Carattere e imprese di Posidone
Carattere e imprese di Posidone
a) Quando Zeus, Posidone e Ade, dopo aver deposto il padre loro Crono, estrassero a sorte delle tessere da un elmo per stabilire chi dovesse essere signore del cielo, del mare e dell’oscuro oltretomba, mentre la terra sarebbe stata dominio di tutti, a Zeus toccò il cielo, ad Ade l’oltretomba e a Posidone il mare. Posidone, che è pari a suo fratello Zeus per dignità, se non per potere, e ha un carattere cupo e litigioso, subito si accinse a costruire un palazzo subacqueo al largo di Egea, in Eubea. Nelle sue stalle spaziose albergano bianchi cavalli con zoccoli di bronzo e criniere d’oro, e un aureo cocchio al cui apparire subito cessano le tempeste, mentre mostri marini emergono dalle onde e gli fanno da scorta.
b) Poiché gli occorreva una moglie che si trovasse a suo agio negli abissi marini, Posidone corteggiò Teti la Nereide; ma quando seppe che, secondo una profezia, il figlio nato da lei sarebbe stato più famoso di suo padre, rinunciò a sposarla e lasciò che si unisse a un mortale chiamato Peleo. Posò poi gli occhi su Anfitrite, un’altra Nereide, che sdegnò le sue proposte e si rifugiò sul monte Atlante; ma Posidone le inviò messaggeri, e tra questi un certo Delfino, che perorò la causa di Posidone con tanta efficacia da indurre Anfitrite al consenso. Subito si fecero i preparativi per le nozze e Posidone, grato a Delfino, ne immortalò l’immagine tra le stelle del firmamento. Anfitrite diede a Posidone tre figli: Tritone, Roda e Bentesicima; ma come già era accaduto a Era per colpa di Zeus, Posidone fece molto soffrire la moglie intrecciando amori con dee, ninfe e donne mortali. Anfitrite si ingelosì soprattutto di Scilla, figlia di Forcide, e gettando erbe magiche nella fontana dove la fanciulla si bagnava, la trasformò in un latrante mostro dalle sei teste e dodici zampe.
c) Posidone si mostrò sempre avido di assicurarsi regni sulla terra, e un giorno avanzò pretese sull’Attica scagliando il suo tridente nell’acropoli di Atene, dove subito si aprì un pozzo d’acqua marina che ancora si vede: quando soffia il vento del sud si può sentire il remoto fragore della risacca. In seguito, durante il regno di Cecrope, Atena prese possesso dell’Attica in modo più gentile, piantando un olivo accanto al pozzo. Posidone, furibondo, la sfidò a duello, e Atena avrebbe accettato se Zeus non si fosse interposto nella disputa ordinando che i due dèi si rimettessero al suo giudizio. Posidone e Atena si presentarono dunque al tribunale divino, composto da tutte le divinità olimpiche, che invitarono Cecrope a deporre come testimone. Zeus non espresse il proprio parere, ma mentre tutti gli dèi appoggiavano le pretese di Posidone, tutte le dee si schierarono dalla parte di Atena. E così, per un voto di maggioranza, Atena ottenne di governare sull’Attica, poiché aveva fatto a quella terra il dono migliore.
d) Posidone, furibondo, allagò con onde immense la pianura triasia, dove sorgeva Atene, la città di Atena, e la dea si trasferì allora alla futura Atene; chiamò così anche questa dal suo nome. Per placare l’ira di Posidone, le donne ateniesi rinunciarono al diritto di voto e fu proibito agli uomini di portare il nome delle loro madri, come era stata usanza fino a quel tempo.
e) Posidone contese ad Atena anche il possesso di Trezene, e in tale occasione Zeus impose che la città fosse divisa equamente tra i due, ma né l’uno né l’altra ne furono soddisfatti. In seguito Posidone cercò invano di strappare Egina a Zeus e Nasso a Dioniso; e quando vantò pretese su Corinto, la città di Elio, ottenne soltanto l’Istmo, mentre Elio fu ricompensato con l’acropoli della città. Esasperato, tentò di impossessarsi dell’Argolide, dominio di Era, ed era di nuovo pronto a battersi, rifiutando di comparire dinanzi al concilio degli olimpi che, diceva, gli erano tutti ostili. Zeus allora affidò il giudizio agli dei-fiumi Inaco, Cefiso e Asterione, che si dichiararono in favore di Era. Poiché gli era stato proibito di vendicarsi con un’inondazione, Posidone fece esattamente il contrario: disseccò i fiumi degli dèi che l’avevano giudicato, tanto che durante l’estate essi non scorrono più nel loro letto. Per amore di Amimone, una delle Danaidi che più ebbero a soffrire per quella siccità, concesse tuttavia che il fiume Lerna scorresse in perpetuo.
f) Posidone si vanta di aver creato il cavallo, benché, come taluni sostengono, quando egli era ancora in fasce, Rea avesse già dato in pasto a Crono uno di questi animali; e di aver inventato le briglie, benché questa invenzione sia da attribuirsi ad Atena; ma nessuno può negargli il merito di aver istituito le corse con i cocchi. È certo che i cavalli sono sacri a Posidone, forse per via di quel che accadde quand’egli, spinto dall’amore, inseguì Demetra che cercava disperatamente sua figlia Persefone. Si narra che Demetra, stanca e scoraggiata dopo tanto errare, non volendo unirsi con un dio o con un titano, si trasformò in giumenta e cominciò a pascolare tra gli armenti di un certo Onco, figlio di un figlio di Apollo, che regnava a Onceo in Arcadia. Essa non riuscì, tuttavia, a trarre in inganno Posidone, che si trasformò a sua volta in stallone e la coprì, e da quella orrenda unione nacquero la ninfa Despena e il cavallo Arione. Il furore di Demetra fu tale che in Arcadia ancora la si onora come « Demetra la Furia ».
Approfondimenti:
1) Teti, Anfitrite e Nereide erano diversi appellativi locali della stessa triplice dea Luna nel suo aspetto di signora del mare; e poiché Posidone era il dio padre degli Eoli che si erano dedicati ai commerci marittimi, il dio pretese d’essere marito della dea in tutte le località dove essa contasse dei fedeli. Peleo sposò Teti sul monte Pelio; Nereide significa «l’umida», e il nome di Anfitrite si riferisce al « terzo elemento », il mare, che avvolge il primo elemento, la terra, e sopra il quale sta il secondo elemento, l’aria. Nei poemi omerici Anfitrite significa semplicemente « il mare » e non s’identifica con la moglie di Posidone. Anfitrite si mostra riluttante a sposare Posidone, così come Era si mostrò riluttante a sposare Zeus e Persefone a sposare Ade: queste nozze simboleggiarono le interferenze dei sacerdoti maschi nel controllo dell’industria della pesca, monopolio femminile durante il periodo matriarcale. La leggenda di Delfino è un’allegoria sentimentale: i delfini si mostrano infatti quando il mare tempestoso si placa. Le figlie di Anfitrite erano la dea stessa nel suo triplice aspetto: Tritone, la felice luna nuova; Roda, la luna piena del raccolto; e Bentesicima, la pericolosa luna calante. Ma Tritone fu in seguito mascolinizzata. Ege sorgeva sulla costa beota dell’Eubea, la più riparata dai venti, ed era il porto di Orcomeno. Fu là che si riunì la spedizione navale in partenza per Troia.
2) La vicenda della vendetta di Anfitrite su Scilla ha un parallelo nella vendetta di Pasifae su un’altra Scilla. Scilla (« colei che dilania » o anche « cucciola ») è ancora Anfitrite nel suo aspetto più sgradevole, quello di Ecate dea della morte, con la testa di cagna, che si trovava a suo agio sia sulla terraferma sia sulle onde. In un sigillo di Cnosso essa ci appare nell’atto di minacciare un uomo posto su una barca, così come minacciò Odisseo nello stretto di Messina. Il racconto citato da Tzetze pare sia stato erroneamente dedotto da una antica pittura vascolare nella quale si vede Anfitrite ritta presso una fonte dove si trova un mostro dalla testa di cane, mentre sull’altra faccia del vaso si vede un eroe annegato imprigionato tra due triadi di dee dalla testa di cane, all’ingresso dell’Oltretomba.
3) I miti di Posidone che tenta di impossessarsi di certe città hanno un carattere politico. Il suo litigio con Atena adombra probabilmente il fallito tentativo di sostituire Posidone ad Atena come nume tutelare di Atene. La vittoria della dea, tuttavia, fu compromessa dalle concessioni fatte al sistema patriarcale: gli Ateniesi rinunciarono a portare il cognome della madre, mentre i Cretesi rimasero fedeli a questa usanza fino ai tempi classici (Erodoto, I 173). Varrone, che ci narra tale episodio, dice che la decisione fu presa in seguito a un plebiscito di tutti gli uomini e di tutte le donne di Atene. È chiaro che i Pelasgi ionici di Atene furono sconfitti dagli Eoli e che Atena riacquistò la propria sovranità grazie a una alleanza con gli Achei devoti a Zeus; la dea fu costretta in seguito a rinnegare la paternità di Posidone e ad ammettere d’essere rinata dalla testa di Zeus.
4) L’olivo fu importato dalla Libia, e ciò conferma il mito delle origini libiche di Atena; probabilmente la dea portò con sé soltanto un innesto dell’albero a lei sacro, poiché l’olivo non cresce spontaneamente, ma deve sempre essere innestato sull’oleastro od olivo selvatico. Nel secondo secolo dopo Cristo si mostrava ancora ai visitatori, in Atene, l’albero della dea. L’inondazione della pianura triasia è probabilmente un fatto storico, ma non si può datarlo con precisione. Forse, all’inizio del quattordicesimo secolo prima di Cristo, che secondo i meteorologi fu un periodo caratterizzato da piogge violentissime, i fiumi dell’Arcadia non si prosciugavano durante l’estate, e il loro inaridirsi, verificatosi in seguito, fu attribuito alla collera di Posidone. Pausania (II 4 7, vedi 67 2) ci dà abbondanti notizie sul culto solare pre-ellenico a Corinto.
5) Il mito di Demetra e di Posidone si ricollega a una invasione ellenica dell’Arcadia. Demetra veniva onorata a Figalia e ivi rappresentata come dea dalla testa di giumenta, patrona del culto del cavallo. I cavalli erano sacri alla Luna perché i loro zoccoli lasciavano sul terreno un’impronta a forma di primo quarto. La Luna era inoltre considerata la fonte di ogni acqua, ed ecco perché Pegaso fu associato con le sorgenti. Gli antichi Elleni introdussero in Grecia dalle regioni transcaspiche una razza di cavallo più sviluppata e robusta; gli animali indigeni infatti erano grandi circa come i ponies dello Shetland e non si potevano aggiogare ai carri. Pare che codesti Elleni si impadronissero delle città dove fioriva il culto del cavallo: i loro re guerrieri costrinsero al matrimonio le sacerdotesse locali e acquistarono così il diritto di sovranità su quelle terre. In seguito soppressero il culto orgiastico delle giumente selvagge. I sacri cavalli Arione e Despena (quest’ultimo era un appellativo di Demetra stessa) furono allora detti figli di Posidone. Amimone fu probabilmente il nome della dea a Lerna, centro del culto danaidico dell’acqua.
6) Demetra nel suo aspetto di Furia, così come Nemesi nel suo aspetto di Furia, fu la dea che una volta all’anno diveniva assetata di sangue. Prima che gli Elleni giungessero in Grecia, già si narrava il mito di Posidone e Demetra a Telpusia (Pausania, Vili 42) e di Posidone e di una Furia non identificata presso la fonte Tilfusa in Beozia (scolio a Omero, Iliade XXIII 346). Tale leggenda si trova anche nella letteratura indiana, dove Saranyu si trasforma in giumenta, Vivaswat in stallone e la copre, e il frutto di questa unione sono i due eroici Ashvins. Può darsi infatti che « Demetra-Erinni » indicasse « Demetra Saranyu » e non « Demetra la Furia », in un tentativo di conciliare due civiltà guerriere; ma per i suscettibili Pelasgi Demetra fu, e rimase, una dea oltraggiata.