Nuove uscite!
Aa.Vv.
Autarchia nel Terzo Reich
Pagine: 176
Prezzo di copertina: 20 €
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Anche la Germania nazionalsocialista si mise sulla via dell’autarchia economica, sebbene questo termine fosse maggiormente d’uso — e oggi massimamente noto — per l’Italia fascista. Come quest’ultima, la Germania del Führer vi entrò non per obbedire a un principio dottrinario del suo Movimento rivoluzionario, ma per andare incontro con coraggio alle pressioni delle necessità nazionali e a quelle, non meno sentite, delle difficoltà internazionali.
Nessun piano di autarchia economica compariva, infatti, nell’ideologia del Movimento nazionalsocialista prima del 1933. Il solo preannuncio dato della nuova economia nazionalsocialista fu quello della sua antitesi al liberalismo economico: pari all’opposizione del nuovo corso politico al sistema delle democrazie liberali. E anche quello, fondamentale, della sottomissione di ogni benessere individuale al bene collettivo della Nazione.
Ma il problema dell’indipendenza economica della Germania si pose al governo di Hitler appena il nuovo regime, nella pienezza dei suoi compiti, si trovò di fronte al grave peso dell’eredità di un tumultuoso passato e alle incognite di un’avversa situazione internazionale. E però questa indipendenza fu intesa non come politica d’isolamento, ma come volontà di concentrare tutte le forze nazionali per dare un valore d’immediato rendimento economico a ogni risorsa interna e sostituire, dappertutto ove fosse possibile, un prodotto nazionale, somma del lavoro germanico, a un prodotto straniero.
Ci proponiamo, quindi, di tracciare in questo volume — frutto di differenti studi (1) — il quadro di questa politica economica non soltanto del Terzo Reich ma dell’Europa tutta.
(1)
Virginio Gayda, I “QUATTRO ANNI” DEL TERZO REICH, Copyright © 1938 Roma
Aa.Vv., L’AUTARCHIA IN GERMANIA, Copyright © 1938 Roma
Hansgeorg Kayser, DAS WUNDER DER FESTEN PREISE, Copyright © 1940 Berlino
Wilhelm Utermann, KRISENFREIE WIRTSCHAFT, Copyright © 1940 Deutsche Informationsstelle, Berlino
Volkmar Muthesius, EUROPAS AUTARKIE, Copyright © 1940 Deutsche Informationsstelle, Berlino
Alphonse de Châteaubriant
Il fascio di forze
Pagine: 246
Prezzo di copertina: 25 €
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«Ho scritto questo libro per la Francia»: proprio così esordisce Alphonse de Châteaubriant quale incipit della sua chiusa a quella che forse è la sua opera più significativa, più rappresentativa: Il fascio di forze. Romanzo che, ossimoricamente se non paradossalmente, potrebbe essere definito “non romanzo”, perché concretarsi su carta di esperienze liricamente ricordate dall’autore, composto tra la natìa Francia, ormai al tramonto della sua storica “grandeur”, e una Germania nel pieno fiore della sua straordinaria rinascita, Il fascio di forze si presenta apparentemente come il rendiconto di un osservatore da se stesso investito del compito di vedere, ascoltare e riportare, proprio nella sua patria, la verità circa un mondo appositamente deformato nella sua veridicità oggettiva e spirituale, morale; rendiconto che serva da monito e da esempio a una Francia depauperata e degradata nella propria identità, e che contribuisca a un ritorno all’essenza della propria particolare anima, di quel che fa sì che un popolo, una nazione, siano tali; un rendiconto che serva a risvegliare l’orgoglio, a far rinverdire lo spirito ormai sopito e non più libero, rendiconto che immanentemente assume, fin dalle prime pagine, le parvenze sempre più liriche di un Lied celebrativo, di un canto, di un tributo, da parte di uno straniero, a una terra non conosciuta e volutamente deformata dall’opinione pubblica agli occhi di chi – al pari delle masse – non può che accontentarsi delle stereotipate voci di una politica di devastazione, mai di costruzione. Frutto di una scelta, la scelta appunto d’intraprendere un viaggio di vera conoscenza in una Germania a quel tempo tacciata dall’Europa di menzogna e costrizione, Châteaubriant si trova, una volta entrato in un mondo le cui porte erano state tappezzate della dissacrazione dei feuilleton, di fronte alla più grande e sublime delle armonie, di fronte all’ipostatizzazione più cristallina della purezza, di fronte alla verità. Ed è allora che tutto, tutto, dai panorami dal sibillino significato ancestrale alle costruzioni che si abbarbicano su vette irraggiungibili se non all’occhio dell’aquila, dalla sequenza delle note su uno spartito di Bayreuth alle parole profferite di fronte a folle e folle di persone esultanti, dalle concavità abissali dei fiumi alle braccia tese a salutare il sole; tutto, tutto si tinge di poesia: la poesia di Lohengrin e del Cavaliere di Bamberga, la poesia del suolo e la poesia del sangue, la poesia di voci e mani – le mani tese dalla Germania alla Francia.