Recensione al nostro «I Fondamenti del XIX secolo»
Ed ecco uscire sul quotidiano Il Garantista – che ha come direttore il comunistissimo Piero Sansonetti – una recensione al nostro volume primo de I Fondamenti del XIX secolo di Houston Stewart Chamberlain.
Potrebbe sembrare incoerenza aver lanciato meno di un mese fa, noi di Thule, la campagna di solidarietà dopo l’incendio doloso provocato alla Ritter, dovuto con molta probabilità ad altri comunistissimi, e poi rallegrarci di tale apparizione.
Se non fosse che l’incoerenza sta in quanti desiderano impartire ad altri lezioni di civiltà per poi abbandonare un’aula consiliare all’inizio della discussione dell’odg proprio inerente al suddetto rogo.
E poco importa che l’Antonello Cresti, estensore dell’articolo, parli di «nazistissimi roghi», quando avrebbe potuto anche dire cattolicissimi, cinesissimi o cubanissimi roghi o ancora, sebbene non roghi veri e propri, di autodafé staliniani. O al massimo avrebbe dovuto usare il singolare, visto che l’azione del Bücherverbrennung durò un solo giorno.
Ed è pressoché ininfluente che proprio l’Antonello Cresti identifichi il nostro pubblico in maniera classista, identificandolo con «pretese ben poco accademiche»; e avrà forse uno schedario dei nostri lettori a mo’ di K.G.B., conoscendo le loro pretese? E, se anche così fosse, non andrebbe tale asserzione a favore dei nostri affezionati, che, nonostante la cecità dei cosiddetti accademici – affetti da presenzialismo in trasmissioni storiche con funzione hse nao–, vogliono leggere i testi senza censura di sorta?
Ciò che è invece rilevante è sia l’apertura, per nulla dovuta, dell’articolo dell’Antonello Cresti, sia la comprensione dell’ipocrisia che impregna la nostra intellighenzia.
E permetteteci di dire che, se oggi siamo ignorati dal Corriere della Sera o dal Giornale o dal Domenicale del Sole 24 Ore, o su qualche altra testata in cui un qualche pidiellino, ex-Fuan, ex-MSI, ex-AN, ex… ha trovato la sua poltrona (o il proprio personale fascistissimo “posto al sole”), un motivo ci sarà.
Non sarà forse la stessa paura delle idee che ha mosso la mano il 28 aprile in via Maiocchi a Milano?
Non ne resteremmo sorpresi, non riconoscendo proprio quel termine “area” attraverso la quale – per osmosi – troppi entrano ed escono a loro piacere e vantaggio.
Riconosciamo invece il termine Storia, quella che prima o poi destina al vero oblio i vagabondi delle idee.
Marco Linguardo
«Abitiamo in un Paese in cui si ritiene via percorribile, forse anche logica, quella del silenziamento attraverso la violenza delle idee opposte alle proprie: è accaduto la notte del 28 aprile scorso alla Libreria Ritter di Milano, vittima di un rogo doloso poiché “colpevole” di diffondere libri legati alle ideologie di destra. Di fronte a un cortocircuito della ragione talmente evidente, proporre i nazistissimi roghi di libri per combattere i propri avversari politici, è evidente che altre forme di nonsenso passino del tutto inosservate, tuttavia occorre far notare che non meno assurda è la politica editoriale italiana che neanche censura completamente titoli ritenuti “scomodi”, ma, in maniera schizofrenica, si limita a non pubblicare certi libri, citandoli però continuamente negli studi ufficiali, e dunque trattandoli con lo status di documenti ufficiali. Ecco, come dovrebbe porsi qualsiasi studente, studioso, semplice appassionato di fronte ad una simile ipocrisia, capace così solamente di decretare una pericolosa forma di magnetismo di minoranza per le opere “maledette”? Ovvio rispondersi che in certi ambiti non è dato optare solo per ciò che è giusto e condivisibile, ma che occorre occuparsi scientificamente anche di ciò che può apparire controverso, pericoloso, e che dunque il mercato editoriale dovrebbe rispondere alle più ampie esigenze di documentazione. Così non è, e va a finire che testi essenziali, colonne delle ideologie novecentesche, finiscano per essere pubblicati da case editrici “di area”, dunque rivolte ad un pubblico dalle pretese ben poco accademiche, favorendo fenomeni di attrazione ben poco confortanti… E’ dunque accaduto recentemente alla casa editrice romana Thule Italia, una piccola realtà dedita alla ripubblicazione di testi legati alla realtà sociale e culturale del Terzo Reich, di editare almeno due testi essenziali, tra i più citati in senso assoluto dalla storiografia mondiale, ossia “Il mito del XX secolo” di Alfred Rosenberg, numeri alla mano uno dei testi filosofici più diffusi del secolo passato, e adesso “I fondamenti del XIX secolo” di Houston Stewart Chamberlain. Al di là dell’innegabile valore documentario di tali lavori, adesso che sullo scenario europeo si riaffacciano spettri di particolarismi e xenofobie, approcciare due capisaldi dell’ideologia razzialista può essere opera anche di immediata utilità. Per uno studioso come Chamberlain infatti la chiave di volta della storia è proprio l’idea di “razza”, ed il suo lavoro, pubblicato nel 1899, sulla scia degli studi di de Gobineau, si rivelerà in questo senso di enorme influenza, in primo luogo per il futuro movimento nazionalsocialista, con Hitler che mai negherà la sua venerazione per il filosofo britannico naturalizzato tedesco, presenziando anche al suo funerale, nel 1927. Tanto favore a ben vedere, addentrandosi nel testo, suona oggi piuttosto curioso per una serie di motivi: innanzitutto Chamberlain premette di muoversi solamente come studioso e appassionato, senza rivendicare alcuna scientificità alle sue teorie, in secondo luogo il suo razzismo e – ancor più – il suo antisemitismo paiono addirittura sfumati se confrontati con la scioccante virulenza di certi libelli della immediatamente successiva ideologia völkisch tedesca, oppure anche con certi prodotti dello scientismo positivista (compreso il nostro Lombroso). Per Chamberlain si trattò dunque di una sorta di primogenitura riconosciuta, favorita anche dalla adesione dell’autore al movimento nazista, avvenuta a partire dal 1923, ma forse può essere oggi interessante cercare di collocare questo “I fondamenti del XIX secolo” nel solco di una lunga e ramificata “tradizione eccentrica britannica”, e il pensiero in esso dispiegato può essere derubricato ad una forma di moderna eresia, come suggerirebbe l’idea centrale, ossia quella di considerare il Cristo non come ebreo, ma come ariano nordico… Per quanto possa apparire impensabile, infatti, l’Inghilterra tra diciannovesimo e ventesimo secolo era stata solcata da simili intuizioni pseudoscientifiche, come dimostrano ad esempio i casi di Francis Galton, cugino del più celebre Charles Darwin, autore di testi narrativi in cui si affaccia l’idea eugenetica, oppure ancora Comyns Beaumont, un giornalista capace nelle sue opere di tracciare ex novo la storia mondiale per affidare alla madrepatria un ruolo di guida mondiale. Il pedigree di Chamberlain, mente tanto enciclopedica quanto caotica, non è molto dissimile da questi casi e, anzi, si pone in relazione dialettica con fenomeni culturali riconosciuti, come il darwinismo sociale. Scorrendo la biografia dell’autore infatti emerge il quadro di un uomo preda delle proprie passioni culturali, come ad esempio quella per Wagner, alimentata in ogni modo, dal matrimonio con la figlia del compositore, Eva, al trasferimento a Bayreuth, palcoscenico del noto festival musicale (Thule ha peraltro editato anche gli studi di Chamberlain sul musicista, pubblicati nel 2014 col titolo “Richard Wagner”). Rileggere oggi questo famigerato testo sotto questa ottica, senza per questo essere animati da volontà di ridimensionamento, che sarebbe peraltro contraddetta dalla storia, può forse anche servire per disinnescare il fascino proibito esercitato da certe letture e idee. E per questo la conoscenza, la diffusione, sono strumenti ben più efficaci dei roghi e delle censure».
ANTONELLO CRESTI