Re

Re

Due figure di significato assai differente e per molti versi contrastante rispondono nel Nord al medesimo nome di re (konungr m.). In esse si incarnano due modelli di vita divisi da un’insanabile contrapposizione: quello della Sippe e quello del comitatus.

Secondo l’antica tradizione dei Germani, il re era una figura sacra, direttamente partecipe della natura divina e incarnante la fortuna della stirpe. Il suo compito coincideva con quello del sacerdote, al quale si chiedeva di mantenere attraverso la sua persona un contatto con le potenze celesti per garantire la prosperità e la vittoria. Al re era chiesto di concentrare le energie vegetative e vivificanti e di rifletterle sul popolo. Modello ideale di questo sovrano fu tra gli Svedesi il dio Freyr, del quale si dice che durante il suo regno vi fu tale prosperità e pace che quando egli cessò di vivere la sua morte venne tenuta nascosta al popolo perché quello stato di benessere potesse perdurare. Di Freyr, come degli altri sovrani svedesi, è ricordato che usava compiere una processione rituale tra il popolo allo scopo di dispensare prosperità e pace.

Il carattere sacrale del sovrano appare forse anche in talune iscrizioni runiche.

Hálfdan (il Nero) e suo figlio Harald (Bellachioma) Illustrazione di Peter Nicolai Arbo

Hálfdan (il Nero) e suo figlio Harald (Bellachioma) Illustrazione di Peter Nicolai Arbo

Al re era richiesto di invocare su di sé i benefici del cielo mediante il sacrificio e di diffonderli fra i sudditi. La tradizione ricorda re divinizzati cui si innalzavano sacrifici: così Óláfr detto Geirstaðaálfr e Hölgi. Del re Hálfdan Nero è ricordato che quando morì il suo corpo venne sezionato in quattro parti e sepolto in quattro diverse province poiché gli abitanti di ciascuna di esse lo reclamavano per aver garantite la prosperità e la pace.

La stessa concezione evemeristica di Snorri, secondo il quale gli dèi erano degli antichi sovrani divinizzati dai sudditi dopo la morte, trova qui una giustificazione. Gli antichi re, sacerdoti sacrificatori” che avevano garantito al popolo prosperità e vittoria, vengono sentiti non più come il tramite del potere divino, ma come la fonte stessa da cui esso emana.

Ma la tradizione ricorda altresì taluni re i quali, non avendo saputo garantire il benessere dei sudditi, furono da essi sacrificati: così Dómaldi, del cui sangue vennero aspersi gli altari; così anche Óláfr Diboscatore, bruciato vivo in casa, immolato a Odino per ottenere la fecondità.

Anche la morte di altri sovrani della medesima stirpe svedese degli Ynglingar discendenti degli dèi ricorda probabilmente riti sacrificali. Queste figure sono dunque i re del popolo, della terra, del buon raccolto, della vittoria e della prosperità. Nella loro persona sono rappresentati e concentrati gli ideali di vita della Sippe.

In epoca vichinga, un’altra figura di re venne distinguendosi nel mondo nordico e si contrappose a quella dell’antico sovrano. Le fonti alludono infatti con frequenza sempre crescente ai cosiddetti «re del mare», sœkonungar (sing. sœkonungr m.), a coloro cioè che, abbandonata la terra e con essa le tradizioni della stirpe che volevano tutti soggetti a un medesimo destino, si imbarcavano alla volta di terre lontane in cerca di avventura. I «re del mare» (definizione che, nell’opposizione mare-terra, esprime il loro contrasto rispetto alla figura tradizionale del sovrano) erano individui attivi al servizio di se stessi e del proprio ideale e non soggetti che subivano quasi passivamente la condizione di intermediari fra la terra e il cielo. Per scelta essi rinunciavano ai benefici di una vita comunitaria, nella quale a tutti era garantito un sostegno, ma che esigeva al contempo la rinuncia a ogni velleità individualistica. Affrontando una vita dura, legata a regole di severa disciplina, essi cercavano insieme ai propri compagni un’autoaffermazione e al contempo il conseguimento di un ideale di vita che voleva ciascuno arbitro del proprio destino. Il dio da costoro prediletto dovette essere Odino, nel quale si incarnava la figura di un individuo intraprendente, abile e spregiudicato, capo carismatico dei suoi guerrieri.

È significativo che soprattutto fra costoro siano ricordati i cosiddetti goðlausir menn «uomini senza dio», coloro cioè che, rigettato un antico credo, riponevano una totale fiducia solo in se medesimi e nella propria forza magica.

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