Sigurðr e i Nibelunghi (prima parte)

Sigurðr e i Nibelunghi

Sigurðr «custode della vittoria» è l’eroe nordico per eccellenza, noto alla tradizione continentale come Sigfrido. La sua vicenda, esemplare del destino di un eroe, propone la figura di un principe della luce, nemico eccellente delle forze dell’oscurità e del caos. Per questo la sua morte prematura provocata dai Nibelunghi, da intendere, verosimilmente, come «esseri della nebbia», va considerata come una morte sacrificale che esalta la sua qualità luminosa e lo rende simile agli dèi.

Odin_in_der_Halle_Wolsungs_by_Emil_DoeplerC’era un uomo che si chiamava Sigi ed era figlio di Odino. Egli aveva compiuto un misfatto uccidendo uno schiavo per invidia: per questo venne dichiarato un infame e cacciato. Odino allora lo accompagnò fuori dal Paese e non lo lasciò finché non gli ebbe procurato una nave da guerra. Egli divenne un guerriero vittorioso e un re potente; tuttavia fu infine ucciso dai nemici. Il figlio di Sigi si chiamava Rerir. Egli non era col padre quando questi venne ucciso, perciò ne ereditò i possedimenti e il titolo di re e lo vendicò, dando la morte ai suoi assassini. Così divenne ancor più eminente di suo padre. Rerir prese in sposa una fanciulla, essi però non avevano figli. Allora si rivolsero agli dèi con preghiere per avere un erede. È narrato che Frigg ascoltò le loro suppliche e disse a Odino il motivo per cui essi pregavano. Subito Odino chiamò una delle sue valchirie, figlia del gigante Hrimnir, le consegnò una mela e le disse che avrebbe dovuto darla al re. Ella prese l’aspetto di una cornacchia e volò là dove il re si trovava. Egli stava seduto su un tumulo e la valchiria gli lasciò cadere la mela in grembo. Il re si alzò e tornò dalla regina ed ella mangiò un po’ di quella mela. Avvenne allora che la regina rimase incinta. Ella tuttavia rimase gravida a lungo e non poteva partorire il bambino. Durante questo periodo Rerir morì nel corso di una spedizione. Trascorsero sei inverni, e la regina non poteva partorire. Allora capì che non avrebbe potuto vivere più a lungo e si fece estrarre il figlio dall’utero. Così fu fatto secondo il suo volere. Questo figlio era un maschio e si dice che quando nacque baciò sua madre prima che ella morisse. Egli ebbe poi un nome e fu chiamato Völsungr. Quando fu cresciuto, il gigante Hrimnir mandò da lui sua figlia, di cui prima si è detto, ed egli la prese in moglie. Essi furono felici ed ebbero dieci figli e una figlia. Il maggiore dei maschi si chiamava Sigmundr, la figlia Signy. Erano gemelli e in ogni cosa erano i migliori tra i figli di re Völsungr. È detto che re Völsungr fece costruire una splendida casa e che nell’atrio vi era un grande melo: i rami che portavano bei fiori si protendevano sul tetto, ma il tronco era dentro la casa. Questo albero era detto «tronco dei bambini».

C’era un re di nome Siggeir, egli chiese in moglie Signy; la cosa parve buona al re e ai suoi figli, ella invece non era ben disposta verso di lui. Ciò nonostante gli fu promessa ed ebbe luogo la cerimonia delle nozze. E la sera in cui si celebrò il matrimonio, avvenne che mentre la gente stava accanto al fuoco arrivò uno sconosciuto coperto da un mantello chiazzato, a piedi nudi e con calzoni di lino. Costui teneva in mano una spada e avanzò fino al «tronco dei bambini». Sul capo aveva un cappello, era piuttosto alto, vecchio e con un occhio solo. Egli conficcò la spada nel tronco, sicché essa penetrò fino all’impugnatura. Poi disse: «Colui che sarà capace di estrarre questa spada dal tronco l’avrà in dono da me ed egli stesso affermerà di non aver mai avuto tra le mani una spada migliore di questa». Poi uscì dalla corte e nessuno seppe chi fosse o dove andasse.

Ora tutti volevano prendere quella spada: molti provarono, ma solo Sigmundr seppe estrarla. Era una spada di cui non se n’era vista una migliore, perciò Siggeir offrì il triplo del suo peso in oro per averla. Ma Sigmundr rifiutò, poiché – disse – avrebbe potuto prenderla se avesse voluto. Siggeir ne fu molto dispiaciuto, ma essendo un ipocrita fece come se nulla fosse. La sera stessa però meditò fra sé come rifarsi, come in seguito si vide. Andò dunque a letto con la sua sposa.

Il giorno dopo, poiché il tempo era favorevole, egli chiese il permesso di tornare a casa con la moglie; tuttavia invitò Völsungr e i suoi alla sua corte in capo a tre mesi. Signy disse a suo padre che non voleva partire con il marito, poiché non le veniva da lui alcuna gioia e inoltre presagiva che da quel matrimonio sarebbe derivata a lei e a tutta la famiglia una grande sventura. Il padre ribatté che ciò sarebbe stato una grande vergogna, perciò ella dovette partire col marito.

Or dunque, al tempo stabilito, re Völsungr e i suoi figli si recarono da Siggeir. Venne loro incontro Signy e parlò in confidenza e disse che re Siggeir aveva raccolto un grande esercito e voleva tradirli. Perciò li pregava di tornare indietro immediatamente. Tuttavia Völsungr rispose che non sarebbe stato opportuno ritirarsi, quanto piuttosto opporsi nel modo migliore. Signy si mise a piangere e disse che doveva tornare dal marito: era giusto così – rispose Völsungr – ed ella avrebbe dovuto rimanere con lui qualsiasi cosa fosse loro accaduta.

Il mattino seguente Völsungr e i suoi figli si prepararono a combattere, si armarono di tutto punto e scesero a terra. Non dovettero attendere molto, prima che Siggeir giungesse con il suo esercito. Ci fu un’aspra battaglia e alla fine re Völsungr dovette soccombere alle forze preponderanti dell’avversario. Così Signy venne a sapere che suo padre era stato ucciso e i suoi fratelli fatti prigionieri e condannati a morte. Su consiglio di lei essi non furono uccisi immediatamente, ma incatenati nella foresta. Là rimasero tutto il giorno fino al calar della notte. Verso mezzanotte venne una vecchia lupa e morse uno di loro sino a farlo morire. Poi se ne andò. Il giorno dopo Signy mandò un uomo di sua fiducia dai fratelli per vedere come stavano le cose. Quando egli tornò disse che uno di loro era morto. A lei parve una cosa grave che essi dovessero tutti finire così, ma non poteva farci nulla. Quel che avvenne è presto detto: per nove notti di seguito venne la medesima lupa e li divorò uno dopo l’altro, finché tutti furono morti, eccetto Sigmundr. Prima che giungesse la decima notte Signy mandò da Sigmundr il suo uomo di fiducia: su sua istruzione egli lo spalmò di miele sul viso e gli mise anche del miele in bocca. Così quando la lupa arrivò, leccò il volto di Sigmundr, poi gli introdusse la lingua in bocca. Egli le morse la lingua con tutte le forze. Allora la lupa puntò le zampe contro il ceppo ed esso andò in pezzi; Sigmundr però le strappò la lingua alla radice ed essa morì. È detto che quella lupa era la madre del re Siggeir che aveva assunto tale aspetto per mezzo di magia.

Quando Signy venne a sapere che suo fratello era libero andò nella foresta a incontrarlo. Egli si costruì un rifugio sotterraneo nella foresta ed ella gli diede ciò di cui aveva bisogno. Siggeir tuttavia credeva che tutti i Völsungar fossero morti.

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