Der Kampf um unsere Weltanschauung: la Germania nazionalsocialista nella fornace rivoluzionaria della guerra ideologica
Consapevoli dell’importanza del testo edito sulle SS “Meine Ehre heisst Treue” che racchiude tre volumi dell’epoca atti a comprendere la Weltanschauung nazionalsocialista, proponiamo l’introduzione al libro di Maurizio Rossi.
Der Kampf um unsere Weltanschauung: la Germania nazionalsocialista nella fornace rivoluzionaria della guerra ideologica.
«Al che il giudaismo iniziò a minare sistematicamente la nostra nazione dall’interno e trovò il suo migliore alleato in quella borghesia meschina che non si era resa conto che l’epoca del mondo borghese è terminata e mai più farà ritorno, che l’epoca del liberalismo economico sfrenato è sopravvissuta a se stessa e può soltanto condurre alla propria autodistruzione e, sopra a tutto, che i grandi compiti del nostro tempo possono essere dominati per mezzo di una coordinazione autoritaria della forza naturale, basata sulla regola degli stessi diritti per tutti e, quindi, degli stessi doveri. D’altra parte, il compimento degli stessi doveri deve necessariamente comportare una parità di diritti. Così il Nazionalsocialismo, nel mezzo di una gigantesca opera di ricostruzione economica, sociale e culturale, ha anche fornito al popolo tedesco quella corazza pedagogica senza la quale non si può creare alcun valore militare».
(Adolf Hitler, 1945)
«L’Inghilterra ha voluto questa guerra, la Germania l’ha dovuta accettare. Se noi tedeschi capiremo che in questa lotta suprema il nostro esercito incarna le aspirazioni di tutti i Tedeschi, di tutti i ceti e le classi, se capiremo che è chiamato ai più alti compiti dell’umanità, a proteggere cioè le sacre tradizioni e il diritto, a liberare dalla schiavitù del capitalismo i popoli sottomessi, a ricondurre la vita di questi popoli alle loro più vere radici, allora vinceremo. E questa vittoria è l’eterna vita».
(Bruno Amann, 1940)
«La Germania quale potente guida militare e politica esorta oggi l’Europa all’unità e alla lotta per la sua esistenza. In tutti gli arsenali morali della politica e dell’economia, della ricerca e della cultura si coltivano i concetti della consapevolezza dell’unità europea e della Nuova Europa del presente e del futuro, quali motivi di ammonimento, di esortazione e d’incitamento in questa permanente lotta dello spirito».
(Karl Dambach, SS-Standartenführer, 1944)
Il secondo conflitto mondiale si configurò immediatamente, fin dal suo inizio, come una guerra totale e globale su larga scala e a tutti gli effetti. Le vicende belliche si svilupparono in più continenti, anche se tutti i contraenti erano coscienti che la risoluzione finale si sarebbe giocata nel continente europeo, che rappresentava in termini geopolitici l’obiettivo da conquistare. Indubbiamente vennero innescati dei meccanismi tali che modificarono, in maniera irreversibile, le mentalità, i costumi, le usanze e le percezioni di tutti i popoli e di tutte le nazioni, e a favorire questi processi contribuirono pesantemente la mobilitazione totale di tutte le risorse umane disponibili, che comportò come conseguenza un innalzamento prodigioso dello sviluppo produttivo delle varie nazioni, e l’intensificazione della ricerca scientifica affinché fossero rese disponibili le nuove tecnologie a uso bellico – infatti si trattò nella sostanza di una guerra terribilmente moderna per gli straordinari mezzi impiegati. E, soprattutto, ancora di più contribuì il coinvolgimento morale, culturale ed emotivo delle popolazioni, che scoprirono ben presto di essere state trascinate nella fornace di una guerra a elevata tensione ideologica che avrebbe sconvolto tutte le componenti politiche, sociali e culturali delle nazioni belligeranti.
Una guerra altamente ideologica, una guerra tra Weltanschauungen, vissuta dai protagonisti come tale, perché venne combattuta, fino allo stremo delle forze, nel nome e per conto di concezioni del mondo assolutamente contrapposte tra loro, così irriducibilmente avverse da non lasciare intravedere altra soluzione che non fossero la vittoria totale o l’annientamento totale. Chiunque avesse trionfato, alla fine avrebbe definitivamente cambiato il volto della Storia e dell’umanità.
Nel settembre del 1939, la guerra scatenata ad arte dall’alta finanza internazionale e dalle democrazie capitalistiche dell’Occidente plutocratico, che avrebbero fornito la carne da macello occorrente contro la Germania nazionalsocialista e contro la Weltanschauung nazionalsocialista, ebbe così inizio. Il conflitto si sarebbe poi rapidamente esteso, coinvolgendo anche l’Unione Sovietica, il Paese guida del cosmopolitismo bolscevico, che non vedeva l’ora di manifestare apertamente le sue ambizioni di conquista. Nel mezzo, stretta fra i giganti cobelligeranti, si trovava la Germania, risoluta a difendere a tutti costi e con tutti i mezzi la sua rivoluzione e l’avvenire dell’Europa.
«This War is our War» disse con estrema sincerità Winston Churchill il 3 settembre 1939 in un suo appello alla radio: «Questa guerra è una guerra inglese, e il suo obiettivo è la distruzione della Germania».
In sostanza, la Germania doveva essere schiacciata, distrutta radicalmente, e in maniera altrettanto radicale anche il Nazionalsocialismo doveva venire annientato, e su quest’ultimo punto tutti si trovavano d’accordo. Per il capitalismo internazionale, per le democrazie liberal-democratiche, per le consorterie della grande finanza speculatrice, per i cenacoli occulti della massoneria, per i predicatori del marxismo cosmopolita, insomma per tutti i fautori del nuovo ordine mondialista, accomunati dalla medesima strategia e dai medesimi obiettivi, il Nazionalsocialismo non avrebbe dovuto più avere un futuro.
Per tutto il popolo tedesco, per tutti i nazionalsocialisti si trattava quindi di essere coinvolti in quella che chiamarono Der Kampf um unsere Weltanschauung, una guerra all’ultimo sangue dal tono apocalittico e dal sapore teologico, una guerra così drammaticamente totale che non aveva avuto precedenti nella Storia.
La Germania la saprà affrontare con fanatica determinazione rivoluzionaria, attingendo a tutte le risorse materiali e spirituali disponibili e chiamando a raccolta le migliori energie che l’Europa era ancora in grado di offrire. Avrà così inizio l’epopea eroica delle leggendarie Divisioni-SS.
Era definitivamente tramontata l’epoca che aveva visto teorizzata la figura «impolitica» del soldato, i parametri di riferimento erano decisamente cambiati, e sotto questo punto di vista i nazionalsocialisti fecero passi da gigante, giungendo a stabilire, totalmente in linea con la loro vocazione rivoluzionaria, che le forze armate dovevano avere principalmente la piena e matura coscienza politica di essere le esecutrici di una volontà superiore le cui radici affondavano nella Weltanschauung nazionalsocialista.
Pertanto, i soldati tedeschi non andarono in guerra all’oscuro delle motivazioni e del contesto politico e geopolitico che avrebbero dovuto affrontare: in loro era già presente una matura consapevolezza politica della posta in gioco. A tal proposito si espresse compiutamente Wilhelm Ehmer, uno dei redattori della celebre rivista Signal, nel marzo 1943: «La Germania non è stata spinta a questo conflitto armato da avidità di conquiste; esso invece le è stato imposto dalla volontà di distruzione che animava i suoi nemici. Di questo il soldato tedesco è intimamente convinto e perciò le forze armate tedesche formano un blocco invincibile, fondato su uno spirito militare eticamente elevatissimo, imbevuto e animato inoltre dalla fede dell’alta missione di proteggere il Reich, e quindi l’Europa intera, sia dalle usurpazioni delle potenze capitalistiche occidentali, sia, e soprattutto, dagli orrori del bolscevismo. Ogni soldato tedesco sa che si tratta veramente di essere o non essere; nessuno si fa illusioni; e ciò non fa che esaltare la volontà di tener duro e di battere il nemico dovunque lo si incontri».
Affinché una tale consapevolezza politica e una tale presenza di spirito fossero sempre ben presenti e soprattutto correttamente manifestate, furono messe in opera numerose iniziative ben strutturate per la formazione ideologica, ovvero l’addestramento e l’educazione alla Weltanschauung dei corpi combattenti, assieme a molti altri accorgimenti a carattere pedagogico e culturale.
Il materiale utilizzato, a scopi didattici, andava dai libri veri e propri, il cui contenuto rientrava a pieno titolo nella cosiddetta ortodossia del pensiero nazionalsocialista, per passare poi a specifici manuali e dispense che approfondivano argomenti di carattere politico, ideologico, culturale ed economico – anche di natura spirituale -, che vennero appositamente elaborati e prodotti per assolvere alla necessità dell’istruzione ideologica di tutta la truppa, dal corpo ufficiali fino all’ultimo granatiere. Il tutto veniva poi utilizzato da personale politico-militare specializzato e preposto all’azione di formazione nelle conferenze rivolte a un pubblico più vasto, nelle sessioni di formazione a gruppi ristretti, perfino nel rapporto personale e diretto con i singoli soldati, perché l’istruttore nazionalsocialista era consapevole che la qualità della formazione e della tenuta idealistica dell’unità combattente dipendeva anche da una formazione equilibrata dei suoi singoli componenti.
Inoltre, l’adozione di una tale metodologia operativa rendeva di fatto impensabile che si potesse sviluppare un processo didattico e dialettico che si ponesse al di fuori delle coordinate nazionalsocialiste.
Infine, non mancava nemmeno l’utilizzo delle trasmissioni radiofoniche e della cinematografia.
Lo scopo finale consisteva nel far emergere in ogni soldato, dopo un percorso disciplinante della mente e dello spirito, una inequivocabile presa di coscienza di essere un consapevole e maturo combattente della causa nazionalsocialista e un fedele esecutore della volontà del Führer, che altro non era se non la formidabile volontà corale di un intero popolo che aveva mobilitato tutte le sue energie fisiche, morali, intellettuali e spirituali per affrontare degnamente quanto il destino gli andava prospettando, consentendo così di poter parlare di un’ulteriore esperienza collettiva di vita del Nazionalsocialismo che andava maturando all’interno della comunità popolare politicamente militarizzata.
Non a caso, tutte queste iniziative di formazione ideologica venivano anche definite come Geistige Betreuung, ovvero come «sostegno spirituale» per la comunità dei combattenti della prima linea.
Per tutte le forze armate tedesche la produzione del materiale politico da utilizzare era frutto di una stretta collaborazione tra lo NSDAP e la Wehrmacht, e, successivamente al 1943, principalmente dietro l’interessamento del NS-Führungsstab, lo stato maggiore nazionalsocialista presso l’ OKW, un’emanazione diretta del Partito nazionalsocialista, che si occupava anche di fornire gli istruttori politici nelle persone degli NSFO, i cosiddetti Nationalsozialistischer Führungsoffiziere, gli Ufficiali direttivi nazionalsocialisti.
Nel caso specifico riguardante invece l’approfondimento dell’istruzione ideologica nella SS, e in special modo nella Waffen-SS, spettava direttamente al comando centrale, l’SS-Hauptamt, che produceva in proprio tutto il materiale didattico occorrente e organizzava i corsi di indottrinamento con i propri istruttori politici.
Adesso, una buona parte di questo interessante materiale è finalmente a disposizione nella nostra lingua e pubblicato in questa magnifica opera dal titolo altamente evocativo, un’opera che è il frutto di un grande lavoro di ricerca e di traduzione svolto dalla Editrice Thule-Italia.
Un libro assolutamente indispensabile, da leggere e da studiare, poiché ci rivela, attraverso una ricca documentazione, le argomentazioni, i temi, tutti i riferimenti che servirono per l’addestramento alla Weltanschauung degli uomini, dei soldati politici della SS, i contenuti del progetto rivoluzionario che il Nazionalsocialismo, tramite l’esercito politico della SS, aveva riservato alla causa della nuova Europa.
Soprattutto, vista la densità delle argomentazioni contenute, permetterà di considerare il Nazionalsocialismo come un sistema di pensiero elaborato generatore di cultura politica più che degno di attenzione, respingendo così al mittente i tanti luoghi comuni che ancora imperversano. Il Nazionalsocialismo è stato un prodotto intellettuale, ideologico e politico molto ben strutturato, molto più complesso, elaborato e sistematico di quanto i suoi denigratori ancora oggi siano disposti ad ammettere.
Ovviamente, nell’ambito della formazione ideologica, le SS erano particolarmente avvantaggiate, essendo già parte di un organismo caratterizzato da un elevato grado di ideologizzazione, specialmente quando poi cominciarono a incorporare in maniera considerevole i giovani provenienti dalla Hitlerjugend, che nei reparti SS ritrovarono lo stesso spirito e le stesse motivazioni che li avevano accompagnati nella loro vita all’interno dell’organizzazione giovanile.
Sarà lo storico francese François Duprat a sottolineare come questi giovani preferissero l’incorporamento nella Waffen-SS, piuttosto che quello nell’esercito: «Quando un giovane HJ entrava nell’esercito, vi era uno hiatus tra la sua precedente formazione e quella che avrebbe ricevuto. Questo divario non esisteva quando lasciava la HJ per la Waffen-SS. Quello che era lampante nel caso della 12a SS-Hitlerjugend era altrettanto percepibile nelle altre divisioni della Waffen-SS. Alcuni autori hanno recentemente studiato il fenomeno della HJ. Le loro conclusioni si attagliano quasi perfettamente alla Waffen-SS, ritroviamo in entrambe le organizzazioni l’accento sulla promozione della gioventù, quel governo dei giovani per i giovani, quella volontà di costruire un mondo nuovo, fondato sul cameratismo e sul Socialismo, quell’assenza di formalismo nei rapporti tra superiori e subalterni, unito ad una disciplina totale nel corso dell’azione».
La formazione ideologica mirava innanzitutto a riconfermare nel combattente politico tutti i presupposti culturali e ideologici che costituivano il patrimonio di idee del Nazionalsocialismo, la cui felice sintesi creatrice aveva dato vita al nuovo Volksstaat della stirpe germanica, dove la coscienza popolare e il retaggio nazionale si erano magnificamente fusi con il senso socialista della comunità.
Il soldato politico della Waffen-SS o della Polizia-SS doveva sempre avere ben radicata la convinzione che la Weltanschauung nazionalsocialista si fondava sul fondamentale presupposto di un sistema integrato di convinzioni e valori condivisi che la comunità popolare, la Volksgemeinschaft, doveva in primo luogo percepire intimamente e poi esprimere organicamente affinché le singole persone, appartenenti a tutti gli effetti alla stessa comunità, si potessero elevare eticamente e spiritualmente ben al di sopra delle proprie limitate dimensioni egoistiche e materiali, ed essere quindi poste nella migliore condizione di sviluppare una partecipata coscienza socialista, nelle intenzioni e nei fatti, a beneficio dell’intera comunità. In questo modo gli individui diventavano membri a pieno titolo di un corpo organico e integro, ma allo stesso tempo differenziato, a seconda delle proprie capacità e funzioni, al fine di poter partecipare attivamente allo sviluppo di un’esistenza qualitativamente superiore fondata su una realtà di popolo finalmente concepita come una comunità socialista organica e vivente, ricca di specificità e identità, luogo organizzato di una vivace e intensa vita culturale e spirituale, e di conseguenza anche di una efficiente produzione sociale ed economica sempre volta a garantire, attraverso l’utilizzo di innovative modalità operative tipicamente anticapitalistiche e antiusurocratiche, il soddisfacimento dei bisogni e delle necessità del popolo e della nazione.
Una superiore legittimazione dell’interesse nazionalsocialista per la totalità organica del popolo che emergeva chiaramente dalle riflessioni politiche di Hans Frank, l’esponente di primo piano della nuova giurisprudenza nazionalsocialista: «Non esiste una società al di fuori della totalità del popolo. Nel nostro popolo non esistono più raggruppamenti feudali, o aristocratici o comunque privilegiati per tradizione storica e per speciali diritti. Non esistono né famiglie, né classi privilegiate. Esiste un popolo tedesco unitario, che comprende nella sua schiacciante maggioranza i camerati che lavorano nello Stato, nel Partito e nell’economia».
Gli innumerevoli successi conseguiti in tutti i campi dal nuovo Socialismo popolare e comunitario tedesco, consentivano pertanto al popolo tedesco di poter affermare con legittimo vanto e orgoglio che la Germania era un vero Stato socialista del popolo, anzi l’unico Stato socialista esistente nel mondo, in lotta per la propria esistenza contro le democrazie capitalistiche della Gran Bretagna e degli USA, convenientemente alleate con il bolscevismo sovietico nel comune obbiettivo di sconfiggere il Terzo Reich, annientare il Nazionalsocialismo e soggiogare l’Europa.
Il Nazionalsocialismo, ristabilendo un criterio organico nella disciplina dei rapporti interpersonali e di questi nei confronti della comunità e dello Stato, giungeva a riaffermare un originario criterio formativo metastorico su base razziale, che alimentava nella comunità del popolo un’elevata tensione spirituale comune, una fusione di anime sulle quali agiva come unico ascendente la consapevolezza di una vitale sorgente originaria, producendo così nel popolo tedesco la condivisione delle medesime speranze e la compartecipazione alle medesime volontà, con il conseguente dissolvimento delle istanze individualistiche nel disegno comune.
Si giungeva così al compimento di una rivoluzione epocale dal sapore copernicano che, ponendo il primato della Comunità sull’individuo, rimetteva in discussione l’intero sapere illuminista e liberale allora dominante, spianando la strada a crisi irreversibili nelle società moderne e disarticolando dei dogmi artificiosi consolidati da tempo, come si apprende dalle parole di Otto Dietrich, il responsabile della stampa nazionalsocialista: «Con la visione del mondo che ci offre l’idea nazionalsocialista, si è compiuta una rivoluzione teoretica assiale: il passaggio dall’Io al noi, dall’individuo alla Comunità. Con essa si è verificata una breccia nel mondo dello spirito, che pone rimedio a un plurisecolare errore di pensiero! (…) È grande fatto del nostro tempo l’esserci liberati dal groviglio dell’individualismo, dal quale i movimenti sociali del secolo passato non poterono liberarsi da sé, e aver visto nella comunità l’unico fondamento possibile del nostro pensiero e comportamento. Con ciò si è compiuta una delle più profonde rivoluzioni nella storia del pensiero. Questa rivoluzione del pensiero è la chiave che apre una nuova èra. Di nuovo oggi si compie nel pensiero una rivoluzione copernicana dello spirito. Oggi scopriamo che il mondo non ruota intorno all’individuo, ma alla Comunità, al Popolo, dal cui destino viene condotto l’individuo».
La comunità popolare nazionalsocialista, di conseguenza a questa rivoluzione copernicana dello spirito e del pensiero, educava con attenzione i suoi membri allo spirito di responsabilità socialista verso il bene comune e al riconoscimento di un obbligo superiore che subordinava la piccola utilità personale; il tutto si sarebbe poi normalmente manifestato attraverso un’interazione positiva tra tutti i membri del popolo a essa appartenenti e mediante una continua riconferma della fedeltà al vincolo cameratesco, comunitario e responsabile verso un sistema organizzato di rapporti per cui ogni parte si scopriva utile e necessaria in funzione dell’altra, in osservanza del prioritario bene comune e nel rispetto del principio socialista che veniva riassunto nella dichiarazione d’intenti nazionalsocialista del Gemeinnutz geht vor Eigennutz.
Così facendo, la Volksgemeinschaft nazionalsocialista viveva e realizzava, nella maniera più vera e autentica, l’idea socialista che veniva restituita alla totalità del popolo e sottratta definitivamente alla demagogia frazionista dei predicatori cosmopoliti.
Solamente in un tale contesto poteva sorgere un’autentica comunità popolare come risultante dell’unità socialista del popolo e dell’organico insieme delle specifiche valenze dei suoi membri, una comunità popolare dove la Storia avrebbe infine ritrovato il senso profondo delle generazioni e dell’appartenenza ai valori del sangue e del suolo, e soprattutto il significato fondante del riferimento all’ancestrale terra dei padri, con tutta la sua memoria e con la riscoperta del popolo come soggetto di una cultura specifica e anche come elemento attinente a un preciso spazio geopolitico e razziale.
Questo sistema di pensiero non poteva che allarmare i mostri sacri del liberalismo come Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek che, assieme ai loro omologhi americani e britannici, denunciarono con asprezza il Nazionalsocialismo, presentandolo come il più pericoloso pervertitore delle società liberal-democratiche.
In effetti, dal loro punto di vista, non avevano avuto affatto torto nel puntare il dito accusatorio; il Nazionalsocialismo non aveva fatto mai mistero di voler rappresentare la risposta decisiva alle storture materialistiche partorite dall’Occidente mercantilistico in tutte le sue manifestazioni: razionalismo illuministico e cosmopolitismo ebraico, liberalismo e democrazia, egualitarismo e pacifismo, capitalismo e marxismo.
All’Occidente plutocratico, accogliente culla della speculazione finanziaria e del «libero mercato», che veniva propugnato dai fondamentalisti del liberalismo politico ed economico, il Nazionalsocialismo, con la sua potente e completa Weltanschauung, contrapponeva l’Europa dei popoli e delle etnie, il baluardo combattente della Civiltà tradizionale europea e di un Socialismo europeo specificatamente armonizzato con le tante espressioni culturali e popolari dell’identità europea che, nella volontà più volte manifestata da Adolf Hitler, avrebbe restituito dignità, posizione e destino all’intera famiglia dei popoli europei.
Una certezza per il futuro degli europei che emergeva con tutta la sua cristallina limpidezza nelle parole pronunciate da colui che diventerà il simbolo del volontariato politico europeo nei ranghi della Waffen-SS, Leon Degrelle: «Dal sangue del fronte si solleverà la rivoluzione socialista. Il Führer la vuole. Si sta preparando. Sta facendo tutto il possibile per accelerare questo processo. Noi sappiamo che il fine della sua lotta è ottenere giustizia, prosperità e rispetto per il lavoratore. Il soldato, che combatte e soffre, lo fa senza lamentarsi, perché lo sorregge questa fulgida speranza. La guerra è soltanto una tappa, da superare il prima possibile. Dietro alla guerra c’è la rivoluzione potente e pacifica, che renderà l’Europa lacerata del passato una grande comunità socialista».
L’eccezionale contenuto dei documenti pubblicati in quest’opera evidenzia con estrema chiarezza tutto il carattere rivoluzionario del Nazionalsocialismo, dalla sua volontà di rottura dell’ordine liberale alla sua evidente ribellione contro il mondo materialistico-borghese, dalla sua presa di coscienza dell’importanza dell’ereditarietà razziale al riconoscimento solenne del contadinato quale depositario della sorgente spirituale del Volk – riassumibile nel binomio del sangue e del suolo -, e alla sua precisa volontà socialista e rivoluzionaria di liberare il lavoro e i lavoratori dalla tirannia dello sfruttamento capitalistico e dall’illusione del miraggio marxista – anch’esso docilmente piegato agli interessi del grande capitale finanziario internazionale. Per giungere infine alla realizzazione della comunità popolare dei lavoratori, dei contadini e dei soldati, che avrebbe rappresentato la risultante della duplice concezione del mondo socialista e razzista che, nella mente di Adolf Hitler, sarebbe stata la nuova Germania, quale sintesi del suo saper essere al contempo armonicamente e completamente comunità di sangue e comunità socialista.
I soldati politici della Waffen-SS, che vennero educati nella consapevolezza di essere i protagonisti di una guerra totale di natura ideologica, dovevano essere i più fanatici e risoluti assertori di una concezione rivoluzionaria della vita estesa alla politica, all’economia, alla società e alla sfera spirituale dell’uomo; dovevano rappresentare con il loro esempio la radicale alternativa nazionalsocialista al decadente universo liberale, borghese, razionalista e individualista; un’alternativa fondata sul sacrificio e sul cameratismo, sullo spirito di conquista, sull’esaltazione della forza e sulla sublimazione eroica dell’azione e della disciplina. Dovevano poi essere anche la migliore espressione in termini di fedeltà della rivoluzione nazionalsocialista contro il degrado della società urbana industriale apportato dalle democrazie capitalistiche, per poter infine riconciliare gli uomini con la sacralità della natura ed esaltarne la fisicità. E, soprattutto, dovevano essere le avanguardie militanti di quella nuova Europa che sarebbe stata edificata dal Socialismo rivoluzionario di Adolf Hitler.
Che queste tematiche fossero centrali e sentite come tali in tutta la loro importanza è possibile riscontrarlo non soltanto nel contenuto dei testi ufficiali destinati alla formazione ideologica dei volontari SS, ma anche attraverso gli scritti che comparivano nei giornali e nelle riviste curate dai corpi redazionali delle varie unità divisionali della Waffen-SS, dove la consapevolezza politica dei combattenti emergeva in tutta la sua pienezza. Come nel caso del settimanale della Legione-SS italiana, Avanguardia, dove sul numero 15 del 1944 compariva un interessante editoriale dedicato alla personalità politica di Adolf Hitler, che veniva presentato come un grande riformatore sociale e il difensore dell’Europa e della sua Civiltà dall’aggressione imperialistica degli USA e dell’URSS. I nemici dell’Europa si rivelavano al contempo anche come i più accaniti nemici di tutti quei programmi di elevazione sociale voluti dal Führer che avevano risanato la Germania: «Dopo un periodo di lunga aridità del suo popolo, Adolf Hitler riuscì a risvegliare in esso le sorgenti più recondite e più ricche, dando ancora loro vita ed energie insospettate. Ma appunto lo slancio pacifico del nuovo Socialismo, in cui si traduce il Nazionalsocialismo, fece maturare nei nemici la decisione dell’annientamento; a un vero Socialismo non potevano infatti piegarsi né la plutocrazia occidentale né il capitalismo di Stato moscovita. E il giudaismo mondiale si agitò sempre più e agitò la frusta della reazione, finché riuscì a scatenare la sua guerra».
Se i soldati dell’Armata rossa scendevano in battaglia con belluina ferocia e odio razziale contro le popolazioni germaniche, spronati dai loro commissari politici e ancor di più dalla paura scatenata dalle possibili ritorsioni staliniane – per affermare un presunto internazionalismo proletario che non mascherava altro che le velleità di espansionismo e di conquista coltivate dalla satrapia sionista che dominava incontrastata a Mosca -, i soldati politici delle divisioni SS, di contro, con altrettanta determinazione, si facevano volontariamente carico dei terribili sacrifici che la guerra imponeva per affermare lo spirito di libertà dei popoli europei e la realizzazione di un Socialismo di popolo legato all’identità razziale e al mito del sangue. Proprio quel Socialismo che, nel frattempo, si stava realizzando con successo in Germania.
Sarà merito dello storico Pierre Ayçoberry l’avere messo in evidenza come i soldati tedeschi, prigionieri nei campi di concentramento sovietici, non avessero nutrito alcun dubbio sulla bontà del regime nazionalsocialista. Quando, nell’autunno del 1941, una commissione composta da comunisti tedeschi, che avevano riparato nell’URSS all’indomani della presa del potere da parte dei nazionalsocialisti, si recò nei campi di reclusione siberiani per cercare di indottrinare al marxismo i giovani tedeschi prigionieri, si trovò allibita nel dover constatare che ben il 90% di loro si era mostrato assolutamente refrattario a qualunque forma di indottrinamento marxista, manifestando invece una fedeltà assoluta nelle idee nazionalsocialiste; gli inquisitori marxisti dovettero prendere atto con rabbia che i prigionieri erano fermamente convinti della giustezza delle motivazioni della guerra al bolscevismo e del fatto che Adolf Hitler avesse realizzato il vero Socialismo in Germania, andando così incontro alle legittime aspettative dei lavoratori e dei contadini tedeschi.
Evidentemente, i concetti di comunità di popolo, razza e Socialismo erano stati profondamente interiorizzati da loro e, nonostante le enormi privazioni che la detenzione comportava, anche il loro spirito restava saldo.
D’altronde, sarà lo stesso Adolf Hitler, in un discorso tenuto nel novembre 1942 alla Löwenbräukeller di Monaco, a ribadire pubblicamente le differenze intercorrenti fra il marxismo realizzato nell’URSS e il Nazionalsocialismo realizzato nella Germania, evidenziando l’onestà negli intenti di quest’ultimo: «A ogni tedesco che combatte oggi in Oriente, io posso rivolgere questo invito: Considerate le nostre realizzazioni, le nostre case, le nostre colonie rurali; confrontate le nostre organizzazioni nazionalsocialiste con ciò che avete visto laggiù; paragonate la sorte del contadino tedesco con quella del contadino russo, e datemi poi il vostro giudizio: Chi ha fatto meglio e chi ha avuto le intenzioni più oneste? Certamente tra quanti sono tornati dalla Russia nessuno ha esitato ad ammettere che solo in Germania stesse per realizzarsi uno Stato socialista. Ma proprio per tale motivo quest’altro mondo, specie in quanto rappresenta gli interessi capitalistici, muove contro di noi. È un consorzio che ancor oggi si arroga di governare il mondo secondo il suo interesse capitalistico, di dirigerlo e, se necessario, di maltrattarlo».
Magari gli storici, per onestà intellettuale, avrebbero dovuto anche soffermarsi con la dovuta attenzione su come la belluina ferocia manifestata dai soldati dell’Armata rossa fosse soprattutto il prodotto di una perniciosa e disonorevole campagna di propaganda, voluta personalmente da Stalin, che, facendo leva sull’odio razziale rivolto contro la popolazione germanica, alimentava, di proposito, gli istinti più orrendamente bestiali e abbietti degli esseri umani, tanto da legittimare lo stupro sistematico delle donne come pratica diffusa, necessità militare e come ricompensa per la più abbrutita soldataglia sovietica.
Basterebbe rileggersi il terribile testo del messaggio scritto dal propagandista ufficiale di Stalin, il poeta ebreo Ilja Ehrenburg, rivolto ai soldati sovietici nell’incitarli alla battaglia, per rimanere pietrificati dall’orrore che tali parole riescono a suscitare: «Soldati dell’Armata rossa! Uccidete, uccidete! Schiacciate la belva fascista nella sua tana! Prendete come preda le donne tedesche, umiliate il loro orgoglio razziale! Uccidete i fascisti, uccideteli: tutti i fascisti sono colpevoli, i nati e i non nati! Il compagno Stalin lo ha detto: schiacciate la belva tedesca nella sua tana!».
Le vicende belliche comportarono, inoltre, un interessante aggiustamento del tiro da parte della cultura nazionalsocialista, che si venne a trovare nella condizione di evocare paralleli storici congeniali, e allo stesso tempo estremamente carichi di simbolismo, riferiti alla posizione storica assunta dalla Germania e al valore politico e guerriero dei suoi soldati.
Era frequente, sulle testate politiche nazionalsocialiste, leggere precisi richiami alla cultura ellenica, che veniva apparentata nella comune matrice razziale alla cultura nordico-germanica, come anche l’esaltazione del mito della Sparta dorica, che si ripresentava, nelle forme e nella sostanza, incarnato dalla Germania, che veniva a sua volta spesso qualificata come la nuova Sparta nazionalsocialista, a dimostrazione dell’intimo legame culturale e razziale intercorrente tra l’Ellade eroica e la Germania.
Proprio il filosofo nazionalsocialista Alfred Baeumler, uno stretto collaboratore di Alfred Rosenberg, già in precedenza aveva sottolineato la grande incidenza che il pensiero ellenico aveva avuto nella concezione del mondo nazionalsocialista, facendo riferimento a Nietzsche, che considerava come l’interprete della grecità in lotta contro la romanità propria del mondo moderno. Infatti, per Alfred Baeumler la romanità era sinonimo di un ordinamento internazionale che mirava a distruggere le peculiarità nazionali, inoltre era sinonimo non soltanto di cosmopolitismo e di imperialismo, ma anche di una visione filistea della vita che si poneva in contrapposizione con quello spirito agonale dei greci che era stato ripreso dal Nazionalsocialismo.
Giungendo in questo modo a una celebrazione della grecità originaria, che veniva reinterpretata in chiave völkisch e nazionalsocialista, ponendo l’accento sul fondamento popolare e sulla radice nordica degli istituti politici ellenici.
Un altro suggestivo legame simbolico, ma anche culturale e storico, fra la Germania nazionalsocialista e la Grecia classica era presente in alcuni dei provvedimenti che costituiranno l’architrave della rivoluzionaria legislazione agricola nazionalsocialista, specialmente la Reichserbhofsgesetz, la legge istitutiva dell’Erbhof, ovvero il podere agricolo ereditario.
La particolare organizzazione agricola in uso a Sparta, che suddivideva gli appezzamenti di terra coltivabile in possesso delle famiglie spartane in poderi ereditari, i Kleroi, di eguali dimensioni, assolutamente vincolati e soprattutto non soggetti a frazionamenti e a speculazione commerciale, presentava, per gli studiosi nazionalsocialisti, evidenti analogie con l’istituzione dell’Erbhof.
In ambedue i casi, come venne soprattutto evidenziato da Walther Darrè, si trattava di misure di equilibrio sociale assolutamente non plutocratiche, che indiscutibilmente rappresentavano un autentico valore aggiunto, poiché consentivano di garantire socialmente la stabilità e il necessario sostentamento delle famiglie, stimolando anche ulteriormente un radicato senso del dovere verso la procreazione di una discendenza numerosa e sana. E questo, di fatto, contribuiva efficacemente alla salute del popolo e alla salvaguardia della tenuta sociale, razziale e militare dello Stato.
In sostanza, era una convinzione diffusa che l’ordinamento agricolo degli spartani fosse da considerarsi come un’anticipazione storica di quello nazionalsocialista.
Come, molti secoli addietro, gli opliti greci si erano assunti il compito di difendere il suolo della loro patria – e quindi il suolo dell’Europa dall’invasione dei barbari provenienti da Oriente -, adesso spettava ai soldati tedeschi assolvere al medesimo compito, difendendo la patria germanica e la Civiltà europea dall’aggressione dei barbari provenienti da Occidente e da Oriente, in fedele osservanza con quanto aveva detto il Führer del popolo tedesco: «La lotta che oggi divampa riguarda obiettivi straordinariamente importanti; una cultura lotta per la sua esistenza, un’esistenza che unifica in sé i millenni e intreccia assieme grecità e germanità».
Non a caso il sacrificio consumato dai soldati tedeschi nella difesa della sacca di Stalingrado venne paragonato, per esaltarne l’eroicità, al sacrificio di Leonida e degli Spartani nella difesa del passo delle Termopili.
La filiazione politica tra ellenismo e germanità, oltre che qualificare culturalmente lo sforzo bellico della Germania, ponendo le basi per una forte contrapposizione con la sottocultura espressa dai nemici, contribuiva anche a un’ulteriore qualificazione in termini di Weltanschauung e di individuazione dell’Europa quale culla razziale originaria delle stirpi europee.
Per gli esponenti nazionalsocialisti della storiografia antica e della morfologia razziale la Civiltà ellenica aveva rappresentato, nell’antichità, il grado più significativo di manifestazione della cultura ariana; pertanto, alla luce di questo, essa non doveva più essere considerata alla stregua di un modello classicistico e romantico che comunque restava relegato al passato, bensì doveva mantenere inalterata la sua funzione di stimolo come sorgente dinamica della rinascita culturale del popolo.
Conseguentemente e coerentemente con queste considerazioni, il Nazionalsocialismo, mediante una più che evidente interpretazione di natura organicistica del pensiero politico e del divenire storico – le cui radici, come accertato, affondavano nella tradizione dell’Organicismo politico sviluppato dal pensiero classico ellenico e da Platone in particolare, la cui opera filosofica venne particolarmente amata e valorizzata dalla cultura nazionalsocialista -, si propose di ristabilire un legame diretto e inscindibile tra il passato e il presente, tra le scienze razziali e l’ereditarietà biologica e la necessaria modernizzazione strutturale della società, tra l’imperativo di promuovere delle autentiche gerarchie qualitative e il procedere sempre al contempo verso l’elevazione culturale e politica del popolo.
Nella concezione organicista della Weltanschauung nazionalsocialista erano presenti, senza alcuna contraddizione, sia la costante venerazione degli antenati e dei caduti in guerra sia la moderna comunicazione di massa; così come una riscoperta valorizzazione della cultura popolare e un conseguente e avanzato progresso sociale. Per non parlare poi della riproposizione delle valenze spirituali e razziali del contadinato, che andavano di pari passo con le mobilitanti battaglie per il lavoro, con la svolta verso l’autarchia economica e industriale, l’ammirazione nei confronti dell’innovazione scientifica e le ricerche sull’ingegneria sociale.
Proprio nella proiezione organicistica dello Stato interpretato come un’unità vivente posta a custodia della giustizia, del bene comune e della salute del popolo e della razza, si focalizzava l’interesse manifestato da parte degli intellettuali nazionalsocialisti, che non esitarono a riconoscere nell’identità strutturale del pensiero di Platone una delle fondamenta dell’organicismo comunitario popolare promosso dal Nazionalsocialismo.
Proprio come voleva Platone, anche il Nazionalsocialismo si fece interprete della vita umana intesa come una superiore totalità di anima e corpo, della predominanza dei valori politici e spirituali sugli appetiti economici, e della totale subordinazione dell’economia alle prioritarie esigenze e necessità della comunità. Altresì si fece promotore di severe misure volte alla salvaguardia della salute del popolo e del “buon sangue”, in osservanza dei precetti eugenetici e del dato archetipo della razza che dal piano del divenire doveva sfociare in quello dell’essere; e di conseguenza anche di una particolare concezione qualitativa dell’educazione della gioventù e della selezione meritocratica nell’ambito di una costruzione totalitaria, gerarchica e allo stesso tempo mobilitante e popolare dello Stato nazionalsocialista.
Nell’insieme appare indiscutibile il fatto sostanziale che la Germania nazionalsocialista si sia adoperata al massimo per mettere in campo un sapere vasto e articolato – come vasta e articolata era la sua Weltanschauung, il cui peso specifico eguagliava, e molto spesso superava, quello relativo all’impegno bellico – per dare dei fondamenti saldi e concreti alla difesa della Civiltà europea e al progetto rivoluzionario della nuova Europa.
Sul cui spessore culturale e politico si era espresso, il 18 maggio 1940, all’Università di Berlino, il presidente del Reichsinstitut für Geschichte des neuen Deutschlands, Walther Frank: «La vittoria della Germania nazionalsocialista sulle democrazie occidentali condurrà a una rivoluzione spirituale anche nell’Europa occidentale. Allorché, sotto gli assalti dei battaglioni germanici, il marciume dei sistemi e delle ideologie dell’Occidente incomincerà a barcollare, i risultati superiori raggiunti dalle scienze politiche nella nuova Germania potranno e dovranno colmare il vuoto che sarà venuto a crearsi. Alla missione critica della scienza della politica si accompagnerà una missione costruttiva. Essa consisterà nel mostrare allo stesso popolo tedesco e al mondo circostante il modo in cui i tedeschi sono giunti al Reich e alla missione regolatrice di questo Reich in Europa».
Maurizio Rossi
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