Dive del Terzo Reich: Brigitte Horney
Liberamente tratto dall’omonimo libro di Cinzia Romani per la Gremese editore, 1981
BRIGITTE HORNEY
A maggior diritto di Zarah Leander, Brigitte Horney avrebbe dovuto prendere il posto lasciato vacante da Marlene Dietrich. Né l’intensa Leander, né la zingaresca Kàthe von Nagy emanavano lo stesso fluido erotico della Horney, la cui voce roca e ingrata ricordava molto da vicino i timbri cupi dell’Angelo Azzurro. Le guance incavate, i folti capelli neri, gli occhi scuri persi in un’ombra di miopia la rendevano piccante e misteriosa, singolare figura di vamp dalla faccia mongolica. A differenza della Leander concesse poco al “melò”, preferendo una recitazione scarna, talvolta aspra, ai fatalismi pensati per la ‘gioia degli occhi’.
Nata a Berlino-Dahlem il 29 marzo 1911 proveniva da una famiglia alto-borghese. Sua madre, Karen Danielsen, era una psicoterapeuta molto nota, che per diversi anni diresse la sezione psicanalitica presso l’università di Chicago e poi di New York, dove morì nel 1952. Dopo il liceo Brigitte, detta Biggy, frequentò la scuola di Ilka Gruning (dal 1928 fino al 1930) dove non erano ammessi più di due allievi per anno, prendendo contemporaneamente lezioni di ballo da Mary Wigman. L’esame di ammissione all’accademia d’arte drammatica si svolse al Deutsches Theater, in presenza di Max Reinhardt, che consegnò un premio di merito alla giovane allieva. Nell’estate del 1930 la Horney sì presentò all’UFA per sottoporsi a un provino ed ottenne una scrittura per il suo primo film: Abschied [Addio], 1930, diretto da Siodmak su soggetto di Billy Wilder, due talenti reduci dal successo di Menschen am Sonntag [Uomini di domenica], 1929. Non si trattò di una prova cinematografica impegnativa: le riprese durarono due settimane, terminate le quali la Horney tornò a Wurzburg, dove alternava le prove in teatro ai bagni rinfrescanti nel Meno.
Biggy non era stata scoperta per caso: dopo Abschied l’UFA avrebbe voluto vincolarla con un contratto di almeno un anno. Ma l’attrice non si sentiva ancora matura per il cinema e preferì recitare in ruoli grandi e piccoli alla Volksbuhne berlinese, dove continuò a lavorare fino al 1943. Soltanto una proposta di Paul Wegener nel 1934 la spinse a ritentare nel cinema. In All’armi (Ein Mann will nach Deutschland), vicenda a sfondo propagandistico ambientata nel Sudamerica, la Horney mantenne le sue caratteristiche – nervosità, concisione, espressività – nel personaggio della moglie in attesa d’un marito che non torna. La scaltrita fotografia di Fritz Arno Wagner, tra i maggiori interpreti dell’espressionismo langhiano, metteva in risalto la figura slanciata dell’attrice con una distribuzione costante di luce cenerognola nelle sequenze più drammatiche. L’anno dopo l’attrice girò un film singolare, dove l’amore per l’esotico “made in Germany” assumeva venature hollywoodiane. In Dannazione (Liebe, Tod und Teufel, 1935) faceva la parte di Rubby, femmina da angiporto che non cede al richiamo dell’amore romantico, ma solo a quello del mare. Una scena, in particolare, riesce gradevole ed è quella in cui l’attrice canta – in primo piano – una canzone pigra e sensuale che dice: «Così o cosà va bene / Come il mare è la vita / Una marea che va e viene». Il motivetto, che nel film ricorre come leitmotiv, fece a un tempo la fama del compositore Theo Mackeben e dell’attrice, che in quella breve, luminosa e provocante apparizione evocava fisionomia e atteggiamenti alla Dietrich. Gabbiette, veli, tendine, negozi da rigattiere erano lo sfondo scenografico dietro una Horney bella come mai.
Dopo il successo di Dannazione, l’UFA insisté per legarla con un contratto di cinque anni. Ma di nuovo rifiutò, preferendo rimanere libera di scegliere da sola le parti che più le convenivano.
Nel 1940 dette un contributo al cinema di propaganda, interpretando Nemici (Feinde), accanto a Willy Birgel, che aveva esordito proprio con lei in All’armi. Parabola sulla necessità che, nell’ora più pericolosa, i tedeschi hanno di guardarsi le spalle, Nemici era un film in cui la Horney impersonava Hanna, una polacca con sangue ariano nelle vene, risoluta a correre ogni rischio pur di aiutare i profughi tedeschi: La misura più convincente della sua recitazione la Horney ce l’ha data nel ruolo dell’imperatrice Caterina di Russia nel film più spettacolare del Terzo Reich, Le avventure del Barone di Munchhausen (Munchhausen, 1943). Per la scena del banchetto imperiale era stato allestito un salone faraonico, in mezzo al quale troneggiava un baldacchino di seta bianca destinato ad accogliere Caterina in costume rococò.
Nel marzo 1943 interpretò un film di Ucicky, Am Ende der Welt [Alla fine del mondo], dove svolse il ruolo di protagonista già assegnato a Hilde Krahl.
Con lo spettro della sconfitta davanti agli occhi, l’attrice pensò a mettersi in salvo. Lasciando il marito, l’operatore russo Konstantin Irmen-Tschet (che non avrebbe avuto problemi dopo l’invasione della Germania) la Horney agli inizi del 1945 scappò in Svizzera…
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