Valchirie
Valchirie
Sono le dee che stabiliscono il destino degli eroi nella battaglia, situazione estrema in cui è messo alla prova tutto il significato dell’esistenza. In nordico valkyrja f. è «[colei che] sceglie i caduti» (-kyrja su kjósa «scegliere»; valr m. «caduti»). Le valchirie, si suggerisce in un verso, sono le «figlie adottive» (óskmeyjar f.pl.) di Odino, le spose spirituali dell’eroe che dischiudono le porte della Valhalla. Esse possiedono e trasmettono i segreti celesti, sono simbolo dell’epifania del divino; per questo sono dette bianche e luminose, fanciulle del Sud che appaiono talora in aspetto di cigno. Per la loro qualità di divinità guerriere appaiono anche armate di tutto punto; è detto inoltre che spesso compaiono in schiere misurate da numeri simbolici. La loro qualità divina risalta inoltre nel fatto che esse sanno cavalcare nell’aria e sull’acqua.
Talune valchirie sono ricordate quali protettrici particolari di un eroe, come a esempio Sigrún «runa della vittoria», la valchiria che protegge l’eroe Helgi: in lei era reincarnata Sváva (o Sváfa), probabilmente «[colei che] addormenta» (cioè «uccide»). Di lei e dell’eroe amato è detto che nacquero una terza volta ed ella ebbe nome Kára «[tempestosa come] il vento» (o «riccioluta»?).
Nel mito del fabbro Völundr e dei suoi fratelli è ricordato che essi furono sposi di tre valchirie. Esse erano Hlaðguðr «valchiria (lett. «battaglia») [col capo cinto da] un nastro», detta Svanhvít «bianca [come un] cigno»; Hervör «protettrice dell’esercito» detta Alvitr «assai sapiente»; Ölrún «runa della birra». Esse rimasero con i loro sposi sette inverni, ma nell’ottavo soffrirono di nostalgia e nel nono volarono via per non tornare: in questo racconto è presente un tema consueto al motivo della sposa celeste. Una valchiria che trasmette all’eroe la sapienza divina è senza dubbio anche Brunilde (Brynhildr o Brynhilldr) «valchiria (lett. «battaglia») con la corazza», la quale, con l’appellativo di Sigrdrífa (o Sigrdrif) «[colei che] spinge alla vittoria», dona a Sigurðr la coppa colma dell’idromele della sapienza, con cui gli trasmette le rune che simboleggiano il possesso del segreto della vita. Brunilde è colei che Sigurðr ha liberato dall’incantesimo che la teneva addormentata in un bastione di scudi: a ciò ella era costretta dal volere di Odino per avere largito la vittoria a un guerriero anziché a un altro.
Alle valchirie come dispensatrici della bevanda sacra per gli eroi fa riferimento anche Snorri, che nella descrizione della Valhalla ricorda questa loro funzione e citando il Dialogo di Grímnir riporta taluni dei loro nomi. Esse sono Hrist, forse «[colei che] scuote [lo scudo]» o «[colei che] fa tremare»; Mist, forse la «nebbiosa»; Skeggjöld (o Skeggöld) «tempo delle asce» (cioè «battaglia»); Skögul e Hildr (o Hildi o Hilldr) «battaglia». Hildr è forse la stessa valchiria, detta figlia di Högni e sposa di Heðinn, che compare nel mito dell’eterna battaglia, dove è detto che durante la notte resuscitava con la magia tutti i caduti. Inoltre sono ricordate Þrúðr (o Þruði) «forza», «donna»; Hlökk e Göll (o Gjöll), entrambe «fragore [della battaglia]»; Herfjötur «incatenatrice dell’esercito»: questo nome fa riferimento alla capacità magica di paralizzare i guerrieri impedendo la fuga; Geirahöð «battaglia delle lance»; Randgriðr (o Randgrid) «gigantessa dello scudo» o «[colei che] distrugge lo scudo»; Ráðgríðr «di violento consiglio»; Reginleif «figlia (lett. «eredità») degli dèi». Fra le valchirie Snorri ricorda anche Guðr (o Gunnr) «battaglia», Róta «[colei che] provoca la mischia» (cfr. Geir-Róta «Róta della lancia») e Skuld (o Skulld) «debito», «colpa», da lui definita la più giovane delle norne.
La stragrande maggioranza dei nomi delle valchirie allude al loro rapporto (che talora è una vera e propria identità) con la battaglia e alla simbologia connessa. Così Geiravör «dea delle lance»; Geirdriful «[colei che] scaglia la lancia»; Geirfljóð e Geirvíf «donna della lancia»; Geirhríð «tempesta di lance»; Geirskögul «battaglia delle lance»; GeirÞriful«[colei che] afferra la lancia»; GeirÞrúðr «donna (o «forza») della lancia»; Geirölul (o Geirrömul o Geirönul) «[colei che] avanza [armata di] lancia»; Herja «guerriera»; HerÞögn «[colei che] accoglie l’esercito»; HjalmÞrimul «[colei che ha l’elmo risonante» o «[che fa] risonare gli elmi» (cioè provoca la battaglia); HjörÞrimul «[colei che ha la] spada risonante» o «[colei che fa] risonare le spade»; Hrund «[colei che] colpisce»; Sigrlöð «[colei che] invita alla vittoria»; Skalmöld «tempo di spade» (cioè battaglia); Sveið forse «fragore [della battaglia]»; ValÞögn «[colei che] accoglie i prescelti»; Þrima «battaglia». La valchiria è perciò dea del destino, tuttavia solo per il guerriero e per l’eroe, per questo si manifesta come incarnazione della battaglia. Ella tesse la trama della vita, d’una vita però sempre messa a confronto con quella morte attraverso la quale è conquistata l’immortalità della conoscenza. Questa immagine è resa efficacemente nel Canto di Dörruðr, dove le valchirie sono figurate come tessitrici che tessono la grigia tela della battaglia grondante di sangue. Nel Dialogo per Hákon è detto di loro che decidono l’andamento degli scontri; nel Dialogo del corvo la valchiria interroga il corvo sulle imprese di un eroe giunto nella Valhalla. In realtà, tranne quando sono legate a un mito particolare, le valchirie appaiono prive di una distinta individualità; così mostrano i nomi che sono sinonimi di «battaglia» e anche Nipt «sorella», designazione di una di loro che compare nelle Þulur (dove potrebbe apparire anche come una dea). Anche gli altri nomi di valchirie ricordati nelle fonti alludono, più che a singole figure, a caratteristiche li questo gruppo di divinità. Tali sono Göndul «maga»; Leikn «stregata» o «[compagna di] giochi»; Sangriðr (o Sanngríðr) «molto crudele» e Tanngnidr «che digrigna i denti». Questi nomi mostrano una corruzione dell’immagine delle valchirie, che vengono confondendosi con figure considerate demoniache come le gigantesse e le streghe. Tra le valchirie sono infine ricordate Ilmr, che altrove appare come dea, Svipul «mutevole» (come il destino) e Þögn «taciturna».