La strage di Rovegno
A luglio grazie a Fulvio Arbasi parlammo della Colonia di Rovegno, oggi ci ritorniamo con questo articolo tratto dall’emeroteca Thule
P. Bomba
Il classico automobilista della domenica mi ha fatto tornare bruscamente alla realtà mentre rientravo a casa da mia moglie e i miei figli dopo aver trascorso il fine settimana in tenda, di fronte alla ex colonia di Rovegno.
Una volta all’anno, la terza domenica di giugno, noi del “Gruppo Rovegno” andiamo a trascorrere un fine settimana, in piena comunione con madre natura, davanti all’edificio della ex colonia del Fascio per onorare gli oltre 600 (129 salme ufficialmente recuperate) militi della R.S.I. unitamente a soldati germanici e a civili italiani catturati e barbaramente torturati, seviziati e infine uccisi e gettati in fosse comuni dalle bande partigiane operanti nella zona.
Ci troviamo, per la precisione, in Valtrebbia a circa un’ora di auto dal capoluogo ligure da dove si prende la statale 45 e dopo aver attraversato diversi paesini, Prato, Traso, Bargagli; e, fatta una doverosa tappa nella città del canestrello (Torriglia) si giunge, prendendo la s.c. 18, nel borgo di Rovegno, lo si attraversa e dopo dieci minuti si arriva nell’area della ex colonia.
E’ doveroso, a questo punto, tornare indietro di sessantanove anni e precisamente al 29-VII-1934, anno dell’inaugurazione della colonia.
Questo edificio imponente (in stile littorio) fu edificato in soli sette mesi, non costando nulla allo Stato perché frutto di donazioni di più famiglie genovesi, su idea dell’allora federale di Genova Giorgio Molfino, e poteva ospitare cinquecento bambini e bambine provenienti da ogni parte d’Italia, completamente gratis (1). Erano figli di famiglie meno abbienti che venivano mandati a turno per un periodo di quindici giorni a curarsi e a ritemprarsi in queste montagne incontaminate e salubri (2). La colonia era dotata di ogni comfort: ampi dormitori, locali igienici all’avanguardia, refettori luminosi, palestra, salone studio, giochi, cinema all’interno e piscina (attrezzata anche per i tuffi), campi da calcio, pallacanestro e tennis all’esterno. Attigua vi era l’infermeria, perfettamente funzionante e, come la colonia, mandata avanti da personale altamente qualificato.
Era immersa nei boschi di conifere e castagni e nonostante l’architettura ardita si integrava e si integra perfettamente nella natura circostante. Rimase in funzione anche per tutto il periodo bellico e fino al luglio del 1943, visitata dall’allora cardinale genovese Monsignor Boetto. Dopo il vergognoso 8 settembre 43, la colonia venne sequestrata e diventò comando della brigata partigiana “Cichero” comandata da Aldo Gastaldi (Bisagno), capo di s.m. Marzo (G.B.Canepa), commissario Lucio (Athos Bugliani), vice comandante Dino, vice commissario Nino, intendente Martini, vice intendente Nero, all’incirca novecento persone. Da quel momento la ormai “ex colonia” divenne luogo di mattanza e tortura per tutti i militari e civili aderenti alla Repubblica Sociale Italiana e anche per i soldati tedeschi e kasaki (162° Divisione turkmena) catturati dai partigiani.
Furono seviziati, torturati, umiliati e “nutriti” con un pugno di castagne secche al giorno, per poi venire uccisi e “sepolti” in fosse comuni nei boschi adiacenti alla costruzione. Per lo più venivano tenuti prigionieri nel locale caldaie o nella cantina (3). Una citazione particolare merita la sorte toccata alla signora Anna M.Grazzini, che dopo il termine della II G.M. cominciò a cercare il padre (vice federale di Genova) Alfredo Grazzini catturato a Vigevano dopo il 25-IV-45, quando tentava il ripiegamento in Valtellina e del fratello Adelindo Paolo catturato a Garbagna (dopo essere stato ferito in uno scontro con i partigiani) il 14-111-45. Dopo vario e lungo peregrinare nell’entroterra ligure, il 4 maggio riceve una missiva, dal comando divisione Cichero, che, clamorosamente la autorizzava a richiedere il corpo del fratello.

Colonia di Rovegno, luglio 1938. Figli di portuali del consorzio di Genova [cliccare per ingrandire l’immagine]
Nonostante questo fatto (la Grazzini) era intimamente convinta di trovare vivi i familiari.
Fu inviata a Genova, all’Hotel Crespi, dal cappellano della formazione partigiana (sacerdote Giacomo Sbarbaro) Don Gigetto che la ricevette con addosso la divisa partigiana, la croce sul petto e un berretto con falce e martello.
La Grazzini nella sua ingenuità, chiese al parroco come potevano andare d’accordo quei due simboli tra loro, il prete rispose che l’una e l’altra cosa si potevano conciliare, allora (sempre la Grazzini) fece osservare che un sacerdote dovrebbe essere estraneo a qualsiasi credo politico, ma Don Gigetto alzò la voce e le urlò: “Stai attenta ragazzina o farai la stessa fine di tuo fratello!’
A quel punto gli fu chiaro la sorte del padre e del fratello (4). E’ per questo giovane e per tutti gli altri militari e civili della Repubblica Sociale Italiana trucidati a fine guerra che ogni anno noi del “Gruppo Rovegno”, di “Continuità Ideale”, “Amici di Fra Ginepro” e di altre Associazioni reducistiche ci rechiamo di fronte alla ex colonia, e, soprattutto per mantenere sempre vivo il ricordo di questi italiani che non vissero di vigliaccheria e conformismo opportunista, ma che anche al costo della vita o di umiliazioni a volte peggiori della morte (come chi scampò alla guerra ma non alle rappresaglie seguenti), seppero tenere fede alla parola data e agli ideali di famiglia, patria, dignità e indipendenza nazionale. Vicino al portone d’ingresso dell’edificio è posta una lapide (la seconda, perché la prima è stata distrutta dai soliti pluralisti democratici) in ricordo delle vittime e ammonisce con le seguenti parole:
DA QUESTA COLONIA, DIVENUTA LA LORO PRIGIONE, NON FECERO RITORNO 129 MILITARI E CIVILI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA E 31 SOLDATI GERMANICI.
MOLTI ALTRI, ANCORA RIPOSANO PER SEMPRE IN QUESTI BOSCHI, SENZA UNA CROCE. PER LORO E PER CHI LI ATTESE OLTRE OGNI SPERANZA: UNA PREGHIERA
Note
1) Proprio come le “Grandi Opere” attuali (n.d.a.).
2) La colonia era molto indicata per le malattie polmonari.
3) da: FRATRICIDIO – Carlo Viale/Pietro Giulio Oddone Novantico Editrice – 1998.
4) Opera citata – nel libro si trovano i documenti che testimoniano inequivocabilmente le responsabilità partigiane negli eccidi.