Norne
Norne
Sono le dee del destino, incarnazione di un fato superiore e ineluttabile che tutto sovrasta. Nelle Þulur è detto di loro: «Nome si chiamano coloro che determinano la necessità».
Rappresentano il legame tra l’uomo e il cosmo nelle diverse manifestazioni dell’esistenza. Il mito conosce perciò nome buone e nome cattive, dal cui volere imperscrutabile e inappellabile dipende la sorte degli uomini. Questo concetto, espresso chiaramente da Snorri, si ritrova in Saxo. Alle nome alludono diversi passi della poesia eddica e scaldica, nei quali ci si riferisce prevalentemente a norne ostili che stabiliscono un destino di sfortuna e di morte; tuttavia è ricordato anche che le nome accorrono alla culla di un eroe per preparargli una sorte felice. L’iscrizione runica nella chiesa di legno (stavkirke) di Borgund (Sogn, Norvegia, XIII secolo) recita tra l’altro: «le nome fecero il buono e il cattivo, a me hanno recato un grande dolore».
Un passo del Dialogo di Fáfnir precisa che le norne sono di diversa origine: talune appartengono alla stirpe degli Asi, altre a quella degli elfi, e altre ancora a quella dei Vani.
Al loro potere sul destino è dovuta la ragione per cui sull’unghia della norna sono incise le rune.
Le nome appaiono dunque come un gruppo numeroso di divinità dal carattere indistinto (così le dísir e le valchirie con cui esse hanno diversi punti in comune). Snorri tuttavia, come del resto già la Predizione dell’indovina, parla in particolare di tre di loro che hanno dimora presso l’albero cosmico, accanto alla «fonte del destino»: Urðarbrunnr. Esse hanno il compito quotidiano di irrorare i rami dell’albero con acqua e argilla, affinché non secchino né marciscano. Le tre norne che dimorano presso l’albero cosmico (la cui immagine ricorda le parche della tradizione greca e le moire di quella celtica) hanno nome Urðr, Verðandi e Skuld. Urðr è il «destino» stesso. Verðandi, la cui figura pare essere assai più tarda, trae il nome dal verbo verða «divenire» (dalla stessa radice anche Urðr). È dunque «ciò che diviene». Skuld, definita da Snorri «la norna più giovane», significa «debito», «colpa»; rappresenta perciò il compito che a ciascuno è affidato nella vita. Ella compare altrove come valchiria. L’interpretazione di queste figure come immagine del passato, del presente e del futuro non pare molto lontana dal vero. Delle nome è detto anche che si recano presso ogni uomo che nasce per deciderne la sorte. Il passo del Dialogo di Fáfnir secondo cui esse soccorrono le partorienti va forse connesso a questa loro funzione. In esso è tuttavia stabilito anche un legame con le dísir. Il legame con le valchirie si ritrova invece non solo nella figura di Skuld, bensì anche là dove si dice che i lupi, animali che si nutrono di cadaveri (legati perciò alla simbologia della battaglia, momento in cui le valchirie stabiliscono un destino di vita o di morte), sono i «cani delle norne». Il passo nel quale si allude alle nome che compaiono in un sogno pauroso recando un presagio di morte ripete la simbologia della figura femminile mediatrice del destino, e ricorda altresì a esempio la «donna del sogno» (draum-kona f.) infausta che appariva durante la notte al famoso fuorilegge Gísli Súrsson e lo tormentava con angosciose visioni (qui anche il più probabile significato del passo in cui si dice che le norne piangono sui cadaveri). La credenza nelle norne, nata dalla fede fondamentale nel destino, fu certamente assai radicata. In una saga la venerazione per queste figure è indicata fra le consuetudini cui deve rinunciare chi si converta al cristianesimo. Dai sostenitori della nuova religione esse furono senza dubbio relegate fra gli esseri demoniaci e stregoneschi. Nella Breve storia di Norna-Gestr esse sono intese come maghe e indovine (spákonur f.pl.).
Il termine norna (antico nordico norn f., pl. nornir) significa probabilmente «[colei che] bisbiglia [un segreto]».