I Guardiani della Storia
da EreticaMente
Può apparire anomalo che un editore recensisca un proprio libro, e sicuramente lo sarebbe in tempi di reale libertà d’informazione. Ma non sono questi i tempi. Rari, infatti, appaiono i casi in cui un volume, che appaia per i tipi di una casa editrice non allineata, attirino l’attenzione di un qualche critico, e rarissimi quando quest’ultimo sappia di che cosa parla. Senza tralasciare il fatto che si assurge all’onore delle cronache letterarie qualora la recensione serva ad agitare delle acque in passato fin troppo torbide o se si è in possesso di un curriculum che è stato oggetto di attenzioni (in gergo si dice “attenzionato”), o se il “Re-censore” deve farsi perdonare un sua più o meno recente abdicazione per degradarsi a vassallo al servigio altrui. Ma nulla toglie che i tre casi si possano presentare insieme.
Ci pare invece d’obbligo – per lo scopo che l’editrice Thule Italia si è prefissata – mostrare il nostro ultimo lavoro al più ampio pubblico possibile. Si tratta di Oro nel crogiolo, di Savitri Devi. E tale obbligo non tanto perché questo libro superi altre nostre pubblicazioni, ma perché è sintomatico di due paradigmi: il primo, della difficoltà di accettare eventi storici quando questi vengano riferiti da soggetti che non appartengono alla scuderia dei democratici; e, il secondo, del coraggio (e, di contro, anche della viltà).
Quanto Savitri Devi ci racconta, senza ammantarsi d’imparzialità ma caricandosi di tutta la possibile parzialità, è lo scorrere degli eventi nelle zone d’occupazione nella Germania dell’immediato dopoguerra. Siamo quindi nel 1948, tre anni soltanto dal termine del secondo conflitto mondiale e l’Autrice entra, come testimone oculare, nella cronaca di quei mesi di rovine e desolazione per uscirne, dopo persino un “soggiorno” in cella, quale latrice di una porzione di Storia.
Resoconto d’incontri, di confessioni, di dialoghi che ci restituisce quel piano Morgenthau che non fu soltanto un mero programma, ma che ebbe una sua effettiva, seppur iniziale, applicazione. Abbattimento dei boschi, smantellamento di fabbriche di ogni sorta, controllo alleato sulla produzione tedesca con annessa contingentazione di quella a uso interno a vantaggio dell’esportazione. E, se al lettore più pigro ciò non potesse mostrarsi sufficiente a spingere la sua immaginazione fino alla comprensione di quali fossero le conseguenze di una tale atomizzazione dell’economia di una Nazione sconfitta e distrutta, ecco venirci a trovare gli spettri delle singole vite ridotte in brandelli. Il racconto di uomini – ma anche di donne – la cui unica colpa fu di aver avuto parte attiva nella comunità di popolo creatasi nel Terzo Reich. Storie di crudeltà che nel 1948 e anche molto, molto dopo, non potevano aver dimora nei libri dati in pasto a un pubblico – né tedesco né mondiale – che stava iniziando a subire una graduale ma pervicace rieducazione.
E, come facciamo presente nella postfazione, quando tali crudeltà sono inizialmente uscite dal circuito omertoso dei fabbricanti di storia lo fu spesso per tutt’altra ragione che per amor del vero. I tempi della guerra fredda richiedevano, infatti, d’indicare la spietatezza dei Russi. La caduta del blocco sovietico permise poi di accendere i riflettori anche sulle nefandezze francesi, inglesi e americane, a dimostrazione di come funzioni sempre – a scoppio ritardato – quella Glasnost occidentale per rafforzare nelle coscienze altrui il senso di profonda democrazia in cui siamo “fortunati” a vivere.
Le narrazioni di Guido Knopp, di Giles MacDonogh, di Miriam Gebhardt, di James Bacque non differiscono, se non per il tratto più freddo e… imparziale, da quelle di Savitri Devi. Le torture ai POW sono le stesse, i trattamenti disumani verso la popolazione gli stessi, le uccisioni sommarie anche.
Ma per il lettore non deve essere importante se ciò che è spacciato per storia sia vero o meno, ma chi è che la scrive. Soltanto allora si spalancheranno i ricoveri, e le pecore potranno iniziare a ruminare quanto i “Pansa” esteri o nostrani daranno loro da mangiare. Il tutto sotto il vigile occhio dell’eterno Giacobbe.