Sigurðr e i Nibelunghi (quinta e ultima parte)

Sigurðr e i Nibelunghi (quinta parte)

Goðrún si risvegliò e fu colta da un tremendo dolore per la morte dell’eroe; allora prese a piangere e a lamentarsi forte. Invano uomini e donne cercavano di consolarla. Brunilde si rallegrò della sua angoscia. Poi però cominciò a piangere e a recriminare e disse che voleva morire. Quando vide il cadavere dell’eroe vomitò veleno. Nessuno riusciva a comprendere perché ridendo avesse ordinato quello su cui ora piangeva amaramente.

23 gennaioBrunilde prese a distribuire le proprie ricchezze a tutti coloro che ne volevano; poi parlò a Gunnarr e gli profetizzò come sarebbero andate le cose, dandogli infine disposizioni per il proprio funerale. Aveva deciso di morire e nessuno fu capace di dissuaderla. Voleva che un unico rogo bruciasse per Sigurðr, per lei e per quelli come Gothormr e Sigmundr – il figlioletto di Sigurðr e di Goðrún – che erano morti con lui. Attorno alla pira voleva arazzi e scudi, su di essa con loro gli schiavi, due alla testa dell’eroe, due ai piedi. E ancora voleva che vi fossero posti due falchi e la spada Gramr, sguainata, come una volta, fra loro. Poi Brunilde, fatti uccidere otto schiavi e cinque ancelle, indossò la corazza, si trapassò con la spada e morì.

In seguito a questo fatto Goðrún fu sconvolta dal dolore. Ricordava Sigurðr, ciò che era stato per lei e come i suoi fratelli lo avessero ucciso. Di lei è detto che aveva mangiato un po’ del cuore di Fáfnir e che comprendeva il linguaggio degli uccelli. Ella se ne andò nella foresta e d’ogni parte sentiva attorno a sé solo l’ululare dei lupi e pensava che per lei sarebbe stato meglio morire. Girovagò finché giunse in Danimarca dalla regina þóra e rimase con lei per un periodo di sette volte sei mesi. Per lei la regina ricamava, disegnandole, le antiche storie e questo le procurava un po’ di consolazione nel suo dolore.

Crimilde venne a sapere dove si trovava. Allora i suoi congiunti andarono da lei e volevano offrirle doni preziosi e buone parole. Ella però non volle ascoltarli. Crimilde le diede da bere la coppa dell’oblio nella quale erano mescolate molte sostanze. Era una bevanda gelida e di sapore disgustoso, un miscuglio potente che le fece dimenticare le offese. C’era la forza della terra, acqua di mare ghiacciata, sangue di verro sacrificale, serpe e una spiga. C’erano erbe (o radici) dei boschi, ghiande tostate, fuliggine, interiora d’animali sacrificali, fegato di porco cotto. Sulla coppa erano incise rune di ogni tipo, tinte di rosso, difficili da comprendere.

Dopo di ciò a Goðrún fu offerto di andare in sposa a re Attila, fratello di Brunilde, ma ella non lo voleva. Infine dovette accennarlo perché, come disse Crimilde, così era stabilito nel destino. Attila e Goðrún ebbero dei figli.

Avvenne in seguito che Attila fece un sogno nel quale gli erano prefigurate le sciagure che si sarebbero abbattute su di lui. Allora lo raccontò a Goðrún, ma la donna volle fingere che diverso fosse il significato. Re Attila voleva impadronirsi del tesoro dei Nibelunghi, quell’oro di cui essi disponevano dopo aver assassinato Siguròr. Per questo invitò Gunnarr e Högni e i loro uomini presso di sé, pensando di tradirli. Goðrún tuttavia aveva sentito i suoi discorsi, mentre egli si accordava con i suoi uomini, e comprese che si ordiva un inganno contro i suoi fratelli. Allora incise delle rune, poi prese un anello d’oro, vi legò un pelo di lupo e lo diede ai messaggeri, che lo consegnassero ai suoi fratelli. Fra costoro c’era un tale di nome Vingnir; egli vide le rune e le alterò, poiché in esse sembrasse che Goðrún li invitava a venire.

Quando i Nibelunghi ricevettero l’invito recato da Vingnir, si consultarono per decidere se fosse opportuno accettarlo: temevano che ci fosse un inganno e il pelo di lupo che Goðrún aveva legato all’anello generava in loro il sospetto che Attila celasse un animo ostile nei loro confronti. Vingnir mostrò loro le rune che Goðrún aveva mandato e tentò di convincerli a recarsi da Attila. La sera, quando gli uomini furono andati a dormire, Kostbera, moglie di Högni, esaminò le rune e capì che erano state falsificate. Poi andò a letto. Quando si svegliarono disse al marito ciò che aveva scoperto e che in quel viaggio era in gioco la loro vita, e anche che aveva avuto sogni premonitori di gravi sciagure. Anche Glaumvör, moglie di Gunnarr, aveva avuto sogni premonitori e cercò di dissuadere il marito dall’intraprendere quel viaggio. Högni e Gunnarr tuttavia decisero di partire, perché – dissero – sarebbe stato inutile opporsi al volere del fato.

Partirono dunque i Nibelunghi e, quando giunsero alla corte di Attila, Vingnir rivelò loro di averli ingannati; allora essi lo uccisero.

Poi entrarono nella reggia. Re Attila preparò i suoi uomini per combattere. Disse ai Nibelunghi che voleva ucciderli e prendersi il loro oro, in compenso del fatto che essi avevano assassinato Sigurðr. Cominciò così un’aspra battaglia e quando Goðrún ebbe queste notizie venne da loro e baciò i fratelli, poi prese le armi e combatté al loro fianco. La battaglia proseguì a lungo, dura e con gravi perdite; gli uomini di Attila attaccarono Högni e poiché le loro forze erano preponderanti riuscirono a catturarlo. Attila allora diede ordine che gli fosse strappato il cuore e che tale fosse la sua morte. Come lui fu ucciso un cuoco di nome Hjalli: è detto che il cuore di Högni rimase saldo anche dopo il supplizio, mentre quello del vile Hjalli continuò a tremare.

Anche Gunnarr venne catturato. Rivelò ad Attila che il tesoro dei Nibelunghi era stato da loro nascosto sotto il Reno prima di partire; perciò egli non ne avrebbe tratto alcun vantaggio. Attila fece gettare Gunnarr in una fossa di serpenti. Goðrún gli procurò di nascosto un’arpa, egli però aveva le mani legate, così la suonò con gli alluci: tutti i serpenti si addormentarono, tranne una vipera che strisciò fino a lui, gli maciullò la cartilagine dello sterno, entrò con la testa nell’incavo e si avvinghiò al fegato sino a farlo morire.

Attila voleva ora compensare Goðrún per l’uccisione dei suoi fratelli, ma ella disse che non avrebbe mai potuto darle soddisfazione. Poi chiese di fare un banchetto funerario in onore di Gunnarr e di Högni, come pure dei congiunti di Attila. Così dunque fu fatto. Goðrún pensava al proprio dolore e voleva recare grave oltraggio al marito. Quella sera prese i suoi due figli, che aveva avuto da Attila, mentre stavano giocando. I fanciulli spaventati le domandarono che cosa sarebbe loro accaduto. Ella rispose: «Non domandate. Io vi ucciderò entrambi». Essi dissero: «Tu hai potere sui tuoi figli come vuoi/Nessuno te lo negherà. Tuttavia è un’infamia far questo». Poi ella li uccise e con i loro crani fece fare delle coppe lavorate con oro e argento. Inoltre prese i loro cuori, li cucinò e li diede da mangiare ad Attila. Il re domandò dove fossero i suoi figli. Allora Goðrún gli rivolse parole ingiuriose e gli rivelò quel che aveva fatto: gli aveva dato da bere il loro sangue mescolato a vino e i loro cuori arrostiti, asserendo che erano di vitello. Attila le rispose che era una donna malvagia ed essi si scambiarono le parole più ostili.

Högni aveva un figlio di nome Hniflungr che nutriva un odio feroce per Attila e voleva vendicare il padre. La sera, quando Attila fu andato a dormire, Hniflungr e Goðrún si avvicinarono e lo trafissero con la spada. Attila si risvegliò, domandò chi lo avesse colpito a morte e ancora scambiò con Goðrún parole d’odio prima di morire. Ella tuttavia gli promise un degno funerale.

Goðrún fece appiccare il fuoco alla reggia, e tutti gli uomini che si trovavano là morirono.

In seguito Goðrún si recò alla spiaggia e cercò di uccidersi gettandosi tra i flutti. Invece fu trascinata verso un fiordo e giunse alle terre del re Jónakr, un re potente che aveva molti sudditi. Jónakr prese Goðrún come sua sposa ed essi ebbero tre figli, Hamðir, Sörli ed Erpr; costoro erano scuri di capelli come corvi a somiglianza dei Nibelunghi. Là fu allevata anche Svanhildr, figlia di Sigurðr e di Goðrún: era la più bella fra tutte le fanciulle e aveva lo sguardo acuto come suo padre.

C’era un re che si chiamava Ermanarico. Era un re potente e aveva un figlio di nome Randvér. Egli inviò questo suo figlio a chiedere Svanhildr in sposa per lui. Randvér partì con Bikki, consigliere del re, e la fanciulla fu loro concessa e affidata. Allora Bikki osservò che sarebbe stato più opportuno che Svanhildr sposasse Randvér, poiché egli era giovane come lei, mentre Ermanarico era un vecchio. Questo piacque ai due ed essi si scambiarono parole gentili. Ma quando giunsero da Ermanarico, Bikki gli disse che suo figlio lo aveva tradito, che era l’amante di Svanhildr e che questa cosa non doveva rimanere impunita.

Allora il re fece catturare il figlio e lo fece condurre alla forca. Randvér prese un falco, lo spennò e disse che dovevano portarlo a suo padre. Quando il re lo vide capì che come il falco era incapace di volare perché senza piume, così il suo regno era senza eredi perché egli era vecchio e non aveva figli maschi. Allora ordinò che Randvér fosse liberato, ma Bikki aveva già eseguito la condanna. Poi Bikki consigliò che Svanhildr dovesse morire con disonore. Perciò stabilirono che fosse calpestata a morte dai cavalli. È detto che quando ciò avvenne gli animali arretrarono davanti alla potenza dello sguardo della fanciulla. Allora Bikki le fece coprire la testa e così ella morì.

Quando Goðrún venne a sapere che Svanhildr era stata uccisa, incitò i suoi figli a vendicarla. Diede loro elmi e corazze così forti che nessun’arma poteva fenderli. Poi essi partirono ed ella prese a lamentarsi di tutti i suoi dolori, ricordando i lutti e le sventure che l’avevano colpita.

Intanto i suoi figli erano in cammino verso la dimora di Ermanarico. Goðrún aveva consigliato loro di agire così: Sörli e Hamðir avrebbero dovuto tagliargli le mani e i piedi, Erpr la testa. Mentre erano per via, Sörli e Hamðir domandarono a Erpr, loro fratellastro, quale aiuto avrebbe potuto dar loro in quell’impresa. Egli rispose che li avrebbe aiutati come un piede aiuta l’altro o una mano l’altra. Ma essi pensarono che non valesse nulla, perciò lo uccisero. Poco dopo Sörli, mentre camminava, scivolò su un piede e si appoggiò sull’altro. Allora capirono che sarebbe stato meglio che il fratello fosse vivo.

Poi giunsero da re Ermanarico: era notte ed egli dormiva. Essi lo assalirono, gli tagliarono le mani e i piedi, ma egli si destò e chiamò i suoi. Hamðir esclamò: «Gli sarebbe stata tagliata la testa, se Erpr fosse vivo!» Poi gli uomini di Ermanarico li attaccarono, ma non potevano sopraffarli con le armi. Allora venne un vecchio con un occhio solo e consigliò che fossero lapidati. Così fu fatto ed essi trovarono la morte.

A Sigurðr sopravvisse la figlia che si chiamava Áslaug, allevata presso Heimir: da lei sono discese grandi stirpi.

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