Corazzata Bismarck
Corazzata Bismarck
Nel 1933, con l’elezione a cancelliere tedesco di Adolf Hitler, la Germania potè finalmente essere (almeno in pratica) libera dall’infame trattato di Versailles e potè ricominciare il piano di riarmo atto a garantirle quella minima forza di difesa, necessaria alla sopravvivenza, che quel putrido pezzo di carta le vietava di possedere.
La Germania nazional-socialista non poteva naturalmente permettersi, nel giro di pochi anni, di ottenere una forza di difesa globalmente completa ed inoltre non poteva permettersi di ignorare del tutto la presenza, nel piano della politica internazionale, degli altri stati: prima tra tutti l’Inghilterra, la “sorella invidiosa” della Germania, che vigilava preoccupata affinché quest’ultima non sollevasse troppo il capo. La Germania dovette quindi scendere a patti con questo stato e fu così che nel 1935 venne stipulato un accordo anglo-tedesco con il quale l’Inghilterra permetteva che la Germania avviasse operazioni di riarmo marittimo a patto che la superficie totale della sua flotta non superasse il 35% di quella inglese e che quella subacquea non ne superasse il 45%. E’ facile quindi rendersi conto del fatto che la Germania, nonostante quello che possa dire la propaganda politica odierna, tentasse in ogni modo di mantenere rapporti costruttivi anche al costo di scendere a compromessi.
Questo sforzo di riarmo però non giunse mai a compimento: la Germania infatti concentrò tutti i suoi sforzi nel riarmo e nel rafforzamento delle forze di terra e d’aria e così nel 1939, quando ormai le ostilità erano conclamate, la marina militare tedesca era ben lungi dal raggiungere gli obbiettivi che le erano stati assegnati. Proprio nel momento dello scoppio del conflitto le due corazzate gemelle Bismarck e Tirpitz, varate nei primi mesi del 1939, erano ancora in fase d’allestimento. Su queste due navi erano riposte tutte le speranze tedesche relative alla guerra dei mari e questo non fu un caso: queste infatti erano le navi da battaglia più potenti al mondo.
Delle due la prima ad essere pronta ad ingaggiare lo scontro col nemico fu la Bismarck, entrata in servizio un anno e mezzo dopo il suo varo, il 24 agosto del 1940. Questa splendida nave era lunga 251 m, larga 36 m e aveva un dislocamento pari a 41.700 tonnellate. La velocità massima che poteva raggiungere era pari a 30 nodi, mentre la sua autonomia era pari a 8100 miglia percorse ad una velocità media pari a 19 nodi: queste capacità cinetiche erano assicurate da 3 caldaie a coppie modello Wagner che muovevano tre assi d’elica. Le fiancate erano protette da una corazzatura d’acciaio pari a 150 mm, mentre i ponti erano riparati da una barriera spessa 320 mm; lo spessore maggiore era stato posto in corrispondenza delle torri delle artigliere principali ed era pari a 360 mm. Il suo armamento, davvero completo, comprendeva otto cannoni calibro 380 mm, dodici da 150 mm, sedici mitragliere da 37 mm e venti mitragliere da 20 mm. A bordo erano inoltre imbarcati 6 aerei da ricognizione catapultabili. L’equipaggio invece tra ufficiali, sottoufficiali e marinai, ammontava ad un numero di persone pari a 2200 uomini.
Secondo il piano Rheinübung ideato dal comandante della marina tedesca Raeder, la Bismarck doveva raggiungere l’Atlantico settentrionale così da costituire, insieme agli incrociatori da battaglia da 32.000 tonnellate Scharnhorst e Gneisenau dislocati a Brest, una concentrazione di forze che avrebbe potuto operare con successo sia contro i convogli che contro le navi da guerra Alleate dirette nel Regno Unito. Per poter fare ciò la Bismarck avrebbe dovuto eludere l’assidua sorveglianza delle navi inglesi che presidiavano costantemente le rotte che dal Mare del Nord conducevano all’Atlantico. Ai primi di aprile, ovvero all’inizio dell’operazione, la Scharnhorst non era ancora utilizzabile perché il suo motore necessitava di una lunga ed accurata revisione, la Gneisenau invece era stata colpita da un siluro lanciato da un aerosilurante mentre si trovava ormeggiata presso il suo avamporto e così sarebbe dovuta stare ferma per parecchi mesi, al fine di poter eseguire i necessari lavori di raddobbo. Il piano, com’è facile comprendere, era ormai compromesso.
Raeder non volle in ogni caso rinunciare alla sua operazione e decise di non aspettare e di forzare i tempi (scelta che in guerra come in ogni altro caso della vita, spesso porta a disastri totali). Egli decise che la Bismarck avrebbe dovuto e potuto forzare il blocco delle navi inglesi (grazie ai suoi numerosissimi armamenti) insieme all’aiuto dell’incrociatore pesante Prinz Eugen Seydlitz, una potente e moderna unità che, secondo Raeder, insieme alla Bismarck avrebbe costituito una coppia inarrestabile. Il 18 maggio 1941 le due navi, poste sotto il comando dell’ammiraglio Günther Lütjens, salparono dal porto baltico di Gdyna e iniziarono la loro avventura. Attraversarono Skagerrak e costeggiarono la Norvegia, poi fecero sosta a Bergen per fare rifornimento di carburante. Quindi passando a settentrione dell’Islanda, imboccarono il canale di Danimarca, tra l’Islanda e la Groenlandia, puntando verso sud. La marina militare inglese però non stette inerme, anzi era già entrata in azione: era stata avvertita fin dal 20 maggio del fatto che le due navi fossero salpate e così, sotto la guida del comandante in capo sir John Tovey, le aveva prima tenute sotto sorveglianza aerea, quindi aveva fatto scattare il piano d’intercettazione.
Quando la Bismarck e la Prinz Eugen si trovarono all’imbocco del canale di Danimarca, gli incrociatori Norfolk e Suffolk erano già di pattuglia nella zona, mentre altri incrociatori sorvegliano il passaggio tra l’Islanda e le isole Far Oer; più a sud vi erano altre due squadre: una composta dall’incrociatore pesante Hood e dalla corazzate Prince of Wales affiancati da sei cacciatorpedinieri, l’altra dal nucleo principale della flotta britannica ovvero la corazzata ammiraglia King George V, la portaerei Victorious, l’incrociatore da battaglia Repulse ed altre sei unità minori. E’ facile immaginare come l’Inghilterra avesse intenzione di annientare nel modo più veloce ed indolore possibile una delle due navi militari più potenti che fossero mai state create: un gruppo di iene stava per avventarsi sopra ad un unico leone.
Il 23 maggio il Suffolk avvistò le due navi tedesche e da questo momento iniziò la caccia vera e propria; il mattino del giorno seguente l’Hood e la Prince of Wales avvistarono il nemico: lo scontro iniziò alle 5:35 del mattino e terminò alle 6 con un esito a dir poco disastroso per gli inglesi. Centrato dal Prinz Eugen e poi dalla Bismarck, l’Hood si inabissò in pochissimi minuti, mentre la Prince of Wales batteva in ritirata: il leone aveva spaventato le pavidissime iene grazie alla sua forza, eppure era rimasto ferito e sanguinava copiosamente, fuor di metafora la Bismarck a causa di una cannonata era stata squarciata a prora e perdeva abbondantemente carburante. Questo danno forzò una decisione suicida nell’ammiraglio Lütjens, che inconsapevole dell’enorme dispiegamento di forze posto nei riguardi della Bismarck, decise di sganciarsi dalla Prinz Eugen e di far rotta verso la base francese di Saint Nazaire, così da potere riparare la nave.
Nel frattempo la ricognizione aerea inglese stava cercando la corazzata nemica, dopo che era stato perso il contatto radar, mentre ancora altre unità convergevano da Gibilterra verso nord: le iene, terrorizzate pur avendo una superiorità numerica schiacciante, si univano per infierire sul leone ferito. In questo branco vi era la portaerei Ark Royal. La Bismarck venne infine localizzata il 26 maggio e venne colpita al tramonto da un siluro sganciato da un aerosilurante partito proprio dalla Ark Royal. Gli inglesi scelsero l’arma vile dell’attacco a distanza e da una posizione dalla quale la Bismarck era priva di difesa. Il colpo danneggiò irrimediabilmente il timone e la corazzata andò incontro al suo destino con quel coraggio e quell’intransigenza che sono caratteristiche tipiche dei migliori tedeschi. Su quel leone ormai stremato conversero quattro iene: la Rodney, il King George V, il Norfolk e la Dorsetshire. Il 27 maggio la corazzata tedesca, vilmente circondata dalle navi nemiche, venne abbattuta da una pioggia di cannonate e di siluri che la investì a 360°: mentre la nave affondava, si salvarono solo 115 uomini e tutti gli altri, compreso l’ammiraglio Lütjens, perirono durante i colpi o furono lasciati annegare. Secondo fonti tedesche, l’ammiraglio si era suicidato ed erano iniziati i preparativi atti all’evacuazione della nave ed all’autoaffondamento della stessa. Gli inglesi non se ne curarono minimamente e bombardarono la nave con più di 500 colpi d’artiglieria pesante: colpirono una nave che non rispondeva più al fuoco nemico. I testimoni raccontano come la nave affondò con la bandiera di guerra ancora sollevata e le eliche in movimento.
Il relitto della Bismarck è stato localizzato l’8 giugno del 1989. Esso giace a 4.800 metri di profondità, a circa 650 km dal porto di Brest. La sua posizione è nota attualmente solo al governo tedesco, che lo ha dichiarato sacrario militare.
E’ un dovere etico per lo scrivente sottolineare come fosse un’abitudine tedesca quella di soccorrere tutti i soldati nemici prima di abbattere la nave avversaria (come dimostra la storia del capitano Langsdorff) e come questo trattamento non venne ricambiato dalle forze inglesi. E’ a dir poco scandaloso il fatto che, pochi anni dopo, l’Inghilterra si sia seduta a Norimberga nel banco degli accusatori e non in quello degli accusati. Evidentemente, le azioni di una nazione vengono definite come “azioni umanitarie” se questa vince il conflitto, come “crimini di guerra” se, per sua disgrazia, lo perde. Quanto risuonano ancora forti le parole: “Vae victis!”.
Pasquale Piraino