L’ordine cosmico è minacciato: Il viaggio di Thor presso il gigante Hymir
Il viaggio di Thor presso il gigante Hymir
In un unico racconto sono qui riuniti tre miti diversi. Il primo riguarda la sottrazione ai giganti del calderone per la birra: il potere sulla fermentazione, che è immagine delle forze vive e vivificanti, deve essere posto sotto il controllo degli dèi. Nel secondo si riferisce del tentativo di Thor di uccider il serpe di Miðgarðr, uno dei mostri cosmici. Esso tuttavia vivrà perché così dev’essere fino alla fine del mondo. Il terzo racconto, relativo all’azzoppamento di uno dei capri del dio, sottolinea il potere ambivalente di dispensare vita o morte attribuito al martello Mjöllnir.
Si racconta che una volta gli dèi catturarono della selvaggina e si prepararono a mangiarla. Ma prima di essere sazi ebbero una gran voglia di bere. Allora interrogarono la sorte con i rametti sacrificali e vennero a sapere che presso il gigante Ægir c’era abbondanza di ogni bene.
Thor si recò dunque da lui e lo trovò seduto, allegro come un fanciullo: con fare minaccioso il dio gli ordinò di preparare la bevanda per il banchetto divino. Ægir, irritato da quel tono prepotente, disse a Thor di procurargli un calderone adatto allo scopo. Thor ritornò fra gli dèi con la risposta del gigante, però essi non sapevano dove trovare un calderone sufficientemente grande. Tyr allora prese Thor in disparte e gli disse: «A oriente degli Elivágar, al limite del cielo, abita mio padre, il saggio gigante Hymir; egli possiede un recipiente profondo addirittura un miglio». Rispose Thor: «Sai se potremo ottenere il calderone?» «Certo, amico», replicò Tyr, «se agiremo con astuzia».
Così i due dèi si misero in viaggio sul carro di Thor trainato dai capri. Procedettero per un giorno intero allontanandosi da Ásgarðr, e infine giunsero da un contadino di nome Egill. Thor lasci i capri da lui.
Proseguendo il cammino giunsero infine dal gigante Hymir, e però non era in casa. La nonna di Tyr si fece loro incontro: aveva l’aria ostile e l’aspetto spaventoso; infatti era dotata di ben novecento teste. Subito tuttavia un’altra donna avanzò ed era la madre di Týr: costei aveva sopracciglia chiare e ricchi ornamenti d’oro. Offrì al figlio una coppa di birra e disse: «Voi due avete di certo l’animo coraggioso, tuttavia voglio nascondervi sotto i paioli; molte volte infatti il mio sposo si è mostrato avaro e ostile nei confronti degli ospiti». Sul tardi tornò Hymir dalla caccia; aveva tutta la barba gelata e quando entrò nella sala si udì il tintinnio dei ghiaccioli sulle gote. La moglie gli si fece incontro: «Salute, Hymir», disse, «rallegrati nell’animo! Tuo figlio che noi aspettavamo è giunto alla tua casa dopo un lungo cammino. Con lui è venuto il più temuto fra i nemici, il difensore degli uomini che si chiama Véurr. Guarda come costoro stanno al fondo della sala riparati dietro la colonna!». Il gigante lanciò in quella direzione uno sguardo così potente che la colonna andò in frantumi e la trave maestra fu divisa in due; otto calderoni caddero giù spezzandosi, ma uno, fatto con grande maestria, rimase assolutamente intatto.

Un’altra raffigurazione del celebre mito della «pesca di Thor». Pietra runica di Altuna. Uppland, Svezia, xi secolo
Allora si fecero avanti gli dèi e Hymir li seguiva con lo sguardo. La presenza nella sua casa di Thor, dio sterminatore di giganti, non prometteva niente di buono. Egli tuttavia per dovere di ospitalità ordinò che si preparasse la cena e fece tagliare la testa a tre buoi perché fossero cucinati. Thor divorò da solo due buoi, e al gigante parve quello un pasto davvero abbondante. Hymir disse così: «Per la prossima sera dovremo procurarci il cibo con la caccia o con la pesca». Thor e Týr trascorsero la notte in quella casa come ospiti. Il mattino dopo, quando fu il momento di uscire in mare, Thor disse che sarebbe andato volentieri col gigante; Hymir però ribatté che non s’aspettava grande aiuto da parte sua: «Credo che avrai freddo se io remo tanto al largo e così a lungo come è mia abitudine», disse. Thor rispose di potersi spingere così lontano dalla riva che non era certo chi fra loro avrebbe per primo proposto di tornare indietro. Dentro di sé ribolliva d’ira e avrebbe voluto colpire il gigante col martello. Tuttavia si trattenne pensando che altrove avrebbe messo alla prova la sua forza. Così chiese a Hymir di dargli le esche, ma quello rispose che, data la sua fama di sterminatore di giganti, avrebbe dovuto avere il coraggio di volgersi alle mandrie e procurarsele da solo. Il dio dunque uscì nel bosco, staccò la testa al bue più grosso di Hymir che era tutto nero e si chiamava Himinhrjótr; poi si disse pronto a mettersi in mare. Il gigante, che intanto aveva spinto la barca in acqua, osservò che le azioni di Thor erano ancora più impressionanti del suo comportamento a tavola. Presero dunque il mare, Thor si sistemò a poppa ed essi cominciarono remare; l’imbarcazione procedeva veloce. Quando ebbero vogato per un po’, Hymir disse che potevano fermarsi perché erano arrivati nella zona in cui era solito pescare le sogliole; Thor tuttavia volle procedere ancora e così fece nonostante Hymir fosse restio: egli infatti aveva paura di spingersi troppo al largo perché – disse – poteva essere pericoloso per via del serpe di Miðgarðr. In realtà, ciò che Thor voleva, dopo la sfortunata spedizione presso Útgarða-Loki, era proprio prendersi la rivincita contro quel mostro: perciò incurante dei timori di Hymir spinse l’imbarcazione fino al punto che ritenne più opportuno. Quando furono giunti, Hymir si mise a pescare e tirò su due balene. Thor invece si preparò la lenza: la testa del bue fu appesa all’amo ed egli la gettò fuori bordo lasciandola scendere negli abissi marini. Il serpe di Miðgarðr abboccò e ingoiò l’esca: subito però si accorse d’essere stato ingannato. Allora tirò con tale violenza che le mani del dio sbatterono sul bordo esterno dello scafo; Thor raccolse tutta la potenza divina, fece forza con i piedi e sfondò l’imbarcazione, puntandosi contro il fondo dell’oceano. Così poté tirare su il serpe. Era uno spettacolo terrificante vedere gli occhi con cui Thor fissava il mostro e lo sguardo dell’altro che dal basso gli sputava addosso veleno. Hymir, in preda al terrore, era sbiancato in volto. Allora nel momento in cui Thor si preparava a colpire il serpe col martello, il gigante afferrò un coltello e recise la lenza, perciò il mostro si inabissò nel mare. È detto che Thor gli scagliò dietro il martello, e colpendolo gli staccò la testa, ma è probabile invece che il serpe di Miðgarðr ancora sia vivo e giaccia in fondo all’oceano dove rimarrà fino al crepuscolo degli dèi.
Thor era terribilmente adirato e sferrò un pugno sull’orecchio di Hymir scaraventandolo in mare. Essi remarono poi verso casa ed erano entrambi di malumore. Hymir disse che Thor avrebbe dovuto aiutarlo nel lavoro: o portare a casa le balene che aveva pescato oppure trarre a riva l’imbarcazione. Thor non disse una parola, sollevò la barca con tutto il suo contenuto e, senza neppure preoccuparsi di gettare l’acqua che vi era entrata, la portò fino alla fattoria del gigante.
Hymir tuttavia si ostinava a negare che Thor, seppure eccellente vogatore, fosse dotato di forza straordinaria. Egli disse che il dio avrebbe davvero dimostrato la sua potenza se fosse stato capace di infrangere il suo calice. Thor allora lo afferrò e lo scagliò contro una colonna che subito andò in frantumi. Restando seduto lo lanciò poi attraverso diverse colonne, e tuttavia esso rimaneva intero. Allora la madre di Týr gli suggerì segretamente ciò che avrebbe dovuto fare: solo se lanciato contro il cranio di Hymir il calice si sarebbe spezzato. Così Thor si alzò in piedi e raccolse tutta la potenza divina: gettò il calice contro la testa del gigante ed esso andò in pezzi, mentre quella rimase completamente intatta. Hymir disse: «Ho perduto un oggetto di grande valore, ora che non ho più il mio calice preferito. Non potrò più dire: eccoti pronta, o birra!». Tuttavia volle porre agli dèi ancora una condizione: per andarsene di lì essi avrebbero dovuto dimostrare di poter portare via il grande calderone. Tyr provò a smuoverlo per ben due volte, ma vani furono i suoi sforzi. Thor invece lo afferrò per il bordo e s’avviò all’uscita. Poi se lo pose sul capo: esso era così grande che i manici gli tintinnavano ai calcagni. Si allontanarono dunque da quella casa; dopo un po’ però voltandosi s’avvidero che Hymir e molti altri giganti, mostri dalle tante teste, venivano fuori dalle dimore di pietra e li inseguivano armati. Thor allora si fermò, appoggiò il calderone e colpì a morte tutti quegli esseri malvagi.
Thor e Tyr giunsero di nuovo da Egill. Quando fu sera Thor si apprestò a preparare la cena: prese i capri, li uccise, li scuoiò e li mise in pentola. Poi invitò il contadino e la sua famiglia a dividere il cibo con lui. I figli del fattore si chiamavano Þjálfi e Röskva. Thor prese la pelle che aveva tolto ai capri e la distese sul pavimento. Poi disse che i convitati avrebbero dovuto gettarvi sopra gli ossi. Così tutti fecero. Þjálfi però prese un osso della coscia e lo incise per estrarne il midollo. Il giorno dopo, prima dell’alba, Thor si alzò, prese il martello Mjöllnir e lo fece roteare consacrando le pelli con gli ossi: allora gli animali tornarono in vita e si rialzarono in piedi. Così furono preparati per il viaggio. Essi però non avevano fatto che poca strada quando uno dei capri cadde a terra mezzo tramortito: era zoppo a una delle zampe posteriori. Thor si infuriò terribilmente e minacciò di uccidere i suoi ospiti: essi erano spaventati a morte dal suo sguardo e quando egli serrò il martello fra le mani con tanta forza che le nocche sbiancarono, per aver salva la vita offrirono in cambio tutto quanto avesse voluto. Così il dio prese con sé il fanciullo Þjálfi e la fanciulla Röskva come suoi servitori ed essi da allora lo seguono sempre.
È detto tuttavia che l’azzoppamento del capro di Thor avvenne per opera di Loki, il quale è sempre maestro d’inganni.
Thor portò agli dèi il grande calderone ed esso fu ceduto a Ægir, che in tal modo ogni inverno avrebbe preparato la birra per loro.
Fonti principali: Hymiskviða; Ragnarsdrápa di Bragi Boddason str. 14-20; Húsdrápa di Ulfr Uggason str. 3-6; versi di Eysteinn Valdason; Gylfaginning di Snorri Sturluson capp. 44, 48.