L’ordine cosmico è minacciato: il dio deriso
Il dio deriso
Il potere della magia è tale che può, seppure temporaneamente, confondere e sopraffare persino un dio. Nella storia del viaggio di Thor presso il gigante Útgarða-Loki, questo concetto viene espresso in forma grottesca.
Ci si domanda talvolta se a Thor, che pure è il più forte fra gli uomini e gli dèi, sia mai capitato di trovarsi in difficoltà: pochi possono dire di essere a conoscenza di qualcosa di simile, tuttavia occorre narrare una storia che, per quanto possa sembrare incredibile, è invece assolutamente vera.
Avvenne una volta che Thor partì sul suo carro trainato dai capri per uno dei consueti viaggi in Oriente: con lui si trovava anche Loki. Egli giunse da un contadino presso il quale lasciò i capri; i figli del contadino, Þjálfi e Röskva, andarono invece con lui. Essi giunsero così al mare profondo, lo traversarono e approdarono a una riva. Fecero un po’ di strada e arrivarono a una grande foresta: là camminarono tutto il giorno fino al calar delle tenebre. Þjálfi recava il sacco delle provviste che per la verità non erano molte; egli aveva un passo molto veloce. Quando fu buio cercarono un riparo per la notte. Allora videro una grande capanna: aveva una porta larga quanto la parete. Lì dentro si prepararono a dormire. Ma nel cuor della notte venne un possente terremoto, il terreno tremò e la capanna fu scossa. Thor si alzò e chiamò i suoi compagni. Brancolando nel buio trovarono nel centro della capanna un locale secondario. Lì si diressero e Thor si sistemò presso l’entrata, mentre gli altri si coricarono all’interno. Tutti erano spaventati tranne Thor: egli teneva le mani serrate attorno all’impugnatura del martello ed era pronto a difendersi. Si udiva un forte rumore e frastuono. Quando cominciò ad albeggiare, Thor uscì e vide un uomo che giaceva nella foresta poco distante: non era certo un nano! Costui dormiva ancora e russava sonoramente. Al dio parve di comprendere quale fosse stato il rumore che aveva udito durante la notte; si cinse la cintura di forza e sentì crescere la potenza divina; in quel momento l’uomo si destò e si alzò lesto. Si dice che quella volta Thor non trovò il coraggio di colpire con il martello, ma domandò a quell’uomo come si chiamava. Egli rispose di chiamarsi Skrymir, «ma non ho bisogno», aggiunse, «di domandare il tuo nome: so che sei ÁsaÞórr. Ma perché hai spostato il mio guanto?» Così dicendo si chinò e raccolse il guanto: allora Thor capì che quell’oggetto egli aveva scambiato per un rifugio e che il locale secondario non era che il pollice.
Skrymir domandò se Thor volesse stare in sua compagnia e il dio accettò. Skrymir prese il sacco delle sue provviste e lo aprì apprestandosi a mangiare. Lo stesso fecero Thor e i suoi in un altro luogo. Allora Skrymir propose di mettere insieme le loro provviste e Thor fu d’accordo. Skrymir perciò le riunì tutte in un unico sacco e se lo gettò sulle spalle. Per tutto il giorno camminò davanti a tutti e faceva passi poderosi. Quando fu sera inoltrata cercò rifugio per la notte sotto una grande quercia, poi disse a Thor di volersi coricare per dormire invitandolo però a cenare con i suoi. Subito dopo si addormentò e russava forte; Thor invece prese il sacco delle provviste per aprirlo. Ma per quanto possa sembrare strano egli non fu capace di sciogliere il nodo in nessun modo e neppure di allentarlo un po’. Allora, vedendo che non riusciva, si infuriò, afferrò il martello Mjöllnir con ambedue le mani, si avvicinò al luogo in cui Skrymir dormiva e lo colpì sulla testa. Skrymir si destò e domandò se gli fosse caduta sul capo una foglia e anche se avessero mangiato e si preparassero a coricarsi. Thor rispose che stavano per andare a dormire, così infatti fecero sistemandosi sotto un’altra quercia. Di certo si può dire che non ebbero un sonno tranquillo. A meta della notte Thor sentì che Skrymir russava forte, tanto che la foresta ne rintronava, e capì che dormiva profondamente. Allora si alzo e andò da lui, brandì il martello, poi colpì rapidamente e con forza nel mezzo del cranio: egli sentì che l’arma penetrava a fondo, quel momento Skrymir si destò e disse: «Che cosa c’è? Mi è caduta in testa una ghianda? Che ti succede, Thor?». Thor si affrettò ad arretrare, rispose che si era appena svegliato, che si era a metà della notte e bisognava dormire ancora. Tra sé tuttavia pensava che se gli fosse capitata l’opportunità di sferrare un terzo colpo questo sarebbe stato così potente che il gigante non si sarebbe più rialzato: perciò si mise a giacere stando attento se Skrymir ancora una volta si addormentasse profondamente. Un po’ prima dell’alba, capì che il gigante doveva essersi riaddormentato, si alzò, balzò verso di lui, fece roteare il martello con tutta la forza e lo colpì sulla tempia rivolta verso l’alto: il martello si conficcò fino al manico. Skrymir però si alzò, si sfregò la guancia e disse: «Ci sono degli uccelli sull’albero sopra di me? Nello svegliarmi mi è parso che mi cadesse in testa un ramoscello». Poi domandò se Thor fosse desto e disse che era tempo di alzarsi e vestirsi poiché non mancava molta strada alla fortezza di nome Útgarðr. E aggiunse: «Vi ho udito mormorare fra voi che io non sono di corporatura tanto piccola, ma se entrerete in Útgarðr vedrete uomini ancora più grossi. Ora vi darò un buon consiglio: non siate troppo presuntuosi, poiché i cortigiani di Útgarða-Loki non sopportano facilmente le millanterie di certi piccoletti. Altrimenti potete tornare indietro e io credo che questa sia per voi la cosa migliore. Tuttavia se proprio volete proseguire, dirigetevi a oriente; io invece andrò verso settentrione, verso quelle montagne che potete vedere laggiù». Così dicendo Skrymir prese il sacco delle provviste, se lo gettò sulle spalle e si allontanò nella foresta: è probabile che gli Asi non gli abbiano detto arrivederci.
Thor e i suoi compagni proseguirono il cammino fino a mezzogiorno. Allora videro una fortezza nel mezzo di una pianura: era tanto alta che dovettero piegare la testa all’indietro per riuscire a vederne la cima. All’ingresso c’era un cancello chiuso a chiave e là si diressero. Thor andò al cancello, ma non riuscì ad aprirlo. Tuttala, poiché volevano assolutamente entrare, si introdussero tra le sbarre. In quel luogo c’era una grande sala e la porta era aperta. Essi entrarono e videro parecchie persone sulle panche: la maggior parte era di corporatura straordinariamente grossa. Essi si fecero avanti fino al re Útgarða-Loki e lo salutarono; quello si volse lentamente verso di loro, sogghignò e disse: «Tardi si domandano notizie di luoghi lontani. Ma mi inganno se penso che questo ragazzo sia ÖkuÞórr? Certamente devi essere migliore di quanto sembri». Poi continuò e domandò in quali arti Thor e i suoi compagni si ritenessero versati; disse infatti che presso di loro non era ammesso nessuno che non eccellesse in qualche cosa in modo da essere superiore alla maggior parte degli uomini.
Allora Loki che era l’ultimo del gruppo disse così: «Io conosco un’arte nella quale mi ritengo prontissimo a cimentarmi: infatti qui dentro non c’è nessuno che mangi il suo cibo più velocemente di me». Útgarða-Loki rispose che di certo quella era un’arte, se egli davvero ne era capace, e disse che voleva metterlo alla prova. Perciò chiamò uno di nome Logi che sedeva sulla panca in fondo: doveva farsi avanti e misurarsi con Loki. Venne portato un vassoio sul pavimento della sala e fu riempito di carne. Loki si sedette da una parte e Logi dall’altra e ciascuno mangiò quanto più velocemente poteva. Essi si incontrarono nel mezzo del vassoio e Loki aveva mangiato tutta la carne tranne gli ossi, Logi invece aveva mangiato la carne, gli ossi e anche il vassoio: così tutti giudicarono che Loki aveva perso la gara. Allora Útgarða-Loki domandò di nuovo che cosa il giovane sapesse fare. Þjálfi rispose che voleva misurarsi nella corsa con chiunque Útgarða-Loki decidesse. Útgarða-Loki rispose che questa era una buona abilità, che probabilmente era bravo e che intendeva metterlo subito alla prova. Così si alzò e uscì su un pianoro dove c’era un terreno adatto per la corsa. Chiamò un ragazzo di nome Hugi e gli ordinò di gareggiare con Pjàlfi. Essi corsero una prima volta e Hugi fu talmente veloce che giunto al traguardo si volse incontro all’avversario. Allora Útgarða-Loki disse che Þjálfi doveva impegnarsi di più se voleva vincere la gara. Tuttavia aggiunse che da loro non era mai giunto nessuno che gli paresse più veloce di lui. Essi corsero una seconda volta, ma quando Hugi giunse al traguardo e si voltò, un buon tiro d’arco lo separava da Þjálfi. Útgarða-Loki disse: «Mi pare che Þjálfi corra bene, ma non credo che vincerà la prova; ora comunque lo si vedrà quando faranno la terza corsa». Così fecero la terza gara, ma quando Hugi giunse al traguardo e si voltò, Þjálfi non era ancora a metà del percorso. Tutti allora giudicarono che questa capacità era stata messa alla prova.
Poi Útgarða-Loki domandò a Thor di quale abilità egli volesse dare dimostrazione, dal momento che sul suo conto si narravano grandi storie. Thor rispose che per prima cosa voleva gareggiare con qualcuno nel bere. Útgarða-Loki disse che andava bene, rientrò nella sala e chiamò il coppiere, dicendogli di portare il corno da cui erano soliti bere i suoi cortigiani. Il coppiere venne con il corno e lo porse in mano a Thor. Útgarða-Loki disse: «Da questo corno ci pare ben bevuto se con un sorso lo si vuota, ma alcuni lo bevono in due sorsi, tuttavia nessuno è un bevitore così meschino che non ne veda il fondo in tre volte». Thor considerò il corno: non gli pareva grande, tuttavia lo trovò piuttosto lungo. Era molto assetato, così prese a bere tracannando possenti sorsate e pensò che non avrebbe avuto bisogno di chinarsi sul corno una seconda volta. Ma quando gli mancò il respiro e guardò il corno per verificare quanto aveva bevuto, gli parve che rispetto a prima non ci fosse che una differenza assai piccola. Útgarða-Loki disse: «Bene è bevuto, ma non troppo. Non ci avrei creduto se mi fosse stato detto che ÁsaÞórr non sa bere sorsi più grandi di questo. Tuttavia so che berrai tutto con il secondo sorso». Thor non rispose, si portò il corno alla bocca e pensò che questa volta doveva bere una sorsata più grande, si sforzò fino a che gli mancò il respiro, ma si accorse che la punta del corno non si sollevava come avrebbe voluto. E quando allontanò il corno dalla bocca gli parve che vi fosse ancor meno differenza di prima: solo quel margine che si lascia per non rovesciare la bevanda. Útgarða-Loki disse: «Che c’è, Thor? Non ti sei lasciato per un solo sorso più di quanto tu possa bere? Credo che se ora berrai dal corno il terzo sorso esso dovrà essere il più grande. Ma tu non potrai fra noi essere considerato potente come presso gli Asi se non ti dimostri migliore in altri cimenti di quanto mi pare tu debba essere in questo». Allora Thor si adirò, portò il corno alla bocca e bevve quanto più avidamente poté e si sforzò il più a lungo possibile. E quando guardò il corno vide che c’era una certa differenza. Però gettò il corno e non volle più bere. Allora Útgarða-Loki osservò che la forza di Thor non pareva grande quanto ci si aspettava e domandò se il dio volesse cimentarsi in altre gare poiché da quella non aveva certo tratto risultato. Thor rispose che quelle bevute fra gli Asi non sarebbero state considerate tanto modeste, tuttavia aggiunse che avrebbe accettato di affrontare altre prove. Allora Útgarða-Loki gli propose un gioco che, disse, era proprio un gioco da ragazzi: si trattava di sollevare da terra il suo gatto. Disse anche che non avrebbe proposto quella cosa a Thor se egli non si fosse dimostrato meno valente del previsto. In quel momento balzò sul pavimento della sala un gatto grigio dall’aspetto piuttosto grosso. Thor gli mise la mano sotto il ventre e fece per sollevarlo: il gatto però inarcava la schiena quanto Thor alzava la mano e il dio pur distendendosi Per tutta la sua altezza non riuscì a fargli sollevare che una zampa. Così Thor dovette tralasciare anche questa prova.
Útgarða-Loki commentò che ancora una volta era andata secondo le previsioni; che, sì, il gatto era piuttosto grosso, ma Thor era mingherlino rispetto alla gente di lì. Thor si infuriò e disse che, per quanto essi lo considerassero dappoco, egli sfidava chiunque fra loro a battersi con lui. Útgarða-Loki si guardò attorno e rispose che tutti quelli che si trovavano nella sala avrebbero considerato una cosa di poco conto il duello con Thor. E aggiunse: «Vediamo. Fate venire qui la vecchia, la mia matrigna Elli, e Thor, se vuole, combatta con lei. Ma lei ha abbattuto uomini che non mi parevano meno forti di Thor». Subito dopo entrò nella sala una vecchia e Útgarða-Loki disse che doveva battersi con Thor. Come andò è presto detto: quanto più fortemente Thor attaccava, tanto più saldamente lei resisteva; poi ella cominciò a caricare, così Thor perse l’equilibrio, ci furono alcuni violenti scossoni e in breve Thor cadde su un ginocchio. Allora Útgarða-Loki ordinò di interrompere la lotta, dicendo che Thor non aveva bisogno di sfidare altri uomini nella sua casa. Intanto s’era fatta notte; Útgarða-Loki mostrò a Thor e compagni dove accomodarsi ed essi trascorsero la notte in buona ospitalità.
Il mattino dopo, non appena cominciò a far giorno, Thor e i suoi compagni si vestirono e si prepararono a partire. Allora venne Útgarða-Loki e fece apparecchiare per loro e non fece mancare buona ospitalità, cibo e bevande. Quando ebbero mangiato si misero in cammino. Útgarða-Loki li accompagnò fuori e con loro si allontanò dalla fortezza. Al momento di separarsi domandò a Thor come gli pareva fosse andato il viaggio e se avesse incontrato qualcuno più potente di lui. Thor rispose di non poter negare d’aver avuto gran disonore dal loro incontro: «So che mi considererete un uomo dappoco, il che non mi piace». Allora Útgarða-Loki disse: «Ora ti rivelerò la verità, poiché sei fuori della fortezza; che se io vivo e avrò potere tu non vi entrerai mai più. E so in fede mia che tu non vi saresti mai entrato se io avessi saputo prima quanta potenza c’è in te, poiché tu ci hai messi in grave pericolo. Ma io ti avevo preparato degli incantesimi. La prima volta che ti incontrai nella foresta, io ero venuto a cercarvi. E quando dovevi sciogliere il sacco delle provviste, io lo avevo legato con filo magico e tu non trovasti come disfarlo. Poi tu mi colpisti tre volte con il martello: il primo colpo che pure era il più debole mi avrebbe ucciso se lo avessi ricevuto. Ma là, presso la mia sala, tu hai visto un monte con tre valli squadrate, di cui una più profonda: quelli erano i segni del tuo martello. Quel monte ho usato a riparo dei colpi, ma tu non lo vedesti. Ugualmente è stato per le gare che avete fatto con i miei cortigiani. La prima la fece Loki: egli era molto affamato e divorò il cibo velocemente, ma quello che si chiama Logi era il fuoco violento, perciò bruciò la carne e il vassoio. E quando Þjálfi corse in gara con Hugi, costui era il mio pensiero e non ci si poteva aspettare che Þjálfi gareggiasse con lui. E quando bevesti dal corno e ti pareva che esso si vuotasse lentamente, io so in fede mia che ciò fu un tale portento che non credevo potesse essere: l’altro capo del corno infatti era nell’oceano, ma tu non lo vedesti. Quando arriverai al mare potrai vedere come lo hai fatto calare bevendo. Questo ora si chiama marea». E ancora aggiunse: «Né mi parve meno straordinario quando tu sollevasti il gatto e, per dire il vero, tutti quanti videro che gli alzasti una zampa da terra furono spaventati: quel gatto infatti non era ciò che ti sembrava, bensì il serpe di Miðgarðr che giace attorno al mondo, e a malapena gli fu sufficiente la sua lunghezza perché la testa e la coda restassero a terra: tu ti protendesti tanto in alto che poco mancava al cielo. E un altro grande portento fu la lotta che combattesti con Elli, in cui tu resistesti così a lungo che non cadesti che su un ginocchio: infatti non c’è mai stato e non ci sarà mai nessuno che la vecchiaia non faccia cadere, sempre che diventi così vecchio da poter combattere con lei. Ora in verità ci dobbiamo separare e sarà meglio per entrambi che voi non veniate spesso a trovarmi. La prossima volta difenderò la mia fortezza con queste e altre magie, cosicché non avrete potere sopra di me». Quando Thor udì queste parole afferrò il martello e lo brandì per aria, ma quando fu pronto a colpire non vide più Útgarða-Loki. Allora si volse verso la fortezza pensando di distruggerla: vide però soltanto un pianoro vasto e bello, ma della fortezza non v’era più traccia. Perciò si voltò indietro e riprese il cammino finché giunse in Þrúðvangar. Occorre dire in verità che egli aveva deciso di cercare ancora il serpe di Miðgarðr, come in seguito avvenne.
Fonti principali: Lokasenna str. 60, 62; Gylfaginning di Snorri Sturluson capp. 44-7.