Patria e Sport – seconda e ultima parte

Tratto dalla Rivista “Storia del Novecento” febbraio 2001. Emeroteca Thule.

PATRIA E SPORT [ prima parte ]

La copertina di un libro di testo dell’anno scolastico 1922-’23 [cliccare sull’immagine per ingrandire questa e le successive]

L’idea di “Nazione armata”

Grazie all’intuito geniale, lungimirante del generale Alessandro Lamarmora, nel 1836 si ebbe l’introduzione delle attività ginniche come parte integrante dell’addestramento militare, benché riservate al suo Corpo dei Bersaglieri.

Quando su questa traccia, a Torino, si costituì la prima Società di Ginnastica (1844), tra gli iscritti e fondatori vi erano il Re, i principi Umberto, Tommaso e Amedeo di Savoia, le principesse Maria Clotilde, Maria Pia e la futura regina Margherita, nobili di rango e alti ufficiali. Dall’alto scende l’esempio, tra diritti e doveri. Eppure, solo nel 1860 la ginnastica entrò nelle scuole del Regno come materia complementare solo nel 1861 sorse la prima Scuola per Insegnanti di Educazione Fisica. La sede era a Torino, presso la locale Società di Ginnastica. Nello stesso anno nasceva l’Associazione del Tiro a Segno Nazionale. L’idea base era anche quella espressa da Carlo Cattaneo nel Politecnico (1860, VIII). Era fondamentale – scriveva Cattaneo – diffondere lo sport nelle scuole, dove ginnastica ed esercizi militari avrebbero aiutato i cittadini a sentirsi fratelli, solidali, pronti a combattere l’uno a fianco dell’altro in difesa della Patria. Quando nel 1863 sarebbe sorta la Scuola Nazionale di ginnastica, era giocoforza avesse locazione in seno alla Reale Accademia Militare. L’attenzione suprema delle gerarchie militari per l’educazione fisica della gioventù emerse fortemente al Congresso dell’Associazione Italiana dei Maestri di Ginnastica (Bologna, 1890). Il colonnello Emilio Bertet, infatti, relazionò su un tema inequivocabile: “Palestre marziali e l’idea di Nazione armata”, laddove sport marziali e addestramento premilitare erano perfettamente coniugati in un intento patriottico eccellente. Abbiamo qui notizia di una disciplina sportiva di genere marziale della quale, nel tempo, si è perduta memoria: la specialità della sciabola a cavallo. Perché all’arma bianca l’Italia non fu seconda a nessuno. Nel 1894 gli ufficiali schermidori Carlo Pessina e Agesilao Greco, impegnati nelle competizioni di New York, ebbero modo di dimostrare la superiorità delle tecniche italiane, aggiudicandosi le medaglie d’oro e d’argento. Primati nazionali passati nel dimenticatoio. Né furono queste glorie sporadiche. Olimpiadi di Parigi 1900: gli ufficiali Antonio Corte e Italo Santelli vinsero l’argento nella sciabola. 1919, Olimpiadi militari di Francia, presenti 48 nazioni. Gli schermidori italiani capitanati da Nedo Nadi ottennero l’alloro della vittoria. Alle Olimpiadi che seguirono quelle di Londra, i militari italiani che rappresentavano l’arte della spada furono primi assoluti. Nel 1920, ad Anversa, l’oro olimpico toccò agli ufficiali e sottufficiali: Nedo Nadi, Olivier, Baldi, Puliti. Alle Olimpiadi di Amsterdam (1928) i militari italiani ebbero l’oro nel fioretto a squadre con Puliti e Pignoni. Un altro successo nazionale in quella occasione fu l’oro per i canottieri, mentre in cielo sfrecciava a 572 Km./h l’aereo del tenente De Bernard, record mondiale di velocità. Accenniamo ancora solamente al 1936. Olimpiadi di Berlino. Momento altissimo del prestigio nazionalsocialista nel campo delle attività sportive, ma è il tenente Silvano Abba ad aggiudicarsi la medaglia di bronzo per il pentathlon moderno. Tanto basti, per non dilungarci in elencazioni prolisse. Il quadro della situazione sportiva italiana di quegli anni è reso, sebbene per sommi capi.

La scuola militare

Fondata con Regio Decreto n. 451 del 20 aprile 1920, a Roma, nei pressi del palazzo “La Farnesina”, fu istituita la “Scuola Centrale Militare di Educazione Fisica”. Tra gli scopi di questa accademia atletica anche quello di diffondere nelle Forze Armate e nel Paese l’educazione fisica-militare, pre e post-militare. Parte di questo programma fu poi assorbito dall’organizzazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.), a partire dal 1923.

Una foto tratta da un numero della rivista “Sport Fascista” (1940).

Nel 1926 gli allievi erano 120, ripartiti per corsi annuali diretti dal Colonnello Giulio Cravero. Nel 1928 il comando della Scuola passò al colonnello Amedeo Monti, poi, nel 1931, al colonnello dei bersaglieri Enrico Boaro e in seguito al colonnello Emilio Miani, bersagliere anch’egli. Tra i meriti di quest’accademia quello di avere organizzato diversi campionati militari nazionali. La struttura era supportata dai cosiddetti “Centri Divisionali” che gestivano i fondi elargiti dal Regime fascista per la costruzione di palestre, campi sportivi, piscine, quelli stessi usati dalla Repubblica antifascista per le Olimpiadi di Roma del 1960, non dopo averne sfregiate le insegne del Fascio.

In età fascista, l’evoluzione della concezione scientifica delle attività fisiche conobbe ritmi ineguagliati. L’anno 1939 vide il passaggio dell’Accademia passare dalla gestione O.N.B. alle dipendenze della G.I.L. assumendo più spiccati caratteri militari. L’articolo 2 delio Statuto recitava infatti che suo scopo era preparare attraverso una “integrale educazione fascista i giovani alle funzioni di dirigente e istruttore in ogni ordine e grado di scuole civili e presso le Forze Armate”. I maestri di ginnastica e di altri sport formatisi a questa Accademia e in servizio nelle diverse associazioni della società di quegli anni, nelle unioni dopolavoristiche, grazie alle direttive del Regime fascista potevano vantare preparazione non solo fisica. Tra le materie di insegnamento apprese alla Farnesina, ne vogliamo citare alcune quali psicologia sociale e mistica fascista, perché l’atleta-eroe fosse anche campione di tecniche per la diffusione mirata dell’ideale nazionale.

La Nazionale azzurra di Vittorio Pozzo, campione del mondo di calcio prima nel 1934 e poi nel 1938.

La disciplina sportiva come scuola di patriottismo

Nel 1932 sulla “Rivista Militare” compariva un saggio di Giovanni Bazzoni, il quale in maniera egregia puntualizzava la funzione eroica dell’addestramento fisico nel contesto del pensiero fascista: “L’addestramento viene ancora confuso con “l’educazione fisica” (…) noi invece esprimiamo il parere che l’attività addestrativa che l’Esercito svolge in materia non sia da considerare semplice sport e attività ludica (…). Per mezzo dell’addestramento fisico l’Esercito mira a preparare il combattente a compiere determinati atti sviluppandone le attitudini, le quali, nel nostro caso, sono quelle che hanno maggior attinenza con  le  necessità  del  conflitto odierno, in modo da rendere più capace l’individuo nelle operazioni di guerra”. E se per gli antichi la selezione agonistica avrebbe chiamato i più dotati della stirpe alle funzioni di difesa della Patria, di guida e d’esempio, trasmettendo ai più giovani ferree volontà di emulazione, di desideri eroici, di ammirazione ellenica, la stessa funzione propagandistica delle glorie fasciste nelle arti dello sport fu il vettore con il quale nel 1944 la Repubblica Sociale Italiana, per un Alto Adige non annesso dalla Germania, ma in posizione ibrida, proibita la costituzione del Partito Fascista Repubblicano – come ricorda Pino Romualdi nel suo libro “Fascismo Repubblicano” – attraverso il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) e il suo Presidente Puccio Pucci, tentò la costituzione di una sorta di Partito clandestino facente capo segretamente ai gruppi sportivi presenti nelle città. L’organizzazione olimpica velava in realtà le attività propagandistiche del Pucci e del suo cosiddetto “Ufficio Zeta”, alle dirette dipendenze di Alessandro Pavolini. Mediante le attività degli atleti, l’entusiasmo da loro rinfocolato nel sangue, dove va risorgere nelle Provincie altoatesine un orgoglio puro fascista, tutto italiano.

Roma, 1934. Gruppo di allievi della Scuola Centrale Militare di Educazione fisica.

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