweiß / und Fleiß / und Vorrath auffgezehret.
Die Türme stehn in Glutt / die Kirch ist umgekehret.
Das Rathauß ligt im Grauß / die Starcken sind zerhaun /
Die Jungfern sind geschänd’t / und wo wir hin nur schaun
eIst Feuer / Pest / und Tod / der Hertz und Geist durchfähret.
Hir durch die Schantz und Stadt / rinnt allzeit frisches Blutt.
Dreymal sind schon sechs Jahr / als unser Ströme Flutt /
Von Leichen fast verstopfft / sich langsam fort gedrungen.
Doch schweig ich noch von dem / was ärger als der Tod /
Was grimmer denn die Pest / und Glutt und Hungersnoth /
Das auch der Seelen Schatz / so vilen abgezwungen.
I, 27 Lacrime della patria
Anno 1636
Siamo al crollo, oramai, anzi di più.
Le orde sfrenate, le trombe impazzite,
le spade gonfie di sangue, gli schioppi tonanti,
divorano fatiche, sudori, ogni ricchezza.
Le torri bruciano, la chiesa è rasa la suolo,
è in cenere il comune, i forti sono morti,
le vergini violate, e dovunque guardiamo
c’è fuoco, peste e morte nei cuori e nelle menti.
Per i bastioni e la città sgorga sempre sangue fresco.
Tre volte son sei anni da che l’onda del fiume,
occlusa da cadaveri, lenta filtrava via.
E non dico di quanto è peggiore della morte,
più feroce di peste, d’incendi e della fame:
il tesoro dell’anima fu già rubato a molti.
Vber die Gebaine der außgegrabenen Philosetten.
O Häßlich’ Anblick! ach! wo sind die güldnen Haar!
Wo ist der Stirnen Schnee? wo ist der Glantz der Wangen?
Der Wangen / die mit Blut und Lilien ümbfangen?
Der Rosen rote Mund! wo ist der Zähne Schaar?
Wo sind die Sternen hin? Wo ist der Augen Paar
Mit den die Libe spilt? itzt pflechten schwartze Schlangen
Sich umb das weite Maul / die Nasen ist vergangen
Die keinem Helffenbein vorhin zu gleichen war.
Ist jmand der noch kan behertzt und sonder grauen
Der Ohren kalen Ort / der Augen Lucken schauen?
Ist jmand / der sich nicht für diser Stirn entsetzt?
Der dencke / wie sich wird’ alsdann sein Geist befinden.
Wenn er in kurtzem wird auff gleichen Schlag verschwinden?
Weil schon der Tod auff ihn die schnellen Pfeile wetzt.
I, 33 Sullo scheletro della riesumata Filosette
Orrenda vista! Dove son mai i capelli d’oro,
la nivea fronte, lo splender delle guance,
delle guance circonfuse di sangue e di gigli?
La bocca rossorosea, e dove sono i denti?
Dove finirono le stelle, dove sono gli occhi
con cui l’amore gioca? Ora serpenti neri
s’avvolgono sulla bocca spalancata, è perso il naso,
prima più bianco dell’avorio.
Chi mai con cuore saldo e senza orrore
osserva il deserto degli orecchi, le caverne degli occhi,
chi non rabbrividisce a questa fronte?
Pensi allora come si troverà il suo spirito
quando presto sparirà così colpito,
ché già la morte sta affilando i dardi.
An einen Vnschuldigen Leidenden
EIn Brand-Pfahl und ein Rad / Pech / Folter / Bley und Zangen /
Strick / Messer / Hacken / Beill / ein Holtzstoß und ein Schwerdt
Vnd sidend Oel / und Bley / ein Spiß / ein glüend Pferd /
Sind den’n nicht schrecklich / die was schrecklich / nicht begangen.
Wer umb die Tugend leid’t / umb recht-thun wird gefangen
Vnd wenn es Noth sein Blutt / doch ohne Schuld, gewehrt
Dem wird für kurtze Pein unendlich Preiß beschert /
Er wird den Ehren-Krantz / der nicht verwelckt erlangen.
Er lebt in dem er stirbt / er steigt in dem er fällt /
Er pocht was tödtlich ist und trotzt die grosse Welt /
Vnd küst die Ewigkeit die er ihm anvertrauet.
Hat nicht der höchste selbst sein höchstes Wunderwerck
Auff Salems Schädelberg vollbracht in höchster Stärck?
Der ist kein echter Christ / dem für dem Creutze grauet.
I, 34 A un innocente in pena
Un rogo, ruota, pece, tortura, piombo e tenaglie,
corda, coltello, uncini, mannaia, ceppi e spada,
olio bollente, piombo, puntali, un cavalletto
non dan paura a chi non ha fatto niente.
Chi soffre per la virtù, per l’onestà è in prigione
e, se serve, il suo sangue versa pur senza colpa,
riceverà premio eterno per una pena breve,
otterrà la corona che non sfiorisce mai!
Costui morendo vive e sale mentre cade,
batte quant’è mortale, tiene testa al gran mondo,
bacia l’eternità nelle cui braccia vola.
Forse non ha il Supremo il suo più gran miracolo
sul monte del Calvario compiuto in grande forza?
Non è vero cristiano chi trema anzi alla croce.
An die Sternen.
IHr Lichter / die ich nicht auff Erden satt kan schauen /
Ihr Fackeln / die ihr Nacht und schwartze Wolcken trennt
Als Diamante spilt / und ohn Auffhören brennt;
Ihr Blumen / die ihr schmückt des grossen Himmels Auen:
Ihr Wächter / die als Gott die Welt auff-wollte-bauen;
Sein Wort, die Weißheit selbst mit rechten Namen nennt
Die Gott allein recht misst / die Gott allein recht kennt
(Wir blinden Sterblichen! was wollen wir uns trauen!)
Ihr Bürgen meiner Lust / wie manche schöne Nacht
Hab ich / in dem ich euch betrachtete / gewacht?
Herolden diser Zeit / wenn wird es doch geschehen /
Daß ich / der euer nicht allhir vergessen kann /
Euch / derer Libe mir steckt Hertz und Geister an
Von andern Sorgen frey werd unter mir besehen?
I, 36 Alle stelle
Luci che in terra non mi sazio di ammirare,
fiaccole che tagliate notte e nuvole nere,
belle come diamanti, ardenti senza posa;
fiori leggiadri dei campi del gran cielo,
guardiani che quando volle Dio fare il mondo
il suo verbo – saggezza stessa – chiamò col giusto nome,
voi che Dio sol misura, che solo lui conosce
(ciechi mortali noi, che pretendiamo mai?)
Garanti della mia gioia, per quante belle notti
guardandovi ho vegliato.
Araldi voi del tempo, quando sarà mai dunque
che io, mai qui dimentico di voi,
voi il cui amore mi infiamma cuore e mente,
libero da altre cure, veda sotto di me?
An Callirhoen
WIe kompts Callirrhoe? was mag die Vrsach seyn /
Daß du mich gestern hast so traurig angeblicket:
Wie daß du alle Lust und Freundligkeit verschicket?
War meine Gegenwart ein Vrsprung neuer Pein?
Verdroß dich Flacci Kuß? fürwar ich meyne nein /
Hat dich der süße Schlaff verzaubert und umbstricket!
Hat dich der grimme Schmertz die Libes-Pest gedrücket?
Mißfil dir / was ich sprach? mir fällt die Vrsach ein:
Da als dein Schlaff-Gemach ward von uns eingenommen;
Da / sind wir werte Nymph, dir vil zu nahe kommen.
Woll / folge meinem Rath wo du dich rächen wilt.
Wenn sich die schwartze Nacht wird für dem Monden schämen:
Magst du / mein Schlaf-Gemach / ja selbst mein Bett’ einnehmen.
Die Rach’ ist mehr denn recht die gleich mit gleich vergilt.
I, 41 A Calliroe
Che c’è Calliroe? Che cosa mai sarà
che ieri mi hai guardato così triste,
come dando l’addio al piacere e all’amicizia?
La mia presenza fu avvio di nuova pena?
Il bacio di Flacco ti ha seccata? Non direi.
Il dolce sonno ti ha ammaliata e avvinta.
L’amaro scherzo, la peste d’amore ti ha schiacciata?
Ti spiacque quanto dissi? Ecco, ci sono:
quando conquistammo la tua camera,
o ninfa egregia, abbiam voluto troppo.
Per la vendetta segui il mio consiglio:
quando la nera notte avrà pudore della luna
conquista la mia camaera, magari anche il mio letto.
Più che giusta è vendetta che vuole occhio per occhio.
An Eugenien
GLeich als ein Wandersmann / dafern die trübe Nacht /
Mit dicker Finsternüß / Lufft / Erd / und See verdecket /
Betrübt irr’t hin und her / und mit viel Furcht erschrecket /
Nicht weiß wohin er geht / noch was er läst und macht:
So eben ists mit mir: doch wenn der Mond erwacht
Vnd seiner Stralen Kertz im Wolckenhauß anstecket;
Bald find’t er Weg’ und Rath: so wird mein Geist erwecket;
Nun mich der neue Trost aus eurem Brieff anlacht.
Doch / warumb heist ihr mich diß schöne Pfand verbrennen?
Wolt ihr in meiner Nacht mich bey der Glut’ erkennen? Diß /
meines Hertzens Feu’r entdeckt ja wer ich sey.
Sol Schönste / diß Papir nur meine Brust berühren:
So wird es alsobald in Aschen sich verliren /
Wo von der Flamm’ es nicht durch mein Weinen frey.
I, 42 A Eugenia
Come un viandante, quando la torva notte
con spesse ombre ricopre l’aria la terra e il mare,
turbato erra qua e là e pieno di paura
non sa né dove va né quel che fa o tralascia,
così è per me. Quando però la luna
si desta e la candela dei raggi accende fra le nubi
sa subito la via e che fare il viandante: così si desta
il mio animo; sollievo nuovo mi arride dalla lettera.
Perché però mi dite di bruciare un tal pegno?
Nella mia notte forse volete riconoscermi all’ardore?
Il fuoco del mio cuore rivela già ch’io sia.
Basta, o beltà, che essa mi sfiori il cuore
che già svanirà in cenere,
seppure non il pianto la salverà dal fuoco.
Ebenbild unsers Lebens
Auff das gewöhnliche Königs-Spiel.
Der Mensch, das Spil der Zeit / spilt weil er allhie lebt.
Im Schau-Platz diser Welt; er sitzt / und doch nicht feste.
Der steigt und jener fällt / der suchet die Paläste /
Vnd der ein schlechtes Dach / der herrscht und jener webt.
Was gestern war ist hin / was itzt das Glück erhebt;
Wird morgen untergehen / die vorhin grünen Aeste
Sind numehr dürr und todt / wir Armen sind nur Gäste
Ob den ein scharffes Schwerdt an zarter Seide schwebt.
Wir sind zwar gleich am Fleisch / doch nicht vom gleichem Stande
Der trägt ein Purpur-Kleid / und jener gräbt im Sande /
Biß nach entraubtem Schmuck / der Tod uns gleiche macht.
Spilt denn diß ernste Spil: weil es die Zeit noch leidet /
Vnd lernt: daß wenn man vom Pancket des Lebens scheidet:
Kron / Weißheit / Stärck und Gut / bleib ein geborgter Pracht.
I, 43 Similitudine della nostra vita
Sul diffuso gioco degli scacchi
L’uomo trastullo del tempo, gioca mentre ch’è in vita.
Nel teatro del mondo non ha un saldo posto.
C’è chi sale e chi scende, chi abita in palazzi,
chi invece in catapecchie, chi comanda e chi tesse.
Quel che fu ieri è andato, quel che fortuna ora alza
domani crollerà, le spighe prima verdi
sono ora secche e morte, noi miseri siamo ospiti
sui quali lama aguzza ondeggia a filo fragile.
Di carne siamo uguali, però di ceto no,
una veste la porpora, un altro è nella polvere
finché rapiti i ninnoli, la morte ci fa uguali.
Ecco qui da giocare un serio gioco, finché il tempo lo tollera,
e imparate: quando ci si alza dal banchetto della vita
corona, sapienza, forza e ricchezza restan splendore a prestito.
Thränen in schwerer Kranchkeit.
A. MDCXL.
MIr ist ich weiß nicht wie / ich seuffze für und für.
Ich weyne Tag und Nacht / ich sitz in tausend Schmertzen;
Vnd tausend fürcht ich noch / die Krafft in meinem Hertzen
Verschwindt / der Geist vershmacht / die Hände sincken mir.
Die Wangen werden bleich / der muntern Augen Zir
Vergeht / gleich als der Schein der schon verbrannten Kertzen.
Die Seele wird bestürmt gleich wie die See im Mertzen.
Was ist diß Leben doch / was sind wir / ich und ihr?
Was bilden wir uns ein! was wündschen wir zu haben?
Itzt sind wir hoch und groß / und morgen schon vergraben:
Itzt Blumen morgen Kot / wir sind ein Wind / ein Schaum /
Ein Nebel / eine Bach / ein Reiff / ein Tau’ ein Schaten.
Itzt was und morgen nichts / und was sind unser Thaten?
Als ein mit herber Angst durchaus vermischter Traum.
I, 45 Lacrime in grave malattia
Anno 1640
Non so com’è, io gemo senza sosta.
E piango notte e giorno, sono fra cento pene,
cento ne temo ancora, la forza nel mio cuore
scompare, l’animo languisce mi cadono le braccia.
Le guance impallidiscono, l’ornato degli occhi svegli
svanisce come luce di candele consumate.
L’anima mia è sconvolta come il mare di marzo.
Che è mai questa vita, chi siamo io e voi?
Che mai ci figuriamo, che desideri abbiamo?
Ora siamo alti e grandi, domani già sepolti;
oggi fiori, poi fango: siamo un vento, una spuma,
una nebbia, un ruscello, brina, rugiada, un’ombra.
Qualcosa oggi e poi nulla, e che le nostre imprese?
Come un sogno mischiato con un’acerba pena.
An sich selbst
MIr grauet vor mir selbst / mir zittern alle Glider
Wenn ich die Lipp’ und Nas’ und beyder Augen Klufft /
Die blind vom wachen sind / des Athems schwere Lufft
Betracht’ / und die nun schon erstorbnen Augen-Lieder.
Die Zunge / schwartz vom Brand fällt mit den Worten nider /
Vnd lalt ich weiß nicht was; die müde Seele rufft /
Dem grossen Tröster zu / das Fleisch reucht nach der Grufft /
Die Aertzte lassen mich / die Schmertzen kommen wider /
Mein Cörper ist nicht mehr als Adern / Fell’/ und Bein.
Das Sitzen ist mein Tod / das Ligen meine Pein.
Die Schenckel haben selbst nun Träger wol vonnöthen!
Was ist der hohe Ruhm / und Jugend / Ehr und Kunst?
Wenn dise Stunde kompt: wird alles Rauch und Dunst.
Vnd eine Not muß uns mit allem Vorsatz tödten.
I, 48 A se stesso
Ho orrore di me stesso: mi tremano le membra
quando le labbra e il naso e le caverne degli occhi
ciechi per la veglia e l’aria greve del respiro
osservo e le ciglia ormai spente.
La lingua, nera d’arsura, cade con le parole
e biascica qualcosa; l’anima stanca chiama
il gran consolatore, la carne sa di tomba,
i medici van via, ritornano i dolori,
il mio corpo non è che vene, pelle e ossa.
Sedere è la mia pena, giacere il mio tormento.
Le cosce stesse hanno bisogno di stampelle.
Che cos’è l’alta fama, onori, giovinezza e arte?
Quando viene quest’ora è tutto fumo e nebbia.
E un’ambascia che viene deliberata a ucciderci.
An die Welt
Mein offt bestürmbtes Schiff der grimmen Winde-Spil
Der frechen Wellen Baal / das schir die Flutt getrennet /
Das über Klip auff Klip’ / und Schaum / und Sandt gerennet.
Komt vor der Zeit an Port / den meine Seele wil.
Offt / wenn uns schwartze Nacht im Mittag überfil
Hat der geschwinde Plitz die Segel schir verbrennet!
Wie offt hab ich den Wind / und Nord’ und Sud verkennet!
Wie schadhafft ist Spriet / Mast / Steur / Ruder / Schwerdt und Kill.
Steig aus du müder Geist / steig aus! wir sind am Lande!
Was graut dir für dem Port / itzt wirst du aller Bande
Vnd Angst / und herber Pein / und schwerer Schmertzen loß.
Ade / verfluchte Welt: du See voll rauer Stürme!
Glück zumein Vaterland / das stette Ruh’ im Schirme
Vnd Schutz und Friden hält / du ewig-lichtes Schloß!
I, 49 Al mondo
La mia nave squassata, gioco di atroci venti,
trottola di onde tracotanti e quasi spezzata dai marosi,
che da scoglio è caduta su scoglio e spuma e sabbia,
anzitempo arriva al porto voluto dall’anima.
Spesso, quando la notte nera ci avvolgeva a mezzodì,
il fulmine veloce bruciò quasi le vele.
Quante volte ho confuso i venti e nord e sud!
Come è ridotto l’albero maestro, timone, chiglia, deriva e remo.
Scendi, animo stanco, scendi! Qui siamo arrivati.
Non temere del porto, ora tutti i tuoi ceppi,
e paura e aspra pena e tormenti se ne vanno.
Addio, ti maledico, mondo, mare in tempesta.
Salve, mia patria, custode di quiete certa,
o tu rifugio e pace, chiara fortezza eterna!
Morgen Sonnet
DIe ewig-helle Schaar wil nun ihr Licht verschlissen /
Diane steht erblaßt; die Morgenrötte lacht
Den grauen Himmel an / der sanffte Wind erwacht /
Vnd reitzt das Federvolck / den neuen Tag zu grüssen.
Das Leben dieser Welt /eilt schon die Welt zu küssen /
Vnd steckt sein Haupt empor / man siht der Stralen Pracht
Nun blinckern auff der See: O dreymal höchste Macht
Erleuchte den / der sich itzt beugt vor deinen Füssen!
Vertreib die dicke Nacht / die meine Seel umbgibt /
Die Schmertzen Finsternüß / die Hertz und Geist betrübt /
Erquicke mein Gemütt / und stärcke mein Vertrauen.
Gib/ daß ich disen Tag / in deinem Dinst allein
Zubring: und wenn mein End’ und jener Tag bricht ein
Daß ich dich / meine Sonn / mein Licht mög ewig: schauen.
II, 1 Sonetto mattutino
La schiera eterna e chiara nasconde ora la luce,
Diana è impallidita, l’aurora sorride
al grigio cielo, il vento mite si desta
e solleva i pennuti incontro al nuovo giorno.
Quanto ha vita nel mondo si affretta a salutarlo,
solleva il capo, si vede lo splendore dei raggi
scintillare sul mare: o tre volte supremo potere,
illumina chi ora s’inchina ai tuoi piedi!
Scaccia la spessa notte che avvolge la mia anima,
il buio doloroso che turba cuore e mente,
ristora il mio spirito, sostieni la mia fiducia.
Fa che trascorra questo giorno solo nel tuo servizio;
e quando si affaccia la mia fine e il giorno ultimo,
che vede in eterno te, mia luce e sole.
Mittag
Auff Freunde! last uns zu der Taffel eylen/
In dem die Sonn ins Himmels Mittel hält
Vnd der von Hitz und Arbeit matten Welt
Sucht ihren Weg / und unsern Tag zu theilen..
Der Blumen Zir wird von den flammen Pfeylen
Zu hart versehrt / das außgedörte Feld
Wündscht nach dem Tau’/ der Schnitter nach dem Zelt;
Kein Vogel klagt von seinen Libes Seilen.
Itzt herrscht das Licht. Der schwartze Schatten fleucht
In eine Höl / in welche sich verkreucht /
Den Schand und Furcht sich zu verbergen zwinget.
Man kan dem Glantz des Tages ja entgehn!
Doch nicht dem Licht / das / wo wir immer stehn
Vns siht und richt / und Hell’ und Grufft durchdringet.
II, 2 Mezzodì
Tutti a tavola, amici! fate presto,
mentre il sole si ferma a mezzo il cielo
e al mondo, smorto da calura e soma,
cerca dividere la via, e il giorno a noi.
Con troppo fuoco le fiammanti frecce
accasciano i fiori delicati; il campo riarso
desidera rugiada, la tenda il mietitore.
Né gli uccelli lamentano i lor lacci d’amore.
Ora regna la luce. E l’ombra nera
fugge in una caverna in cui va pure
chi onta e angoscia costinge a un nascondiglio.
Al chiarore del giorno, certo, si può sfuggire.
Ma non così alla luce che, dovunque noi siamo,
ci vede e fiuta, e squarcia tomba e inferno.
Abend
Der schnelle Tag ist hin/ die Nacht schwingt jhre Fahn/
Vnd führt die Sternen auff. Der Menschen müde Scharen
Verlassen Feld und Werck/ wo Thir und Vögel waren
Traurt itzt die Einsamkeit. Wie ist die Zeit verthan!
Der Port naht mehr und mehr sich zu der Glider Kahn.
Gleich wie diß licht verfil / so wird in wenig Jahren Ich/
du/ und was man hat/ und was man siht / hinfahren.
Diß Leben kömmt mir vor als eine Renne-Bahn. Laß höchster Gott /
mich doch nicht auff dem Lauffplatz gleiten /
Laß mich nicht Ach / nicht Pracht / nicht Lust nicht Angst verleiten!
Dein ewig-heller Glantz sey vor und neben mir /
Laß / wenn der müde Leib entschläfft /
die Seele wachen Vnd wenn der letzte
Tag wird mit mir Abend machen /
So reiß mich aus dem Thal der Finsternüß zu dir.
II, 3 Sera
Fuggì veloce il giorno, la notte alza la sua bandiera
e guida le stelle. Le schiere stanche degli umani
lasciano campo e opera, al posto di uccelli ed animali
c’è luttuosa solitudine. Come è sprecato il tempo!
Il porto è sempre più vicino alla barca delle membra.
Come è caduta questa luce, così tra qualche anno,
io, te, e quel che abbiamo e che vediamo se ne andrà.
Questa vita mi sembra sia una pista;
O Dio supremo, non farmi scivolare nella corsa,
che dolore o splendore o gioia o timore non mi sviino,
il tuo fulgore eterno sia innanzi e accanto a me.
E quando chiuderà gli occhi il corpo stanco, fa che si desti l’anima;
e quando l’ultimo giorno vorrà finir con me
toglimi dalla valle delle ombre fino a te.
Mitternacht
Schrecken / und Stille / und dunckeles Grausen /
finstere Kälte be-decket das Land
Itzt schläfft was Arbeit und Schmertzen ermüdet /
diß sind der traurigen Einsamkeit Stunden.
Nunmehr ist / was durch die Lüffte sich reget /
nunmehr sind Men-schen und Thire verschwunden.
Ob zwar die immerdar schimmernde Lichter /
der ewig schitternden Sternen entbrant!
Suchet ein fleissiger Sinn noch zu wachen?
der durch Bemühung der künstlichen Hand /
Ihm / die auch nach uns ankommende Seelen /
Ihm / die an itzt sich hir finden verbunden?
Wetzet ein bluttiger Mörder die Klinge?
wil er unschuldiger Hertzen verwunden?
Sorget ein Ehren-begehrend Gemütte /
wie zu erlangen ein höherer Stand?
Sterbliche! Sterbliche! lasset diß dichten!
Morgen! Ach Morgen! Ach muß man hinzihn!
Ach wir verschwinden gleich als die Gespenste /
die umb die Stund uns erscheinen und flihn.
Wenn uns die finstere Gruben bedecket / wird /
was wir wündschen und suchen zu nichte.
Doch / wie der gläntzende Morgen eröffnet /
was weder Monde noch Fackel bescheint:
So / wenn der plötzliche Tag wird anbrechen /
wird was geredet ge-würcket / gemeynt /
Sonder vermänteln eröffnet sich finden
vor des erschrecklichen Gottes Gerichte.
110II, 4 Mezzanotte
Paura e silenzio, oscuro orrore e tetro gelo coprono la terra.
Ora dorme quel che lavoro e dolori hanno stancato: sono le ore tristi della solitudine.
Ormai sono scomparsi uomini e bestie e quanto si muove attraverso l’aria.
Solo arde il brillio costante del guizzo eterno delle stelle.
Cerca un’apposta mente di vegliare ancora, che affaticando l’abile mano
lega a sé le anime venture, lega a sé quelle ora presenti?
Affila la lama un assassino? Trapasserà cuori innocenti?
Cerca un animo ambizioso il modo di salir più in alto?
Mortali, mortali! Lasciate questi sogni! Domani, ahimè domani, ahimè dobbiamo andare!
Noi scompariamo ahimè come i fantasmi che dentro un’ora appaiono e scompaiono.
Quando ci coprirà la cupa tomba, quel che vogliamo e cerchiamo si fa niente.
Ma come lo splendido mattino ci rivela quel che né luna né fiaccola lumeggia
così, quando il giorno imprevisto irromperà, quel che si è detto, pensato e fatto
si troverà svelato senza manto per il giudizio terribile di Dio.
Einsamkeit
In diser Einsamkeit / der mehr denn öden Wüsten /
Gestreckt auff wildes Kraut / an die bemoßte See:
Beschau’ ich jenes Thal und dieser Felsen Höh’
Auff welchem Eulen nur und stille Vögel nisten.
Hier / fern von dem Pallast; weit von des Pövels Lüsten /
Betracht ich: wie der Mensch in Eitelkeit vergeh’
Wie / auff nicht festem Grund’ all unser Hoffen steh’
Wie die vor Abend schmähn / die vor dem Tag uns grüßten.
Die Höl / der rauhe Wald / der Todtenkopff / der Stein /
Den auch die Zeit aufffrist / die abgezehrten Bein /
Entwerffen in dem Mutt unzehlige Gedancken.
Der Mauren alter Grauß / diß ungebau’te Land
Ist schön und fruchtbar mir / der eigentlich erkant /
Daß alles / ohn ein Geist / den Gott selbst hält / muß wancken.
II, 6 Solitudine
In questa solitudine di vuoto, di deserto,
steso su erbe incolte, verso il muschioso mare
osservo quella valle, l’altura delle rocce,
dove sole si annidano civette e uccelli taciti.
Qui, lungi dal palazzo, via dai piaceri rozzi,
medito come l’uomo svanisca in vanità,
come su fondo sdrucciolo stia il nostro sperare,
e soffra innanzi sera chi ci augurò il mattino.
Il bosco, la caverna, il teschio, questo sasso
che il tempo pure divora, le ossa logorate,
mille pensieri destano nell’animo.
La polvere antica delle mura, questa terra incolta,
sono belle e feconde solo a chi ha capito
che tutto cade, se non ha spirito che Dio sostiene.
An Eugenien
Wenn meine Seel in euch / mein Licht wie kan ich leben?
Nun das Verhängnüß mich so ferne von euch reißt.
Wie kan ich frölich seyn / wenn ihr mir euren Geist
Nicht für den Meinen woll’t / (den ihr gefangen) geben?
Man siht mich hir / doch nur als ein Gespenste schweben.
Als ein verzaubert Bild / das sich beweglich weißt
Durch frembder Künste Macht / diß was man Sterben heißt
Kan meine Schmertzen wol / nicht meine Flamm’ auffheben.
Klagt euch das Hertze nicht / das ihr in Bande legt
Wie scharff die Geissel sey die meine Glider schlägt?
Doch nein! es ist zu schwach / sein Elend auszusprechen.
Es weiß nichts mehr von mir / es kennt euch nur allein /
Es freu’t sich seiner Angst und wündschet dise Pein
Der Bande / durch ein Band das ewig sey / zu brechen.
II, 8 A Eugenia
Se la mia anima è in voi, e la mia luce, come posso mai vivere?
Da voi lontano ora mi spinge il fato mio.
Come posso gioire se l’animo non volete
scambiare con il mio, che è vostro prigioniero?
Mi si vede sì qui, ma volo come spettro,
come forma incantata che sa d’essere mobile
per forza d’altre arti qual che si chiama morte
può spegnere i dolori ma non certo la fiamma.
Non vi dice il mio cuore, da voi incatenato,
com’è aspro il flagello che mi colpisce i fianchi?
Ma no! Troppo devole è il cuore per dire la sua pena.
Più non sa di me niente, conosce solo voi,
gioia ha della paura, e questa pena dei vincoli
vuol rompere con un vincolo eterno.
Vberschrifft an dem Tempel der Sterbligkeit
aus A. Gryphii Meletomenus
Ersten Buch.
IHr irr’t in dem ihr lebt / die gantz verschränckte Bahn
Läst keinen richtig gehn. Diß / was ihr wündscht zu finden
Ist Irrthumb: Irrthumb ists / der euch den Sinn kan binden.
Was euer Hertz ansteckt / ist nur ein falscher Wahn.
Schaut Arme / was ihr sucht. Warumb so vil gethan?
Vmb diß / was Fleisch und Schweiß und Blutt / und Gutt / und Sünden /
Vnd Fall / und Weh nicht hält; wie plötzlich muß verschwinden
Was disen / der es hat / setzt in des Todes Kahn.
Ihr irr’t in dem ihr schlafft / ihr irr’t in dem ihr wachet;
Ihr irr’t in dem ihr traurt / ihr irr’t in dem ihr lachet /
In dem ihr diß verhönt / und das für köstlich acht.
In dem ihr Freund als Feind / und Feind als Freunde schätzet /
In dem ihr Lust verwerfft / und Weh vor Wollust sätzet /
Biß der gefund’ne Tod euch frey vom irren macht.
II, 10 Iscrizione sul tempio della mortalità
Dal Meletomenus di A. Gryphius,
libro primo
Mentre che vivi, sbagli. La strada tutta ostacoli
non fa andar dritto nessuno. Quello che vuoi trovare
è errore: errore è che ti può chiudere la mente.
Quello che infiamma il cuore è solo follia vana.
Guardate, miseri, quel che cercate. Perché affannarsi tanto?
Per quel che carne, sudore e sangue, ricchezze, peccati,
cadute e dolore non trattiene; e ecco che scompare
quando chi li ha sale la barca della morte.
Sbagliate nel dormire, sbagliare nel vegliare,
sbagliate nel dolore, sbagliate anche nel riso,
nel tener questo da vile, quell’altro per prezioso,
l’amico per nemico, il nemico da amico,
nel rigettar la gioia, nel preferir la pena,
finché infine la morte vi libera da errare.
Beschluß des XXIII. Jahrs
In Angst / in trüber Noth / in Hoffnung / Schmertz und Pein
In Sorgen und in Ach / hab ich diß kurtze Leben /
Wofern es Leben heißt / der Eitelkeit gegeben.
Hab ich von Ach und Furcht je ledig mögen seyn?
Ade Welt! Gunst fahr’ hin! itzt bin ich nicht mehr dein!
Ich wil den freyen Geist / nun Wehmuth frey / erheben /
Ich wil mit freyem Sinn / weit über alle schweben.
Die strenge Dinstbarkeit schleußt in vil Ketten ein!
Mich sol kein Glimpff / kein Schimpff / kein Weh und Wol mehr binden /
Man sol fortan mich frey von Zweifel-stricken finden /
Ich mag nicht toller Lust mehr zu gebotte stehn.
Gib allzeit freyer Gott / der du dich frey heist ehren:
Daß ich dich möge stets mit freyen Ohren hören /
Biß ich durch dich / zu dir / wird’ in die Freystatt gehn.
II, 13 Conclusione del XXIII anno
Tra paura e l’affanno, speranza, angoscia e pena,
in pensieri e dolori ho dato al mondo vano
questa mia breve vita, seppure questa è vita.
Sono mai andato esente da pene e da paure?
Addio mondo! Vattene, seduzione! Non ti appartengo più.
Voglio innalzar lo spirito, libero da languori,
e con la mente libera volare sopra ogni cosa.
Servitù è pronta a incatenarti!
Né ingiurie né lusinghe, né bene più né male
mi legheranno più, né più lacci del dubbio.
Né più di piacer folle starò a disposizione.
Libero Dio, da liberi ti lasci venerare,
io con orecchio libero ti possa sempre udire,
finché da te, per te, venga in libero asilo.
Beschluß des XXIV. Jahrs
Mein Schöpffer / der du mich so wunderlich gemacht.
Erlöser / der du mich zu deinem Kind erkohren /
Gott reiner Geist / der du mich durch dich neu-gebohren
Dreyeinig Einigkeit / umb die manch Tausend wacht:
Gott / den manch Tausend rühmt mit heilig-hoher Pracht /
Ich falle dir zu Fuß / der / daß ich nicht verlohren /
Nur dir zu dancken weiß. Dem / wie du dich verschworen /
Dein Anblick höher Lust in hoher Angst gebracht:
Ich ward durch dich / durch dich hab ich diß Licht beschauet
Du hast aus so vil Angst / ob der mir itzt noch grauet
Vnd dieses Jahr so offt / mich von der Grufft befrey’t.
Laß ferner über mir die reiche Gütte schweben /
Laß mich dir / weil ich leb / und wenn ich sterbe leben /
Vnd wenn mir Zeit abgeht / verley die Ewikeit!
II, 14 Conclusione del XXIV anno
O mio Creatore che con sì gran miracolo mi hai fatto.
Tu Salvatore, che come figlio tuo mi hai scelto.
Dio, spirito puro, solo attraverso te sono rinato.
Trinitaria unità, intorno cui vegliano migliaia;
Dio che migliaia celebrano con sacro, alto splendore,
eccomi qui ai tuoi piedi, cui solo debbo grazie
per non esser perduto, tu che nel mio terrore
gioia suprema donasti col tuo sguardo.
Sono nato per te, per te ho rimirato questa luce
e da tanta paura, di cui ho ancora orrore,
dalla tomba mi hai tolto quest’anno tante volte.
Seguita a tenere su di me la tua bontà:
che io viva mentre vivo e quando muoio,
e quando il mio tempo è al termine dammi l’eternità!
Defecit in dolore vita mea! Psal. XXXI
MIt Thränen und mit Ach / mit Arbeit Weh und Zagen
Verschliß ich Stund und Tag / der Feber grimmes Leid /
Nimmt mit dem Jahr mich hin / die Flucht der schnellen Zeit /
Läst mich mein herbes Weh / mein Elend kaum beklagen!
So bald die Sonn uns bringt den lichten Tag getragen /
Rufft Jammer mich zu Kampff. Dafern mir in dem Streit
Die Hoffnung Hülff einspricht / fällt der erhitzte Neid
Mich mehr denn Hündisch an / und läst nicht ab zu nagen.
Wenn Cynthie ihr Horn steckt auff den Abend an:
Ist nichts / das mich mit Ruh’ und Rath ergetzen kan /
Wie lange sol ich noch in disem Kummer stecken?
Ich weine! doch umbsonst. So offt die schwartze Nacht
Den trüben Sternen rufft / und wenn Matuta lacht.
Kein Abend deckt die Noth / kein Tag kan Trost erwecken.
II, 23 Defecit in dolore vita mea! Salmo 31
Con lacrime e lamenti, lavor, dolor, sgomenti,
concludo l’ora e il giorno; l’aspro penar per febbre
mi porta via cogli anni; il rapido fuggiasco, il tempo,
non dà tempo ai lamenti di miseria e dolore.
Appena il sole qui ci apporta il giorno,
il dolore mi chiama alla battaglia. Se la speranza
mi promette aiuto, subito accesa invidia
mi attacca come un cane e non demorde.
E se Cinzia suona il corno della sera
niente è che mi dia quiete e consiglio.
Per quanto starò ancora in quest’ambascia?
Io piango invano, sia che la nera notte
chiami la stella tetra, o sia che Venere rida.
Né sera copre ambascia né giorno dà ristoro.