Gli dèi dell’Oltretomba

Gli dèi dell’Oltretomba

a) Quando le ombre scendono al Tartaro, il cui ingresso principale si trova in un bosco di bianchi pioppi presso il fiume Oceano, ciascuna di esse è munita di una moneta, che i parenti le hanno posto sotto la lingua. Possono così pagare Caronte, il tristo nocchiero che guida la barca al di là dello Stige. Questo lugubre fiume delimita il Tartaro a occidente e ha come suoi tributari l’Acheronte, il Elegetonte, il Cocito, l’Averno e il Lete. Le ombre prive di denaro debbono attendere in eterno sulla riva, a meno che non riescano a sfuggire a Ermete, la loro guida, introducendosi nel Tartaro da un ingresso secondario, come Tenaro in Laconia o Aorno nella Tesprozia. Un cane con tre teste (o con cinquanta teste, come altri sostengono), chiamato Cerbero, monta la guardia sulla sponda opposta dello Stige, pronto a divorare i viventi che tentino di introdursi laggiù, o le ombre che tentino di fuggire.

800px-Nekyia_Staatliche_Antikensammlungen_1494_n2b) Nella prima zona del Tartaro si trova la triste Prateria degli Asfodeli, dove le anime degli eroi vagano senza mèta tra la turba dei morti meno illustri che svolazzano qua e là come pipistrelli, e dove soltanto Orione ha ancora cuore di cacciare ombre di daini. Ciascuna di loro preferirebbe vivere come servo di un umile contadino anziché soggiornare come sovrano nel Tartaro. Unico loro piacere è bere il sangue delle libagioni offerte dai vivi: poi si sentono ancora uomini, almeno in parte. Oltre questa prateria si trovano l’Erebo e il palazzo di Ade e di Persetene. Alla sinistra del palazzo, un bianco cipresso ombreggia la fonte di Lete, dove le ombre comuni si radunano per bere. Ma le ombre iniziate evitano quelle acque e preferiscono dissetarsi alla fonte della Memoria, ombreggiata da un pioppo bianco, e la cui acqua dà loro certi vantaggi sugli altri compagni di sventura. Lì accanto, le ombre appena scese nel Tartaro vengono giudicate da Minosse, Radamante ed Eaco, in un punto dove tre strade si incrociano. Radamante giudica gli asiatici ed Eaco gli europei; i casi più difficili vengono sottoposti a Minosse. Al termine di ogni giudizio le ombre vengono indirizzate lungo una delle tre strade: la prima conduce alla Prateria degli Asfodeli, dove si riuniscono coloro che non furono né virtuosi né malvagi; la seconda al campo di punizione del Tartaro, destinata ai malvagi; la terza ai Campi Elisi destinati ai virtuosi.

c) I Campi Elisi, su cui impera Crono, si trovano presso il Palazzo di Ade e il loro ingresso è accanto alla fonte della Memoria; essi sono un luogo di gioia dove splende perpetuo il giorno, non vi è mai gelo né cade la neve, ma si svolgono vaghi a suon di musica e le ombre che vi trovano possono rinascere e tornare sulla terra se ciò loro aggrada. Poco più oltre si trovano le Isole Beate, riservate a coloro che nacquero tre volte e ogni volta vissero virtuosamente. Taluni dicono che un’altra isola fortunata, chiamata Leuce, si trovi nel Mar Nero, di fronte alle foci  del Danubio; essa è boscosa e ricca di selvaggina. Colà albergano le ombre di Elena e di Achille e declamano versi di Omero agli eroi che presero parte agli eventi da lui celebrati.

d) Ade, che è orgoglioso e geloso delle proprie prerogative, sale raramente nel Mondo Superiore, e soltanto per sbrigare faccende urgenti o mosso da improvvisa brama lussuriosa. Un giorno abbacinò la Ninfa Minta con lo splendore del suo cocchio dorato trainato da quattro cavalli neri, e l’avrebbe sedotta senza difficoltà se la regina Persefone non fosse apparsa appena in tempo per trasformare Minta in un’erba menta dal dolce profumo. In un’altra occasione Ade tentò di violentare la Ninfa Leuce, che fu trasformata nel bianco pioppo presso la fontana della Memoria. Ade non permette ad alcuno dei suoi sudditi di fuggire, e pochi di coloro che visitano il Tartaro possono tornare vivi sulla terra per descriverlo. E ciò fa di Ade il più odiato di tutti gli dèi.

e) Ade non sa che cosa accade nel Mondo Superiore o sull’Olimpo; 9 gli giungono soltanto frammentarie notizie quando i mortali tendono la mano sopra la terra e lo invocano con giuramenti o maledizioni. Tra le cose a lui più care vi è un elmo che lo rende invisibile, datogli in segno di gratitudine dai Ciclopi quando egli consentì a liberarli per ordine di Zeus. Tutte le ricche gemme e i preziosi metalli celati sottoterra appartengono ad Ade, ma egli non ha possedimenti sopra la superficie terrestre, salvo certi oscuri templi in Grecia e, forse, una mandria di bestiame nell’isola Erizia; mandria che, secondo altri, apparterrebbe invece a Elio.

f) La regina Persefone sa essere benigna e misericordiosa. Essa è fedele ad Ade, ma non ha avuto figli da lui e gli preferisce la compagnia di Ecate, dea delle streghe. Zeus stesso onora Ecate tanto che non le tolse l’antica prerogativa di cui sempre godette: di poter concedere o negare ai mortali qualsiasi dono desiderato. Essa ha tre corpi e tre teste: di leone, di cane e di giumenta.

g) Tisifone, Aletto e Megera, le Erinni o Furie, vivono nell’Erebo e sono più vecchie di Zeus e dì tutti gli olimpi. Loro compito è ascoltare le lagnanze mosse dai mortali contro l’insolenza dei giovani nei riguardi dei vecchi, dei figli nei riguardi dei genitori, degli ospitanti nei riguardi degli ospiti e delle assemblee dei cittadini nei riguardi dei supplici, e di punire tali crimini inseguendo senza posa i colpevoli, di città in città, di regione in regione. Le Erinni sono vegliarde, anguicrìnite, con teste di cane, corpi neri come il carbone, ali di pipistrello e occhi iniettati di sangue. Stringono nelle mani pungoli dalle punte di bronzo e le loro vittime muoiono in preda ai tormenti. Non conviene citare il loro nome nel corso di una conversazione; ecco perché di solito le si chiama Eumenidi, che significa « le gentili », e si parla di Ade come di Plutone o Pluto, cioè il « ricco ».

Approfondimenti

1) I mitografi fecero generosi sforzi per conciliare le opposte credenze circa l’Oltretomba diffuse nel mondo dell’antica Grecia. Secondo una di tali credenze le ombre dei morti vivevano nei loro sepolcri o in caverne sotterranee, dove potevano prendere la forma di serpenti, sorci o pipistrelli, ma non si reincarnavano più in esseri umani. Secondo un’altra, le anime dei re sacri vagavano, ben visibili, nelle isole funebri dove i loro corpi erano stati inumati. Secondo una terza, le ombre potevano reincarnarsi di nuovo in uomini insinuandosi in fave, noci o pesci, per essere poi mangiate dalle loro future madri. Secondo una quarta esse si spingevano nell’estremo nord, dove il sole non brilla mai, e ritornavano alle loro terre come venti fertilizzanti. Secondo una quinta si rifugiavano invece nell’estremo Occidente, dove il sole tramonta e dove si trova un mondo di ombre assai simile a quello dei viventi. Secondo una sesta, l’ombra del morto riceveva compensi o punizioni a seconda della vita che aveva condotto. A quest’ultima credenza gli orfici aggiunsero la teoria della matempsicosi o trasmigrazione delle anime; un processo che poteva essere controllato, entro certi limiti, dall’uso di formule magiche.

2) Persefone ed Ecate rappresentano la speranza pre-ellenica della rigenerazione; ma Ade, che è una concezione ellenica, rappresenta ‘ineluttabilità della morte. Crono, nonostante i suoi malvagi trascorsi. Potè godere delle gioie dei Campi Elisi, poiché tale era il privilegi di ogni re sacro, e a Menelao (Odissea IV 561) fu promessa la stessa ricompensa, non perché si fosse dimostrato particolarmente coraggioso o virtuoso, ma perché aveva sposato Elena, la sacerdotessa della dea-Luna spartana. L’aggettivo omerico asphodelos, applicato soltanto ai leimones (« campi »), probabilmente significa « nella valle di ciò che non è stato ridotto in cenere » (da a = non, spodos = cenere, elos = valle) e cioè si riferisce all’ombra dell’eroe, dopo che il suo corpo è stato bruciato sul rogo. Salvo che nell’Arcadia, dove si mangiavano ghiande, i semi e le radici dell’asfodelo, offerti appunto alle ombre degli eroi, erano l’alimento principale dei Greci prima della coltivazione del grano. L’asfodelo cresce anche in isole senz’acqua e i morti, come gli dèi, sono conservatori in fatto di regime alimentare. Elisio pare significhi « terra di mele » (alisier era parola pre-gallica per indicare la sorbola) e ha dunque lo stesso significato dell’« Avalon » del romanzo di Arturo e del latino « Avernus » o « Avolnus », ambedue formati dalla radice indo-europea abol, che significa mela.

3) Cerbero era il doppione greco di Anubi, il figlio della dea libica Netti, dalla testa canina, che guidava le anime all’Oltretomba. Nel folclore europeo, che è in parte di origine libica, le anime dei dannati sono spinte all’inferno settentrionale da un’ululante muta di cani (i cani di Annwm, Herne, Arturo o Gabriele) e tale mito fu ispirato dalle rumorose migrazioni estive delle oche selvatiche che si spingono verso il Circolo Polare Artico. Cerbero, dapprima, ebbe cinquanta teste, tante quanti erano i cani della muta spettrale che uccise Atteone (vedi 22 1), e in seguito tre teste, come la sua padrona Ecate (vedi 134 1).

4) Lo Stige («odiato»), un fiumiciattolo dell’Arcadia che si credeva avesse le acque mortalmente velenose, fu posto nel Tartaro soltanto dai mitografi più tardi. Acheronte (« fiume di guai ») e Cocito (« gemente ») sono nomi di fantasia creati per descrivere le pene della morte. Lete significa « oblio » ed Èrebo « coperto ». Aornis (« senza uccelli ») è una erronea traduzione greca dell’italico « Avernus ». Flegetonte (« che brucia ») si riferisce all’uso della cremazione e fors’anche alla teoria che i peccatori ardono in fiumi di lava. Tartaro pare il raddoppio della base pre-ellenica tar frequente in nomi di località che si trovano a Occidente. Il significato di « infernale » lo assunse soltanto più tardi.

5) I pioppi neri erano sacri alla dea della morte  e i pioppi bianchi o trèmule, erano sacri sia a Persefone come dea della rigenerazione, sia a Eracle perché scese agli Inferi. Diademi d’oro a forma di foglie di trèmula furono ritrovati nei sepolcri mesopotamici del quarto millennio prima di Cristo. Le tavolette orfiche non danno un nome all’albero presso la fonte della Memoria; ma si trattava probabilmente del pioppo bianco in cui fu trasformata Leuce o forse di un noce, l’emblema della saggezza. Il legno di cipresso bianco, che veniva considerato incorruttibile, si usava per costruire cofani dove riporre la biancheria o bare.

6) Ade aveva un tempio ai piedi del monte Mente in Elide, e la leggenda del suo assalto a Minta (« menta ») fu dedotta probabilmente dal fatto che la menta veniva usata nei riti funebri, con il rosmarino e il mirto, per eliminare il puzzo di carne putrida. L’acqua d’orzo che Demetra bevve a Eleusi era profumata con menta. Benché lo si ritenga il padrone della mandria solare di Erizia (« terra rossa »), perché colà il sole incontrava la sua morte quotidiana, Ade in questo mito è chiamato più comunemente Crono, o Gerione

7) Dal racconto di Esiodo risulta che Ecate fu in origine la triplice dea, dal potere supremo sul Cielo, sulla Terra e sul Tartaro. Ma gli Elleni diedero la preminenza alla sua forza distruttrice a scapito della sua forza creatrice e infine essa fu invocata soltanto nei riti clandestini di magia nera, specialmente nei luoghi dove si incrociano tre strade. La leggenda che Zeus non le negasse l’antica prerogativa di concedere a qualsiasi mortale ciò che desiderasse, va messa in rapporto con gli occulti poteri delle streghe tessaliche, di cui tutti avevano terrore. Le sue tre teste (di leone, di cane e di giumenta) si riferiscono evidentemente alla antica tripartizione dell’anno, cosi come vi si riferiscono le tre teste di Cerbero. Il cane Sirio era la costellazione del Cane.

8) Le Erinni, compagne di Ecate, erano la personificazione dei rimorsi che tormentavano la coscienza di chi aveva infranto un tabù, e dapprima questo si riferì soltanto a insulti, disobbedienze e violenze nei riguardi della madre. I supplici e gli ospiti godevano della protezione di Estia, dea del focolare, e maltrattarli significava disubbidire a codesta dea e insultarla.

9) Leuce, l’isola maggiore del Mar Nero, ma tuttavia molto piccola, ospita ora un penitenziario romeno.

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