L’ordine cosmico è minacciato: Il duello di Thor contro il gigante Hrungnir

Il duello di Thor contro il gigante Hrungnir

Con stolta ripetitività i giganti si ostinano a misurarsi con gli dèi, inseguendo il sogno impossibile della loro rovina: tale dev’essere il loro comportamento fino al momento dello scontro cosmico dell’ultimo giorno. Anche questo mito riferisce del loro desiderio di impadronirsi di figure e simboli in cui è contenuta la forza vivificante e rinnovatrice. Qui, oltre a Freyja, si trovano in pericolo Sif, sposa e dunque ricettacolo della fecondità del dio del tuono, e la Valhalla, luogo di eterno rinnovamento e splendore.

Thor_und_HrungnirAvvenne una volta che, mentre Thor si trovava in Oriente a combattere i giganti, Odino cavalcò su Sleipnir fino in Jötunheimr e giunse alla dimora di un gigante di nome Hrungnir. Costui lo vide e fu ammirato del destriero del dio. Allora domandò: «Chi è quest’uomo dall’elmo d’oro che cavalca nell’aria e nell’acqua?». E aggiunse: «Tu possiedi un cavallo veramente straordinario». Odino si disse pronto a scommettere la testa che, in tutto Jötunheimr, non c’era un destriero altrettanto veloce, ma Hrungnir ribatté che, sì, quello era un buon cavallo, tuttavia egli stesso ne possedeva uno di nome Gullfaxi che era senz’altro migliore. Così il gigante s’infuriò e salì in groppa al cavallo pensando di ripagare Odino della sua vanteria. Odino cavalcava veloce e scomparve dietro una collinetta. Hrungnir era così preso dalla furia dei giganti che si rese conto di dove era giunto soltanto dopo aver oltrepassato il cancello ed essere entrato nel sacro recinto di Ásgarðr. Allora gli Asi lo invitarono a bere, ed egli fu servito nelle coppe dalle quali era solito bere Thor. Hrungnir le vuotò e quando fu ubriaco non fece mancare le parole grosse: disse che voleva prendersi la Valhalla e portarla in Jötunheimr, sprofondare Ásgarðr e uccidere tutti gli dèi, tranne Freyja e Sif: esse sarebbero dovute andare con lui. Mentre Freyja gli serviva da bere egli aggiunse che avrebbe bevuto tutta la birra degli Asi. Quando gli dèi ne ebbero abbastanza delle sue sbruffonate, mandarono a chiamare Thor. Subito egli tornò ed era assai adirato e pronto a colpire col martello: domandò chi avesse permesso che i giganti bevessero nelle dimore degli dèi e perché Hrungnir potesse stare nella Valhalla e ancora perché Freyja dovesse servirlo come al convito degli Asi. Hrungnir guardò Thor con aria ostile e rispose che egli era stato invitato lì da Odino e che si trovava nella dimora degli dèi sotto la di lui protezione. Thor disse che prima di andarsene si sarebbe pentito di aver accettato quell’invito. Hrungnir ribatté che sarebbe stata un’azione vile e disonorevole ucciderlo ora, mentre era disarmato. Ben più coraggio sarebbe servito – disse – per battersi a duello presso il confine nel luogo detto Grjótùnagarðar. Aggiunse anche che, se avesse avuto con sé il suo scudo e la sua cote, non avrebbe esitato a misurarsi col dio. «Tuttavia ti chiamerò vigliacco, se mi uccidi quando sono disarmato.» Thor fu subito disposto ad accettare quel duello anche perché era la prima volta che qualcuno lo sfidava. Hrungnir partì e ritornò in Jötunheimr. Presto la notizia del duello imminente si diffuse fra i giganti: sapevano che la posta in gioco era assai alta e che se Hrungnir avesse dovuto soccombere sarebbe stato per loro un guaio gravissimo, poiché egli era il più forte fra loro.

Così i giganti costruirono un uomo di fango alto nove miglia e largo tre sotto le ascelle. Tuttavia non trovarono un cuore abbastanza grande finché non lo presero a una cavalla. Quel cuore non era certo saldo quando giunse Thor. Di Hrungnir è detto che aveva un cuore fatto di pietra, appuntito e con tre corna. Egli inoltre aveva anche la testa di pietra. Di pietra poi era lo scudo: esso era largo e spesso, e Hrungnir lo reggeva davanti a sé quando ritto presso Grjótùnagarðar attendeva Thor. Sulla spalla teneva la sua arma, che era una cote e aveva davvero un aspetto terrificante. Il gigante di fango, di nome Mökkurkálfi, era al suo fianco: era così impaurito che a quanto pare alla vista di Thor se la fece sotto.

Thor giunse dunque sul luogo del duello e con lui Þjálfi. Questi corse avanti veloce là dove stava Hrungnir e gli disse: «Sei incauto o gigante a restare ritto con lo scudo davanti, Thor ti ha visto e viene da te sottoterra e dal basso ti attaccherà». Allora Hrungnir si gettò lo scudo sotto i piedi e rimase fermo con la cote fra le mani. Subito dopo vide dei lampi di luce e udì un tuono possente. Era Thor, invaso dal furore divino, che avanzava brandendo il martello. E da lontano il dio scagliò la sua arma contro Hrungnir. Hrungnir alzò la cote con entrambe le mani e a sua volta la scagliò contro Thor. Le due armi si scontrarono in volo e la cote si spezzò: una parte andò a conficcarsi nel terreno – di lì hanno origine sulla terra le cave di queste pietre. Una scheggia invece si infilò nella testa di Thor ed egli cadde in avanti. Il martello Mjöllnir colpì Hrungnir nel mezzo della fronte e gli frantumò il cranio in minutissimi pezzi: anch’egli crollò in avanti addosso a Thor cosicché uno dei suoi piedi finì sul collo del dio.

Þjálfi sconfisse Mökkurkálfi, che cadde con poco onore. Dopo di ciò sì avvicinò a Thor sforzandosi di togliergli di dosso il piede del gigante, ma non ce la fece. Tutti gli Asi, saputo che Thor era caduto, andarono da lui per liberarlo dal piede, ma non vi riuscirono. Venne allora Magni, figlio di Thor e di Járnsaxa, che aveva appena tre notti di vita. Tolse il piede di Hrungnir dal collo di Thor e disse: «È un peccato, padre, che io sia arrivato così tardi. Penso che se avessi incontrato questo gigante lo avrei spedito all’altro mondo con un pugno». Thor si alzò e si congratulò col figlio, il quale – disse – sarebbe divenuto assai potente. Così decise che voleva regalargli il cavallo Gullfaxi, che Hrungnir aveva posseduto. Odino protestò, affermando che egli aveva agito male donando quel prezioso destriero a suo figlio anziché a suo padre.

Poi Thor ritornò alla sua dimora a Þrúðvangar, ma aveva sempre la cote conficcata nella testa. Allora venne una maga che si chiamava Gróa, moglie di Aurvandill il Coraggioso. Ella cantò per lui degli incantesimi e la cote cominciò a smuoversi. Quando Thor si accorse che poteva essere liberato dalla cote volle ricompensare Gróa. Per renderla felice le raccontò di una volta in cui aveva guadato da nord a sud gli Elivágar, portando Aurvandill fuori da Jötunheimr sulle spalle in una gerla. Come prova le disse che uno degli alluci del gigante era rimasto fuori ed era gelato; perciò egli lo aveva spezzato e gettandolo nel cielo ne aveva fatto una stella di nome Aurvandilstá. Thor aggiunse anche che entro poco tempo Aurvandill sarebbe tornato a casa. Allora Gróa fu così felice che dimenticò l’incantesimo, e la cote rimase conficcata nella testa di Thor. È detto che non si deve gettare una cote di traverso sul pavimento, altrimenti quella conficcata nella testa di Thor si muove.

Fonti principali: Haustlöng di Þjòðólfr di Hvinir str. 14-20

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